L'inchiesta Leonidi porta alla luce i continui scontri tra le cosche mafiose del Catanese: il caso di Turi Assinnata, del clan di Paternò, e degli affiliati della famiglia di Villaggio Sant'Agata.
Non solo scontri tra clan rivali e la sensazione che il tempo delle guerre di mafie potrebbe ritornare, ma anche un costante stato di tensione all’interno delle stesse cosche, i cui affari fanno i conti sempre con un rischio di fallimento. A volte per l’intervento delle forze dell’ordine, altre per il possibile errore di uno degli affiliati.
A Catania le fibrillazioni all’interno della criminalità organizzata sembrano non risparmiare nessuno. L’ultima storia in tal senso arriva dall’inchiesta Leonidi, che ha messo nel mirino alcuni esponenti della famiglia Santapaola-Ercolano. I protagonisti sono da una parte il boss Turi Assinnata, assieme al padre Mimmo a capo dell’omonimo clan di Paternò, e dall’altra affiliati del gruppo del Villaggio Sant’Agata, tra i quali Davide Finocchiaro. Quest’ultimo si è rivelato essere tra i soggetti più vicini a Seby Ercolano, il 20enne arrestato con l’accusa di avere provato a scalare le gerarchie della famiglia mafiosa facendo leva sul peso del proprio cognome.
Il cuore della faccenda ha a che fare con la fornitura di un chilo di cocaina. Uno dei tanti che inondano le piazze di spaccio di Catania, garantendo guadagni da capogiro ai capibastone e la giornata ai piccoli pusher. In mezzo ci sta chi prova a lucrare all’interno della filiera, investendo cifre importanti con tutto ciò che ne consegue se l’affare dovesse saltare.
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Crediti inesigibili, se non con la forza: il caso Assinnata
Quella del 17 febbraio scorso non deve essere stata tra le giornate più serene dell’anno per Turi Assinnata. Dopo quasi quattro mesi d’attesa, il boss è deciso a passare alle maniere forti per punire il mancato pagamento di un chilo di cocaina che, a fine ottobre 2022, aveva ceduto a tre persone incontrate all’interno di un bar-tabacchi di una stazione di riferimento di Paternò. Con loro – Davide Finocchiaro, Giuseppe Caruso e una donna il cui ruolo nella vicenda è più marginale – e insieme a un uomo di fiducia, Assinnata si era poi spostato in via Presidente Antonio Segni, una strada senza uscita dove veniva custodita la sostanza stupefacente. I patti, stando a quanto ricostruito dai magistrati della Dda etnea, sarebbero stati tali da dare la possibilità agli acquirenti di pagare la droga man mano che veniva immessa nel mercato al dettaglio. In totale nelle tasche di Assinnata sarebbero dovuti finire 32mila euro.
Tra cadute, umidità e scelte sbagliate
Le cose, però, non vanno come Finocchiaro e Caruso avrebbero desiderato. E i problemi sorgono fin dal primo momento. “Speriamo che quando ti è caduta la borsa a terra non si è rotta tutta”, dice Caruso alla donna scelta per fargli compagnia nel viaggio da Catania a Paternò, così da dare meno nell’occhio. Il parziale sbriciolamento della sostanza stupefacente è tuttavia soltanto il primo di una serie di problemi. Di lì a qualche settimana, si aggiungono l’umidità che aggredisce i pacchetti in cui la cocaina era stata conservata – “mettila in mezzo al riso” suggerisce un componente del gruppo frequentato da Caruso quando però è troppo tardi – e soprattutto il mancato pagamento di un quantitativo di droga che era stato ceduto a soggetto attivo a Ragusa.
Se si sia trattato di un semplice ritardo o di una tentata truffa, non è chiaro. Ciò che è certo è che a febbraio 2023 tutti i nodi arrivano al pettine e Assinnata, accompagnato da un tale Enzo rimasto non meglio identificato, va a trovare Finocchiaro.
“Gli leviamo la pelle”
Dalle intercettazioni emerge che a non essere stati saldati sono poco meno di tre etti di cocaina, oltre un quarto di quella consegnata a ottobre e Finocchiaro sembra essere in evidente disagio. Per la brutta figura fatta, ma anche per ciò che ne potrebbe scaturire. “Io non gliel’ho affidata a uno che fa uso di droghe, gliel’ho affidata a uno che non fuma, non si ubriaca, non tira”, prova a spiegarsi colui che è ritenuto il reggente del gruppo del Villaggio Sant’Agata. Finocchiaro spiega ad Assinnata di essere stato il primo a rimproverare Caruso, al punto che quest’ultimo – conosciuto anche come Cirillino e il cui padre di recente è stato condannato a 30 anni nel processo Thor – si sarebbe trovato costretto a migrare verso San Giovanni Galermo per iniziare in prima persona a spacciare. “Io gliel’ho detto: ti sparo in testa prima che ammazzino me”, racconta Finocchiaro ad Assinnata.
Il boss, però, si mostra più interessato a capire come recuperare i soldi e, comunque, a farla pagare a Caruso. “Questo ragazzo (Caruso, ndr) per chi sta spacciando? Chiamiamo il suo principale: ‘Sta spacciando con te? Deve dare questi soldi’”, propone Assinnata. L’uomo che è con lui, Enzo, prima suggerisce di impadronirsi dell’auto di Caruso e dopo avere saputo da Finocchiaro che non ne possiede alcuna, sbotta: “Gli leviamo la pelle di dosso così si leva il vizio. Ci sta facendo impazzire, sono circa quattro mesi”.
Finocchiaro, che come ricostruito dalle intercettazioni nei mesi precedenti era solito frequentare Caruso, chiarendogli in maniera approfondita le dinamiche all’interno e tra i gruppi che fanno riferimento ai Santapaola-Ercolano a Catania, da un lato afferma di essere disponibile a cercare Caruso – “ora non lo posso rintracciare, più tardi ci vado a casa e gli dico ‘vieni anche tu’” – ma poi avverte i due paternesi: “Dopo che andiamo da Cirillino, lo possiamo solo picchiare. Ma non prendiamo niente, non ne ha soldi”.