L’inizio dei lavori di riqualificazione annunciati dal sindaco De Luca potrebbe avvenire già entro un mese. Ma la storia di quest’area è costellata da numerose occasioni mancate
MESSINA – Un’oasi verde in mezzo alla città inibita per decenni alla fruizione dei cittadini. Il sindaco Cateno De Luca a novembre ha aperto il cancello del parco Aldo Moro, annunciando la destinazione di un investimento, nell’ambito del programma ForestaMe, di due milioni di euro per la riqualificazione dell’area. Si prevedono ampi spazi con prati all’inglese, squarci panoramici con vista sullo Stretto, un’area giochi, la valorizzazione dei resti storici vincolati e un punto ristoro. Il progetto, dopo la scerbatura e pulitura effettuati da MessinaServizi, sembra essere nella fase esecutiva e l’inizio dei lavori potrebbe avvenire già entro un mese.
Fin qui la cronaca dei fatti delle ultime settimane. Ma come sempre, nelle storie di beni pubblici abbandonati e lasciati nel degrado per lungo tempo, c’è sullo sfondo tanta superficialità, indolenza, inefficacia. Il passo fatto dall’attuale Amministrazione, comunicato con l’enfasi di una campagna elettorale in corso, ha una genesi nell’accordo del 2017 – era sindaco Renato Accorinti – tra Comune e Ingv. Nel documento l’Istituto, proprietario del bene, cedeva all’Ente in comodato d’uso gratuito per 29 anni (il Comune ne aveva chiesti 99) parte dei circa 14mila metri quadrati. Nello specifico, si tratta del fabbricato B, utilizzato come deposito e come alloggio del custode, la parte con i ruderi a valenza architettonica e l’area che circonda l’edificio principale. Quest’ultimo locale, destinato a osservatorio, restaurato e abbandonato da anni all’incuria, e il fabbricato C, interrato, erano invece destinati all’Istituto di Vulcanologia.
Quel contratto però, secondo la vice sindaco Carlotta Previti, conteneva una clausola capestro che impediva qualsiasi investimento. L’Ingv avrebbe potuto infatti riprendersi l’area in qualsiasi momento, senza un motivo specifico e dando solo un preavviso di sei mesi. “Per tali motivi – sottolinea Previti – la precedente Amministrazione non aveva potuto inserire in bilancio alcuna somma per la riqualificazione dell’area e il parco continuava a essere un ammasso di rovi e sterpaglie. Questa Amministrazione, dopo una trattativa con Ingv, ha fatto innalzare a 24 mesi i termini di preavviso per il recesso e solo con una giustificata ragione, come il venir meno della destinazione di parco urbano”.
Insomma, una trattativa di quasi quattro anni nel corso dei quali il Comune aveva comunque a disposizione l’area perché l’accordo del 2017 era in vigore. Un’interlocuzione ancora più complessa quella della precedente Amministrazione guidata da Accorinti, che aveva tentato di tornare in possesso di tutta l’area ceduta dal Comune gratuitamente nel 1949 all’Ingv, che si era impegnato nell’accordo sottoscritto, pena la rescissione de contratto, a “costruire e mantenere in efficienza un moderno e ben attrezzato osservatorio Geofisico”.
Un Centro di eccellenza inesistente e quindi, secondo l’articolo 6 dell’accordo, l’Amministrazione avrebbe avuto il diritto di tornare in possesso del bene. Ma nessuno in questi decenni, neppure l’attuale sindaco, ha reclamato questo diritto, mentre dal basso è venuta sempre più la richiesta di aprire alla città quell’oasi verde, anche con azioni forti: nel 2014 c’è stata l’occupazione dagli attivisti del Pinelli e nel 2017 dell’Unione degli inquilini insieme a 15 famiglie. Proteste che spinsero già nel 2016 l’Ingv, legalmente responsabile dell’area, a contattare il Comune per cedere il Parco in comodato d’uso.
Nel 2017 l’allora assessore al patrimonio Enzo Cuzzola aveva pensato di aprire un contenzioso per riavere il bene ma non fu supportato neppure da Accorinti e poi fu forte la reazione del presidente dell’Ingv Carlo Doglioni, che ribadì il diritto di proprietà dell’Istituto sull’area ricordando i lavori di manutenzione effettuati nel 2012 che facevano superare la clausola. Spesi circa 450 mila euro più i costi della progettazione.
L’appalto del 2009 doveva avere la finalità di rendere l’immobile “idoneo alle moderne tecnologie in uso nel settore sismologico e vulcanologico, utilizzabili anche da remoto, potendo disporre di collegamenti con le strutture operative centrali dell’Istituto”. Nulla di tutto ciò. Dopo la ristrutturazione fu lasciato di nuovo tutto nel degrado.