Palermo dispone di 26 asili nido funzionanti che non riescono a soddisfare neppure la metà delle richieste. Sono solo 988 i bambini che nel prossimo anno scolastico riusciranno a frequentare le strutture pubbliche, con una lista d’attesa di 1130 unità.
All’appello mancano ben 6 strutture, chiuse perché inagibili. Il problema lamentato è, come sempre la carenza di fondi.
“Con le poche risorse che abbiamo riusciamo a fare del nostro meglio. Entro l’anno, ad esempio, contiamo di aprirne un altro, per il quale abbiamo affidato i lavori ad Amg ed alle maestranze del Coime – sottolinea l’assessore comunale alla Pubblica istruzione Francesca Grisafi -. Per una situazione ottimale e per recuperare il gap, avremmo bisogno di risorse, che però non arrivano da chi di dovere. La Regione, infatti, ha bloccato il finanziamento che per ristrutturare gli asili Galante, Mimosa e Drago.
Senza una politica che agevoli il nostro lavoro diventa tutto difficile”.
Il confronto del capoluogo siciliano con Reggio Emilia (170mila abitanti), grande quasi l’ottava circoscrizione di Palermo, (127.000 abitanti) è sconfortante: la città emiliana possiede 23 nidi d’infanzia, frequentati da 1552 bambini con una lista d’attesa di appena 126 unità.
Anche la distribuzione delle strutture all’interno del territorio palermitano lascia a desiderare: ben 7 si trovano nella quinta circoscrizione e 5 nella terza. La quarta circoscrizione, composta da 140mila abitanti, ha un solo asilo nido, mentre i quartieri Boccadifalco e Mezzomonreale non hanno scuole. I quartieri del tutto privi di asili nido comunali sono ben 10.
Dinanzi al pubblico che riesce a rispondere alla richiesta di una fetta ristretta di popolazione, l’alternativa per le famiglie è quella di ricorrere alle strutture private (con annesse rette) se non, nei casi più estremi, nel sacrificare la carriera di uno dei componenti della famiglia.
“Negli ultimi anni – osserva la Grisafi – è aumentato notevolmente di donne che lavorano e gli asili nido sono diventati un servizio obbligatorio. Ma ripeto: con le risorse minime che abbiamo facciamo il possibile”.
Il tema, ovviamente, è entrato a buon diritto nella campagna elettorale per il rinnovo dell’esecutivo.
“Il Comune deve intestarsi un grande piano per l’infanzia, chiedendo la collaborazione di Provincia, Regione e coinvolgendo associazioni, cooperative, fondazioni e imprese – propone Davide Faraone, uno dei candidati per succedere a Cammarata – Occorre attivare un circuito virtuoso per creare nidi comunali a gestione mista. Una gestione che dovrà, proprio per la carenza di fondi e trasferimenti pubblici, coinvolgere la Provincia, la Regione, che insistono massicciamente con uffici e dipendenti nel territorio cittadino, ma anche i privati”.
Per il capogruppo del Pd in Consiglio comunale, un modello possibile è che questi enti offrano la sede al Comune in modo che l’amministrazione si possa limitare a fornire il personale, lasciando così ai privati il compito di adeguare i locali e gli arredi. Il nido – secondo Faraone – dovrà accogliere il 50% di bimbi, figli dei dipendenti dell’ente locale che ha ceduto l’immobile, e l’altro 50% di bimbi della circoscrizione nella quale ha sede il nido. Ma come ampliare la rete di strutture? Per il consigliere democratico il project financing è una delle condizioni indispensabili. “In questo caso è il Comune a fornire l’immobile alle imprese, utilizzando per esempio gli innumerevoli locali confiscati alla mafia. I privati avranno l’onore di ristrutturarli, adeguarli a norma e arredarli”.