Anche le bioenergie finiscono preda di burocrazia e nimby nell’Isola
In Sicilia appena 45 impianti, 16 volte in meno della Lombardia (dove se ne contano 748). In totale produciamo 240 GWh, l’1,2% del totale nazionale
Poco meno di un quinto della produzione di rinnovabili in Italia (17% circa), nel corso del 2019, è derivata dalle bioenergie, cioè quel vasto comparto che comprende gli impianti alimentati da biomasse solide (rifiuti urbani e altre biomasse), da biogas (rifiuti, fanghi, deiezioni animali, attività agricole e forestali) e da bioliquidi (oli vegetali grezzi e altri). La distribuzione nazionale di questi impianti – determinanti perché consentono di ricavare energie da materiale di scarto – è in crescita, con tendenze variabili, dal 2005. Secondo il Gse, tra il 2005 e il 2019, la potenza installata degli “impianti a biomasse è aumentata con un tasso medio annuo del 10%”, tuttavia “dopo la crescita continua e sostenuta che proseguiva dal 2008, dal 2014 si è verificato un rallentamento, con incrementi annuali piuttosto contenuti sia del numero sia della potenza degli impianti”.
Tra il 2018 e il 2019, la Sicilia ha fatto registrare una modesta crescita – tre nuovi impianti, passata da 42 a 45 per una potenza di 73,4 MW – ma resta ancora indietro nel meridione (metà impianti della Campania) e dalle migliori: sette volte in meno quelli di Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna (tutte abbondantemente sopra i 300) e 16 volte in meno della Lombardia che ne ha 748. Anche la produzione ne risente: in Sicilia appena 240 GWh su 19.562 nazionali, cioè appena l’1,2% del totale. Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana valgono circa il 60% della produzione nazionale.
Un peso che potrebbe avere un suo ruolo anche negli equilibri energetici di lungo periodo. Nel rapporto del Gestore dei Servizi Energetici sul monitoraggio dei target nazionali e regionali (burden sharing), cioè la ripartizione degli obiettivi energetici nazionali in sotto-obiettivi energetici regionali, a livello nazionale, nel 2019, la quota dei “consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili (ovvero il rapporto tra i CFL da FER – settore Trasporti escluso – e i CFL complessivi), pari al 17,1%, risulta superiore – in termini assoluti – di circa 0,3 punti percentuali rispetto a quello dell’anno precedente e di quasi 3 punti percentuali rispetto alla previsione del D.M. burden sharing al 2020 (14,3%)”. A controllare però i vari target regionali, si scopre, ad esempio, che, a fronte di alcune regioni con diversi punti percentuali in avanti rispetto all’obiettivo – il Veneto è a quota 16,6%, con previsione del 10,3% – la Sicilia, con 12,8% nel 2019 è invece ancora indietro rispetto agli obiettivi del 2018 (13,1%) e del 2020 (15,9%).
A congelare molti progetti ci sono opposizioni delle comunità locali – anche con motivazioni ragionevoli – e normative che non semplificano il processo decisionale, arrivando spesso ad armare l’uno contro l’altro lo sviluppo delle rinnovabili e il rispetto del paesaggio, due declinazioni dell’ambientalismo che ultimamente non sembrano procedere sempre di pari passo. Tra i casi siciliani più evidenti, segnalati da Legambiente nel report “Scacco matto alle rinnovabili”, ci sono appunto due impianti bioenergetici: il biometano di San Filippo del Mela e il biogas di Pozzallo. Su quest’ultimo, del quale abbiamo approfondito la storia nell’edizione di sabato scorso, si attende a giorni una sentenza del Tar sull’esito del ricorso presentato da alcuni privati in seguito all’autorizzazione alla costruzione.
Rosario Battiato

