Centri per l’impiego, burocrazia e niente più - QdS

Centri per l’impiego, burocrazia e niente più

Centri per l’impiego, burocrazia e niente più

martedì 10 Agosto 2021

Scollegati dai corsi di formazione regionale sono destinati a restare contenitori vuoti Barone (Uil Sicilia): “Così come sono non servono”. Messina (Ugl Sicilia): "Prima di assumere riqualificare"

di Michele Giuliano e Patrizia Penna

Centri per l’impiego, navigator e corsi di formazione. In Sicilia c’è solo un enorme ed inutile apparato burocratico dietro a quello che dovrebbe essere invece il sistema (dinamico e digitalizzato) volto a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Il problema è che, a fronte delle risorse impiegate, i risultati sono, a voler essere buoni, deludenti. La disoccupazione è galoppante e questo al netto comunque dell’ultimo terribile periodo segnato dalla pandemia: secondo i recenti dati Istat, in Sicilia il tasso di occupazione, che quantifica l’incidenza di chi lavora sul totale della popolazione residente, è al 41,5%. Gli inattivi sono 1.556.000 (di cui il 65% donne) e 466 mila sono i Neet, vale a dire la popolazione in età giovanile che risulta non far nulla: non studia, non lavora e non ne cerca nemmeno.

Eppure in questo scenario desolante nel frattempo sono stati intruppati persino i navigator, lavoratori che ipoteticamente dovrebbero supportare i centri per l’impiego nell’incrociare la domanda e l’offerta di lavoro in modo da trovare una collocazione a chi gode al momento del reddito di cittadinanza. Parliamo di 429 assunti per una manovra costata ben 60 milioni di euro a copertura del loro contratto biennale.

Nel frattempo da non dimenticare che già in Sicilia ci sono ben 1.800 lavoratori impiegati nei vari centri per l’impiego, un record tutto regionale dal momento che in tutta Italia sono appena ottomila.
Adesso si parla di un bando per l’assunzione di altri 1.200 lavoratori, ma nel frattempo il ritardo della Regione nell’emanare il bando ha fatto perdere la prima annualità del 2021 di fondi stanziati dallo Stato. Tutto rimandato al 2022, sempre che si farà in tempo.

In tutto questo si consuma un paradosso nel paradosso: non si riescono a trovare nemmeno i profili professionali necessari per le imprese. Proprio così, e a dirlo è Unioncamere Excelsior, storia che ripete ad ogni bollettino mensile che emana sul fabbisogno di professionalità nelle aziende. L’ultimo racconta che nel periodo che va da luglio a settembre di quest’anno, le imprese hanno previsto quasi 70 mila assunzioni; 30.960 solo nel mese di luglio, ma ben il 23% sarà di difficile reperimento. Di questi posti di lavoro, l’11,7% rimarrà vacante per mancanza di candidati, e nel 10% dei casi non si troveranno candidati con una preparazione adeguata. Un vero problema, se si pensa alla pletora di disoccupati anche altamente scolarizzati che sono ancora in attesa di una possibilità di cominciare o riprendere la propria vita lavorativa.

Ma le notizie sconfortanti per il mondo del lavoro e imprenditoriale mica finiscono qui. Perché in questo “conto”, già di per sé salatissimo, la Sicilia ha sul groppone da contare anche i costi della formazione professionale finanziata dalla Regione. C’è da dire che oramai dal 2015 la macchina si è inceppata e solo in questi ultimi 6 anni solo a singhiozzo sono state finanziate alcune annualità. In questo lasso di tempo si è dato vita all’Avviso 2 e sembra essere in partenza l’Avviso 8: insieme fanno quasi 270 milioni di euro per il finanziamento dei soli corsi tradizionali, al netto di quelli per la continuità scolastica.
Ma prima di questa stagnazione il settore ha divorato milioni su milioni, compartecipando alla voragine del buco di bilancio regionale e con l’aggravante di non aver prodotto alcun risultato. Dal 2004 al 2015 sono state finanziate 18mila ore di formazione costate alla Regione qualcosa come 2,6 miliardi di euro. Risultato? Imbarcati migliaia di estetisti e parrucchieri, per il resto solo il deserto più assoluto.

