Attività artigiane chiuse, occhio agli abusivi - QdS

Attività artigiane chiuse, occhio agli abusivi

Antonino Lo Re

Attività artigiane chiuse, occhio agli abusivi

giovedì 23 Aprile 2020

In Sicilia diversi casi di parrucchieri, barbieri ed estetisti che hanno continuato a lavorare in nero. La situazione legata al Coronavirus ha portato alla ribalta il tema dell’economia sommersa

PALERMO – A causa dell’emergenza Coronavirus numerose imprese commerciali e artigianali sono state costrette a fermarsi. Uno stop che inevitabilmente ha messo in ginocchio la varie attività, ma nonostante la maggior parte abbia rispettato il decreto del Governo, altri hanno continuato imperterriti a lavorare abusivamente. Infatti, sono stati finora numerosi i casi in Sicilia che hanno riguardato parrucchieri, barbieri, estetisti ma non solo, scovati dalle forze dell’ordine nello svolgimento abusivo del proprio lavoro presso le proprie abitazioni o garage.

Un fenomeno quello del lavoro irregolare che si sta caratterizzando particolarmente in questo quadro emergenziale, ma che è stato sempre presente. Nei giorni scorsi un barbiere del quartiere Librino di Catania, già abusivo poiché sprovvisto di autorizzazione, esercitava nel garage di un condominio in viale San Teodoro: all’interno vi erano ben sette persone in uno spazio di appena 12 metri quadri senza finestre e senza presa d’aria, dunque ottimale per la contaminazione da Covid-19.

Insomma, la situazione legata al Coronavirus ha portato alla ribalta il tema della cosiddetta economia sommersa che riguarda quella lunga schiera di lavoratori in nero che ogni giorno si recano nei campi, nei cantieri, nei capannoni o nelle case degli italiani per prestare la propria attività lavorativa. Pur essendo sconosciuti all’Inps, all’Inail e al fisco, gli effetti economici negativi che producono questi soggetti sono pesantissimi. Secondo l’Istat, l’esercito dei lavoratori “invisibili” presenti in Italia è costituito da 3,3 milioni di persone.

A livello territoriale sono le regioni del Mezzogiorno ad essere maggiormente interessate dall’abusivismo e dal lavoro nero. Secondo quanto si evince dall’ultima indagine Istat risalente al 2017, in Sicilia sono 296.300 gli occupati non regolari, cifra che equivale al 19,8% del totale nazionale. Hanno fatto peggio solo la Calabria, dove il tasso di abusivismo è pari al 21,6% (136.400 irregolari) e la Campania con il 19,8% (370.900 lavoratori in nero). Giù dal podio di questa graduatoria ci sono la Puglia al 16,6% (229.200) e il Lazio al 15,9% (428.100).

Più virtuose le regioni del Nord Est. Se in Emilia Romagna il tasso di irregolarità è al 10,1% (216.200 irregolari), in Valle d’Aosta è al 9,3 % (5.700), in Veneto al 9,1% (206.500) e nella Provincia autonoma di Bolzano si attesta al 9% (26.400). Poco più del 10% la percentuale riscontrabile nelle Marche (10,5), in Lombardia (10,5), in Friuli Venezia-Giulia (10,5) e in Piemonte (10,6). La media nazionale è pari al 13,1%.

L’Ufficio studi della Cgia ha stimato come si ripartiscono a livello regionale i 78,5 miliardi di euro di fatturato in nero all’anno prodotto da questi lavoratori abusivi. Come visto precedentemente la situazione più critica si presenta nel Mezzogiorno. A fronte di poco più di 1.250.000 occupati irregolari (pari al 38% del totale nazionale), nel Sud il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è pari a 26,8 miliardi di euro, pari al 34% del dato nazionale.

E adesso questa folta schiera di lavoratori irregolari si trova in condizioni di assoluta povertà. Infatti, questi soggetti non si trovano sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali. In condizioni di “normalità” consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del servizio molto contenuto. Condizioni che non possono essere garantite da chi rispetta le disposizioni previste dalla legge.

Twitter: @AntoninoLoRe

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