Ma Mentana non è uomo d’onore - QdS

Ma Mentana non è uomo d’onore

Carlo Alberto Tregua

Ma Mentana non è uomo d’onore

giovedì 28 Maggio 2009

Prima si dimette, poi fa causa all’editore

Nel lessico comune, uomo d’onore è chi appartiene alla criminalità organizzata. Tale lessico è stato alimentato da un becerume linguistico e da tanti professionisti dell’antimafia (così definiti da Leonardo Sciascia, 1921-1989). Sicuramente Enrico Mentana non è uomo d’onore.
L’art. 54 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica… i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…”. Dunque, onore, dovere e disciplina non sono valori che possono prestarsi a mistificazioni ed equivoci, bensì sono nitidi, netti e lampanti. Più volte abbiamo scritto dell’onore che, secondo il dizionario, vuol dire: “La dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui… il valore morale, il merito d’una persona, non in sé, ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima ed al rispetto da parte degli altri”.

Dovere, onore e disciplina, dice la Costituzione. Ma quanti cittadini si ricordano di comportarsi secondo questi tre precetti? Che c’entra tutto questo con la vicenda Mentana-Mediaset-Matrix? Spieghiamoci. Il responsabile della rubrica di intrattenimento voleva dare prevalenza alla vicenda Englaro, ma il suo editore non volle accogliere la sua richiesta.
Nei rapporti delicatissimi dell’informazione bisogna sempre aver presente le regole del gioco. Esse dicono che l’editore stabilisce la linea di fondo nell’ambito della quale il direttore o il responsabile di una rubrica ha la più ampia autonomia. Quando i due soggetti, editore e giornalista, entrano in conflitto, non vi è dubbio che il rapporto fiduciario si interrompe e con esso il rapporto di lavoro. È il caso che esaminiamo e, a nostro avviso, bene ha fatto il collega Mentana ad andarsene, presentando le dimissioni. Conveniamo con lui, perché avremmo fatto altrettanto.
La questione, però, ha preso una strada sbagliata, vale a dire che Mentana ha fatto ricorso al giudice del lavoro per essere reintegrato nella sua posizione. Il magistrato ha accolto il ricorso e ha sentenziato che Mentana debba riprendere la posizione che volontariamente aveva abbandonato con le dimissioni. Naturalmente, gli ulteriori gradi di giudizio diranno chi ha ragione.
Non sono giurista, non ho letto la documentazione del processo, per quanto abbia qualche conoscenza derivante da 40 anni di attività come iscritto all’albo dei dottori commercialisti. Senza entrare nel merito della controversia giuridica, possiamo sottolineare come chi si dimette non possa poi giustificarsi dicendo che è stato costretto alle dimissioni. Nessuno gli avrà puntato una pistola intimandogli di firmare. Non è credibile quindi la sua versione.
Se la controversia scade in una questione meramente finanziaria, diventa la solita questione di soldi. Peraltro, ricordiamo che quando, qualche anno fa, Mentana “fu costretto” alle dimissioni da direttore del Tg5, ebbe una liquidazione stimata in alcuni miliardi di lire.

Ma a noi interessa la questione deontologica, perché non si può sempre subordinare ogni gesto che compiamo all’interesse finanziario; diversamente, ogni cosa rientra in un rapporto da giungla.
Avevamo proprio qualche giorno fa sottolineato l’importanza dell’istituto delle dimissioni e plaudito chi lo utilizza, affermando che la dignità è superiore a ogni interesse materiale. Nel caso in oggetto, ci siamo dovuti ricredere e questo ci dispiace molto, perché quando una persona nota al grande pubblico si comporta in questa maniera, dà un cattivo esempio e non possiamo poi lamentarci che i giovani la imitino.
In giro vi è tanta ipocrisia che è peggio della furfanteria. C’è chi predica bene e razzola male. Ci sono i voltagabbana, insomma un campionario di chi fa una bandiera della propria immoralità. Nessuno vuol dare lezioni a nessuno, ma è doveroso che chi fa informazione, come noi, si attenga rigorosamente ai principi morali, che sono ben più antichi di quelli religiosi e di quelli deontologici.

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