L’intervista del QdS a Claudio Barone, segretario generale della Uil Sicilia

Qualche giorno fa avete lanciato l’allarme sulle assunzioni nei Cpi dove tutto è fermo. A cosa è dovuto il ritardo della Regione siciliana?
“Purtroppo non è solo la Regione Siciliana in ritardo ma la maggior parte delle Regioni. Si sono perse le risorse di un’annualità, e queste potevano essere assunzioni già fatte dal governo nazionale. Parliamo di un’opportunità per 1.110 persone in Sicilia e risorse per circa 30 milioni di euro. Parliamo di un bando che non è stato ad oggi pubblicato che nel quadro di queste assunzioni doveva prevedere una quota del 30 per cento riservata ai dipendenti regionali, il resto era aperto a tutti prevedendo però un punteggio aggiuntivo per esperienze nelle politiche attive del lavoro, e dunque in tal senso con opportunità per navigator ed ex sportellisti. Tale ritardo ha fatto perdere un anno di queste risorse per il 2021, e ora non resta che aggrapparsi alle annualità 2022 e 2023. Al di là di ogni tipo di ragionamento, parliamo di tanti posti di lavoro in Sicilia e di per sé è una grande occasione ma sicuramente questo non basta. C’è un problema di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Siamo una regione con una disoccupazione galoppante ma tante imprese dichiarano che fanno ricerche e non trovano le professionalità necessarie. C’è sicuramente anche un sistema discorsivo collegato al reddito cittadinanza e a quello di emergenza, parliamo di un bacino di circa mezzo milione di siciliani. Storture dovute alla mancanza di politiche attive del lavoro da accompagnare questo sistema. Se io devo andare a fare un lavoro di pochi mesi per una qualifica bassa non conviene, è illogico che qualcuno rinunci al sussidio. Invece, c’è da creare un sistema con offerte di lavoro qualificate e di prospettiva, dunque contratti a lungo termine. Con queste condizioni il soggetto interessato viene invogliato a lasciare il reddito di cittadinanza o qualsiasi altro tipo di sussidio”.

Non saranno certo le sole assunzioni a rendere i Cpi efficienti: quale deve essere lo step successivo?
“Noi dovremmo modificare la rete dei Centri per l’impiego, fare delle convenzioni e coinvolgere i Comuni. In questo modo si può rendere il servizio più capillare per il territorio. Ad oggi queste strutture sono slegate da Comuni e soprattutto dalle imprese. Non fanno politiche attive ma si limitano solamente a registrare il disoccupato. Da qui necessita una rete diffusa che sia in grado di identificare le esigenze di carattere formativo e programmare gli interventi, in modo da far uscire questi centri da tale isolamento istituzionale per identificare domanda e offerta del lavoro. Oggi la loro è una funzione quasi esclusivamente burocratica e così com’è non serve”.

L’assessore regionale al Lavoro, Antonio Scavone, in una recente intervista rilasciata al Qds ha ammesso che i corsi di formazione sono scollegati dai Cpi: che speranza hanno così i giovani di collocarsi nel mercato del lavoro?
“Il problema è che dobbiamo creare una qualificazione professionale che sia effettivamente utile. È evidente che per esempio nel settore turistico, uno dei pochi che prima della pandemia aveva una condizione di crescita in Sicilia, una delle criticità riscontrate era nella scarsa disponibilità di personale che fosse in grado di parlare più lingue. Non serve solo saper parlare italiano e inglese ma più lingue, come francese, spagnolo e tedesco. Oggi i giovani con tale preparazione sono pochissimi. Servono poi competenze informatiche e di alfabetizzazione per le imprese, un’altra strozzatura è questa. E poi creare altri percorsi formativi legati proprio alle esigenze di queste imprese. Più che prevedere un catalogo formativo astratto, bisogna a mio parere andare a vedere dei progetti formativi da confrontare direttamente con le imprese. Tutto il sistema è scollegato, l’apparato formativo non dialoga con le aziende che poi sono quelle che hanno bisogno di certi profili. Oggi il mercato del lavoro è molto fluido, quindi serve pianificare non solo quelle professioni di base ma si deve entrare nello specifico di quel che serve. I cataloghi della Regione si sono rilevati spesso inutili”.

