La Costituzione e le sfide del futuro, tornare alle origini per andare nella giusta direzione - QdS

La Costituzione e le sfide del futuro, tornare alle origini per andare nella giusta direzione

La Costituzione e le sfide del futuro, tornare alle origini per andare nella giusta direzione

martedì 10 Giugno 2025

L’opera della professoressa Anna Mastromarino sarà presentata domani, dalle 19, alla Legatoria Prampolini di Catania

CATANIA – “I nostri padri e le nostre madri costituenti ci hanno dato una bicicletta: a noi il compito di usarla e di pedalare scegliendo la direzione”: lo ricorda spesso ai suoi studenti e lo ha messo nero su bianco Anna Mastromarino nel suo ultimo libro “La Costituzione a pezzi”, edito da Bollati Boringhieri, che sarà presentato domani alle 19 alla Legatoria Prampolini. A dialogare con l’autrice Renata Giordano, speaker radiofonica e redattrice di Europhonica. In vista dell’evento, il Quotidiano di Sicilia l’ha intervistata per appronfondire temi e spunti legati alla sua opera.

Professoressa, perché ha sentito l’esigenza di uscire dalle aule universitarie per parlare a tutti di Costituzione?
“Credo che in questo momento ci sentiamo tutti un po’ disorientati perché negli ultimi anni si sono avvicendate una serie di situazioni, a partire dall’irrompere della guerra all’avanzare di un certo populismo violento, che ci hanno fatto riflettere su alcune certezze che, forse, così certezze non erano. Ho sentito l’esigenza di chiedermi ‘cosa ho studiato finora? Cosa sto insegnando?’ e mi sono resa conto che per dare risposte ai miei dubbi dovevo tornare alla Costituzione, che potevo ritrovarne il senso solo ritornandovi e non allontanandomene o, ancor peggio, mettendola in soffitta. Questo genere di risposta mi ha fatto anche capire che avevo l’esigenza di scriverne, perché scrivere è un po’ il mio modo di stare al mondo, ma di farlo per tutti. Se si torna alla Costituzione, si deve tornare alla Costituzione delle origini, a quel testo ricco di sfumature, di vita, che parla della vita quotidiana delle persone, che ci dà indicazioni che sono molto di più che semplici precetti da rispettare. È un testo che era stato pensato per tutti e che è di tutti. Secondo me negli ultimi anni non è stato così per due ragioni”.

Quali?
“Da una parte c’è stato qualcuno che l’ha solo usata come un testo storico – ‘la Costituzione dei padri e delle madri costituenti, dei partigiani, quella che bisogna rispettare, che non si può cambiare, un testo sacro’ – dall’altra parte invece c’è chi l’ha svilita trattandola alla stregua del codice della strada, che quando non serve più si modifica. La Costituzione non è né una cosa né l’altra, ma è tutte e due le cose: è un testo che ha radici storiche che la connotano – quindi quando dico che non tutto si può modificare è perché c’è uno spirito che la anima – ma allo stesso tempo è un testo che tiene conto del presente. Questo è il fascino della Costituzione e anche la difficoltà di chi vi si confronta”.

La nostra Costituzione è spesso definita “la più bella del mondo”. La esaltiamo perché ci aspettiamo che possa risolvere tutto?
“Nel libro scherzando dico che ‘ogni scarrafone è bello a mamma sua’. La Costituzione è la più bella del mondo perché è la nostra. Per una comparatista come me è una frase che non ha molto senso, perché ogni Costituzione ha un aspetto bello che la rende diversa dalle altre. È vero che la nostra Costituzione, per il momento in cui è nata, è stata pioniera di alcuni fattori che, però, fanno parte del grande processo costituente che fu quello degli anni post bellici. Quindi, è vero, è pioniera, ma si inserisce in una riflessione più ampia, quella cioè del costituzionalismo dei diritti sociali, dei testi che incidono sulla vita delle persone, la plasmano, la rendono migliore”.

