Cassazione: dal fatto deve derivare nocumento alla persona offesa
PALERMO – Il codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo n. 196/2003) sottopone il trattamento di tali dati a specifica regolamentazione, sanzionando penalmente l’indebita diffusione di informazioni relative a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione.
In particolare, l’art. 167 del “codice della privacy” punisce chiunque, al fine di trarre profitto per sé o per altri o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto nella normativa dettata nel medesimo testo normativo (dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130 ovvero in applicazione dell’articolo 129).
Come già riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di tutela penale della privacy, ai fini della configurabilità del reato d’illecito trattamento dati, tra i “dati personali” definiti dall’art. 4, comma 1, lett. b), del citato decreto rientra anche il numero di utenza cellulare (Cass. pen., sez. III, 23/10/2008, n. 46203).
Applicando tali disposizioni normative, la Corte di Cassazione ha recentemente confermato la condanna a quattro mesi di reclusione per un uomo che aveva divulgato su una chat line il numero di cellulare di un privato cittadino. I Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che tutti i soggetti (anche i privati) sono tenuti al rispetto delle regole di riservatezza atteso che la norma che vieta il “trattamento” di dati personali si applica a “chiunque”, il che esclude in radice un’interpretazione in senso restrittivo riferita ai destinatari (sentenza 1 giugno 2011 n. 21839).
Anche il concetto di “trattamento” deve essere inteso in senso ampio, riguardando qualunque operazione concernente la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati.
Affinché si configuri il reato di trattamento illecito di dati (art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003) occorrerà, altresì, dimostrare che dal fatto sia derivato nocumento alla persona offesa. Secondo gli ermellini la diffusione in ambito generalizzato di una utenza cellulare è certamente produttiva di un danno, essendo il telefonino “per sua natura intrinseca riservato”, tanto da non comparire (salvo autorizzazione) neppure negli elenchi pubblici. Né può rilevare quanto tempo il “post” con il recapito sia rimasto on line: ciò che rileva è la diffusione ad ampio raggio, tanto da consentire a chiunque di prendere cognizione del numero.
Avv. Cristina Calì
collegio dei professionisti di Veroconsumo