L’altro pericolo, il terremoto vulcanico
Rischio sismico elevato, in Sicilia orientale, non solo per la faglia Ibleo Maltese. Anche la presenza dell’Etna, vulcano attivo più alto d’Europa, rappresenta un elemento di rischi. Sebbene le due tipologie di eventi siano diverse, come spiega il vulcanologo Marco Neri. “I terremoti ‘vulcanici’ sono generati dai movimenti del magma nel corso della sua risalita verso la superficie. Il magma che risale, infatti, preme sulle pareti del condotto vulcanico deformandolo, ed a volte causa la sua rottura, generando una sismicità di magnitudo solitamente modesta e superficiale – dice. I terremoti ‘tettonici’, invece, sono generati dal movimento di fratture della crosta terrestre che si formano, generalmente, in corrispondenza dei margini che separano placche tettoniche contigue – prosegue. In questo secondo caso, le masse in gioco sono molto più grandi, le fratture della crosta che si muovono possono essere molto più lunghe e quindi i terremoti che si generano possono raggiungere magnitudo elevate”.
Questi ultimi sono, dunque, più violenti e nulla hanno a che vedere con quelli generati dall’attività vulcanica che, comunque, possono causare gravi danni, come accaduto nel 2018, a Santo Stefano. “Anche se l’Etna è uno dei vulcani più attivi al mondo, la sismicità generata dai movimenti del suo magma in profondità rimane comunque di magnitudo relativamente modesta e quindi sostanzialmente innocua per le popolazioni che vivono sulle sue pendici – spiega Neri. A volte, però, la spinta esercitata dal magma in risalita verso la superficie può deformare i fianchi del vulcano fino a farli ‘collassare’ repentinamente di alcune decine di centimetri. Questa deformazione può generare terremoti superficiali abbastanza violenti, come quello di magnitudo 4.9 che il 26 dicembre 2018 ha colpito il fianco orientale dell’Etna e che ha danneggiato gravemente il patrimonio urbano di nove Comuni etnei, in particolare Zafferana Etnea ed Acireale”.
Il sisma, tre anni fa, causò danni ingenti, con parte del territorio ancora inagibile e una frazione, Fleri, praticamente svuotata. La macchina per la ricostruzione è partita immediatamente, ma la strada sembra ancora lunga. “In due anni di lavoro, dal momento della sua costituzione (gennaio 2020), la Struttura Commissariale guidata dal dott. Salvatore Scalia ha emanato 41 ordinanze con le quali ha avviato la ricostruzione sia pubblica che privata – afferma Neri, che fa parte della struttura commissariale. Al fine di procedere in sicurezza e rapidità con i lavori di riparazione e ricostruzione delle aree colpite dal sisma, l’Area Geologia della Struttura Commissariale ha approfondito gli studi all’interno della Zona di Attenzione dell’area terremotata, focalizzandosi sulla fagliazione superficiale prodotta dal sisma ed operando conformemente alle Linee guida per la gestione del territorio in aree interessate da Faglie Attive e Capaci. Il lavoro è stato condotto attraverso l’istituzione di un Tavolo Tecnico convocato dal Commissario straordinario Scalia e composto da esperti della Struttura Commissariale, del Genio Civile di Catania, dell’Agenzia nazionale Invitalia e del Dipartimento Regionale di Protezione Civile della Regione Siciliana – aggiunge – e con il contributo di alcuni geologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia autori di pubblicazioni scientifiche di livello internazionale specificamente dedicate al sisma del 26 dicembre 2018”.
“La mappa prodotta dalla Struttura Commissariale – prosegue – individua la posizione delle faglie che si sono attivate il 26 dicembre 2018 e circoscrive attorno ad esse sia la Zona di Suscettibilità (ZS) che quella di Rispetto (ZR). L’individuazione di tali aree ha consentito di procedere con l’opera di ricostruzione anche nelle zone più esposte al rischio sismico e quindi anche a Fleri, modulando gli interventi in relazione al delicato contesto geologico-strutturale della zona”.
Tutto il territorio etneo, comunque, è a rischio. In particolare le aree antropizzate più vicine alla cima. Una situazione nota, come afferma Neri. “In questo momento, ma direi sempre, sono a maggior rischio vulcanico tutte le zone poste in prossimità della sommità del vulcano, ovvero quelle maggiormente esposte all’invasione di colate di lava generate dall’attività sommitale e dall’apertura di fessure eruttive laterali – dice. A quote medio-basse, è la sismicità prodotta dalle faglie vulcano-tettoniche etnee a proporsi come elemento di maggiore pericolosità, faglie come quelle di Fiandaca, responsabile del sisma del 2018, o come quelle della Pernicana (fianco nord-est del vulcano), delle Timpe (tra Capomulini e Giarre) o di Ragalna (a sud-ovest). Si tratta, per lo più, di sismicità non eccezionale (solitamente di magnitudo minore di 5) ma superficiale, e quindi potenzialmente distruttiva seppure in aree limitate”.
La recente attività sismica che ha colpito il catanese, invece, non avrebbe a che fare con l’attività del vulcano. “Lo sciame sismico che ha colpito la zona di Motta Sant’Anastasia nelle scorse settimane corrisponde ad una tipica sequenza sismica di natura tettonica, legata ai movimenti della crosta siciliana e che rientra nella normale attività sismica della Sicilia orientale. Nulla a che vedere, quindi, con l’Etna, anche se – conclude l’esperto – sia il vulcanismo che la sismicità sono generati dal medesimo contesto geodinamico di collisione tra la placca tettonica africana e quella eurasiatica”.
M.T.
IL GRANDE SISMA DI MESSINA DEL 1908 (CONTINUA LA LETTURA)