Ha quindi senso continuare a definirla “la più bella del mondo”?
“Ho la sensazione che ogni tanto usiamo questa frase in maniera strumentale per metterci nelle condizioni di dire che la Costituzione non si tocca. È un errore, perché i nostri padri costituenti hanno previsto il processo di riforma, quindi immaginavano che prima o poi avremmo sentito il bisogno di riformarla. Potremmo anche essere in compagnia della Costituzione più bella del mondo ma, se non la amiamo, quella bellezza non incide sulle nostre vite. Non credo sia attraverso la retorica “la più bella del mondo” che possiamo prendercene cura perché spesso, nei grandi momenti di riflessione in corrispondenza delle riforme, ce ne innamoriamo anche, abbiamo questi impeti di passione, per cui tutti parliamo di Costituzione. Ma per poco. Questo è l’innamoramento, ma amare qualcosa significa prendersene cura, capire cosa dobbiamo cambiare in noi e nel testo”.

Riforme costituzionali: semplice ritrosia ad accettare il cambiamento o sarebbe più prudente, in un clima politico fortemente conflittuale, evitare di cambiare le regole del gioco?
“Questo si chiama ‘paradosso delle revisioni’. È qualcosa su cui i costituzionalisti riflettono da molto tempo: proprio nei periodi di maggiore crisi avremmo bisogno di cambiare, ma proprio perché sono periodi di grande crisi non è possibile innescare un processo di cambiamento perché mancano i presupposti al cambiamento, che dovrebbero essere quelli del dialogo, del compromesso, della capacità di avere una morale e un’etica politica alta. Tuttavia, riconoscere questo aspetto non significa fare quello che stiamo facendo da anni, cioè rassegnarci e stare solo in difesa, perché la partita bisogna giocarla comunque e se non segniamo noi, forse segna qualcun altro. Il rischio è di entrare nella fase della desuetudine, cioè di abituarsi ad avere una Costituzione che incide sempre meno nelle nostre vite ed è sempre più un soprammobile, un documento storico. Quindi, è vero, siamo in un momento di crisi. I momenti di grande crisi politica e sociale fanno essere un po’ più attenti a non modificare, perché pare che non ci siano le condizioni, però se non possiamo modificare dobbiamo creare le condizioni per farlo. Non intervenire sulla modifica ci può stare, ma interveniamo su altre cose. Interveniamo sulla crisi, per esempio, del livello della nostra classe politica”.

La nostra Costituzione è quindi talmente “democratica” da rendere giusto dare la possibilità alle forze politiche nostalgiche del fascismo di inserirsi nei meccanismi istituzionali?
“La nostra non è una Costituzione democratica, ma è un testo di democrazia costituzionale. La questione non è di lana caprina, perché la democrazia nella sua formula più primitiva, cioè quella che crea dei fraintendimenti oggi, è quella che dice che quando c’è una maggioranza quella maggioranza governa, decide. Il popolo che si è espresso sceglie una maggioranza che a quel punto fa quello che deve fare. Quando dicevo che il costituzionalismo del secondo Novecento, a cui apparteniamo, è un costituzionalismo bello, nuovo, che apre una nuova era, intendevo dire che quel costituzionalismo fa pace con un’idea di democrazia molto più alta, che è quella per cui le Costituzioni non lavorano per chi ha il potere, ma lavorano per le minoranze. Ciò significa che chi è al governo non può fare delle riforme che comportino una modifica dell’assetto di protezione delle minoranze – per esempio la fine della separazione dei poteri o prevedere, come di fatto fa questa riforma sul premierato, un’idea di potere che sta nelle mani di una persona sola. Il problema non è se le maggioranze possono o non possono riformare la Costituzione, certo che possono, ma devono farlo rimanendo antifascisti, perché l’idea del contenimento del potere è antifascista. La nostra Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi, nelle forme e – come dico sempre – nei colori, nei profumi della Costituzione. È la Costituzione che ci dice cosa possiamo fare, perché è la Costituzione che detta le regole della gestione del potere. Anche del potere sovrano del popolo ”.

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