I risultati come misuratori
Non c’è dubbio che, a causa del Covid-19 e dei suoi strascichi, gli stipendi e i compensi fissi sono stati falcidiati da un’inflazione che oscilla tra il venticinque e il trenta percento. Di botto, tutti i cittadini percettori di compensi fissi hanno visto tagliata la loro possibilità di acquisto di oltre un quarto.
Questo forte deficit non è recuperabile in pochi anni; forse ce ne vorranno dieci per ritornare al potere d’acquisto reale degli stipendi ante Covid, cioè al 2019. Tuttavia, l’esigenza di migliorare le capacità d’acquisto dei cittadini è evidente.
Cosa si dovrebbe fare? Far capire a tutti che per accelerare l’aumento nominale dei compensi bisogna aumentare la produttività del proprio lavoro. Ripetiamo il concetto di produttività: fare più cose e migliori nello stesso tempo. Facile a dirsi, difficile a farsi.
L’aumento della produttività non è teorico, ma si misura concretamente con i risultati.
Il teorema prima esposto è, credo, di facile comprensione: solo chi non vuole capirlo non lo capisce. Ma noi scriviamo per chi ha la mente aperta e desiderosa di introiettare informazioni obiettive, che facciano capire e per conseguenza facciano eventualmente modificare i comportamenti per adeguarvisi.
Se, da un canto, nel settore privato il meccanismo che vi abbiamo descritto è quasi automatico – perché c’è il conto economico da rispettare – nella Pubblica amministrazione esso è totalmente ignorato perché, lo ripetiamo sovente, i principi morali di produttività, merito, obiettività, efficacia ed efficienza sono quasi sconosciuti. E perché sono sconosciuti? Per il semplice motivo che essi non sono collegati ai compensi, cioè a stipendi, straordinari, premi e altri ammennicoli, che vengono erogati senza alcuna connessione con il rendimento e il raggiungimento dei risultati.
Tale stato dei fatti è colpa di qualcuno? Questo non è un tribunale e non cerca colpe, piuttosto la responsabilità di chi dirige una qualunque macchina amministrativa, che dovrebbe connettere sempre il costo della stessa con i suoi risultati.
Nella Regione siciliana, per esempio, con i suoi oltre undicimila dipendenti, dirigenti, funzionari e simili non si riesce a fare funzionare adeguatamente la spesa dei fondi extra regionali (Ue, nazionali, bancari, eccetera), per cui il presidente della Regione, Renato Schifani, si vede costretto a contrattualizzare circa duecentocinquanta professionisti a partita Iva affinché svolgano il lavoro qualificato che i propri dirigenti e dipendenti non sanno fare. Ma questo è uno scandalo, perché? Ciò significa, tradotto, che la Regione paga a vuoto stipendi a migliaia di persone che non rendono niente, dal che la logica osservazione che di esse se ne potrebbe fare a meno.
Peraltro, è nota la storia che circola all’interno della Regione secondo la quale se quattro o cinquemila dipendenti fossero mandati in pensione (non si possono licenziare, ma sarebbe il caso) basterebbe assumerne due o trecento molto qualificati per fare funzionare meglio la macchina amministrativa.
Scusate se continuiamo a elencare le soluzioni a un marasma regionale che nessun presidente è mai riuscito a sistemare, per cui la matassa resta sempre aggrovigliata.
Si dirà che la responsabilità del quadro desolante prima descritto è dei sindacati. Dissentiamo parzialmente, perché si dice che il pesce puzza dalla testa. E qual è la testa se non il capo dell’Aran, il quale gestisce i contratti regionali di lavoro di dirigenti e dipendenti per conto della Presidenza della Regione.
Tale presidente, di cui non ci interessa il nome, dovrebbe avere ricevuto precise direttive, per trasformare i contratti obsoleti in contratti moderni, inserendovi appunto quei principi prima indicati di produttività, merito, obiettività, efficacia ed efficienza, e solo dopo passare alla parte retributiva.
Altro scandalo è che i dirigenti regionali si fissino gli obiettivi, che è come mettere la volpe a guardia del pollaio.
Insomma, nessuno si offenda per quello che scriviamo. Invece aspetteremo o confutazione, se questa non è la verità, ovvero rimedi per rimettere apposto la Pubblica amministrazione regionale una volta per tutte.