Terremoti, la storia non insegna: 300 anni fa mezza Sicilia rasa al suolo

Terremoti, la storia non insegna: 300 anni fa mezza Sicilia rasa al suolo

Tra il 9 e l’11 gennaio del 1693 una serie di forti terremoti sconvolsero la Val di Noto. Da allora altri tragici eventi: Messina del 1908 e del Belice nel 1968, ma in Sicilia poca prevenzione

Terremoti, la storia non insegna: 300 anni fa mezza Sicilia rasa al suolo

Messina, a oltre cent’anni dal sisma del 1908
“La Città dei Piani è ancora senza un Piano”

MESSINA – Quei 38 interminabili secondi che spezzarono un filo che si tenta ancora di riannodare. Erano le 5,21 del 28 dicembre 1908 quando la terrà cominciò a tremare. Quel sisma di magnitudo 7,1 trascinò nella sua violenza distruttiva gran parte della provincia di Messina, Reggio Calabria e Catanzaro, per una superficie di oltre seimila chilometri quadrati. Il successivo maremoto, con onde alte oltre due metri e mezzo, portò via tutto quello che c’era lungo le coste dello Stretto.

Furono circa 100mila i morti, di cui 65mila messinesi, il 42% della popolazione. Una città quasi rasa al suolo pose davanti a scelte che inevitabilmente avrebbero condizionato il suo futuro. Ricostruire lì o ricominciare da un’altra parte? Affidarsi a regole antisismiche (prescrizioni su materiali, altezze, distanze) o azzardare nuove tecnologie contenute in alcune proposte che arrivarono? Puntare su una città moderna (emporio commerciale) o ripartire dalla sua storia e vocazione marinara? Che città abbiamo dopo i tanti piani e varianti che si sono susseguiti in questi decenni? Il QdS lo ha chiesto alla professoressa Elena La Spada, già docente di Urbanistica all’Università di Reggio Calabria, autrice di numerose pubblicazioni e consulente nella redazione di alcuni Piani di Zona.

“Il Piano Borzì applica l’ingrandimento a scacchiera e cerca di risparmiare la trama antica, di non cancellare le tracce del passato ma di fatto, con l’applicazione delle nuove leggi sismiche emanate tra il 1908 e il 1911, una serie di vincoli fa sparire la città antica. È vero che si riprendono gli assi principali – continua – ma sono traslati perché la dimensione minima delle strade non consentiva di mantenere gli allineamenti. Viene fuori una città nuova ariosa, anche se con poco verde e senza previsione di ampliamento. Un progetto che si basa su 90mila abitanti (dopo il terremoto Messina ne aveva poco più di 20mila). Il Piano Borzì insedia la città tra il torrente Gazzi e l’Annunziata, perimetrata ad ovest dalla circonvallazione, intuizione straordinaria che in parte riprende la linea delle vecchie mura ma che diventa un limite” – sostiene la docente. La città quindi si amplia dopo la guerra lungo le fiumare, tutta la parte al di là del Piano Borzì diventa una periferia slegata dall’area urbana: sono tutte le aree dell’edilizia popolare, ultra popolare dove si innesteranno successivamente i Piani di Zona. L’edilizia pubblica continuerà in queste ‘naturali’ espansioni del post terremoto”.

Un nuovo Prg viene commissionato nei primi anni ‘60, ma rimane lettera morta. “La città dei Piani, la città senza Piano – dice la professoressa La Spada – di fatto, Messina, dal Piano Borzì al Piano Tekne del ‘78 non ha avuto una visione complessiva della città. La darà, in parte, il Tekne che poi viene giudicato insufficiente – continua. Il Borzì resta valido fino al 1970; nel frattempo, la legge 167 sull’edilizia economica e popolare obbliga a dotarsi di uno strumento urbanistico in cui si inquadrino i vari Programma di fabbricazione. Una visione la darà Urbani, ma anche quel Piano fu bocciato parzialmente dalla Regione per la grande espansione prevista. Fondamentale nella pianificazione della città è la zona grigia creata dal sì o no Ponte sullo Stretto. Anche Urbani dà due soluzioni”. Non decidere sul Ponte ha inevitabilmente bloccato lo sviluppo della città. “All’inizio degli anni 60, si prevedeva lo spostamento della città nella zona nord, perché si riteneva che il ponte si sarebbe fatto – prosegue”.

Il Piano Borzì aveva una sua qualità fino a quando le successive leggi sismiche non hanno avviato una trasformazione consentendo edifici a 21 metri e 5 piani con sostituzioni senza criteri architettonici. “L’espansione – dice Elena La Spada – era prevista dai programmi di fabbricazione con piani di lottizzazioni che facevano da guida ma che non creavano collegamenti della città con le periferie. Una inversione la davano alcuni Piani di Zona del 1969 che però non sono stati applicati se non per fare nuove case, senza considerare le nuove polarità che si volevano creare nelle periferie che riprenderà Urbani come idea ma che non si è realizzata”.

L.B.

di Melania Tanteri, Claudia Marchetti e Lina Bruno

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