La Regione ha pubblicato il catalogo provvisorio dei corsi Iefp: il 30% riguarda parrucchieri ed estetisti. In un mercato del lavoro sempre più digitalizzato, stiamo andando nella direzione giusta?
“Questo è sicuramente quell’aspetto più vecchio del sistema formativo di cui parlavo, sicuramente non è la prospettiva del domani. Non possiamo pensare che i giovani siciliani possano trovare prospettive esclusivamente in questo ambito. Bisogna insistere invece su competenze di carattere digitale, declinandone poi nelle varie specializzazioni, quindi servono più progetti specifici. Il parrucchiere e l’estetista funzionano perché sono delle figure autoimprenditoriali. Anche questa è una stortura, anche perché magari l’eccessivo numero di queste formazioni finisce per andare ad alimentare il mercato del lavoro in nero. Questo titolo abilita all’esercizio dell’attività, forse è questo il motivo per cui ancora oggi vi è una grande domanda. È un effetto paradossale, non ho nulla contro questi profili e la creazione di questi corsi ma non è la prospettiva sulla quale insistere. È drammaticamente visibile che le imprese non trovano le professionalità, devono farle venire da fuori Sicilia. Mentre i nostri ragazzi stanno emigrando, vediamo al contrario siciliani in grado di accedere a queste nuove professioni. Ribadisco che ci deve essere uno strettissimo rapporto tra chi analizza i flussi del mercato del lavoro e la formazione siciliana. Questi due mondi finora non si sono parlati”.

I contratti dei navigator sono in scadenza il 31 dicembre: qual è lo scenario per il 2022? L’assunzione senza concorso nella Pa è la soluzione?
“L’orientamento del governo nazionale va nella direzione di snellire le vecchie procedure, valorizzare le professionalità che già ci sono. Parliamo comunque di persone che hanno titoli elevati, vero è che i risultati non sono stati eccezionali ma c’è da dire che è la macchina complessiva che non ha funzionato. Tanto per rendere chiaro un aspetto su tutti: non esiste una sola Regione in cui è stata riproposta la stessa convenzione per l’utilizzo di queste figure. Dovremmo quindi andare verso un modello coerente, la stabilizzazione dei navigator può essere un elemento importante. Hanno ragione a pretendere anche una stabilizzazione gli ex sportellisti? In Sicilia dobbiamo anche valorizzare gli ex sportellisti, le pretese sono fondate in ambedue i casi. Con la differenza che i navigator sono collegati allo Stato e la spesa è quindi a carico del governo nazionale, per gli sportellisti dovrebbe intervenire la Regione. Una soluzione potrebbe essere proprio l’inserimento di queste figure all’interno dei centri per l’impiego”.

Giuseppe Messina, segretario Ugl Sicilia

Ritardi nelle assunzioni nei centri per l’Impiego della Sicilia. Cosa è successo?
“Il cosiddetto concorso per 1.035 lavoratori che è stato oggetto anche di confronti in Assemblea regionale e di incontri tra l’Amministrazione regionale e i sindacati di fatto non è mai decollato nel senso che la procedura non si è mai completata. Ha subito una serie di stop dovuti ad aspetti legati al contenuto del bando e poi nell’ultima fase la sua stesura era stata affidata a Formez ma successivamente il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, ha concluso il rapporto fiduciario con Formez”.

Quindi il solito intoppo burocratico?
“Non soltanto un fatto burocratico, cioè legato alla procedura. Nel frattempo il Governo Draghi, attraverso la figura del ministro Brunetta, ha messo mani ad un decreto legge che è stato poi parzialmente modificato in sede di conversione in legge e prevede alcuni step legati alla procedura e ai contenuti. La situazione era complessa e si è complicata ancora di più. Prima però di procedere al concorso per inserire con la qualifica C e D i lavoratori che sono necessari per potenziare i Cpi così come da disposizioni del governo nazionale, il nostro sindacato è convinto che occorre tutelare i diritti di coloro che già ci lavorano e mi riferisco in particolare alle categorie A e B. Senza una riqualificazione e riclassificazione del personale di quest’ultime categorie, non siamo disponibili a dare il nostro assenso alle nuove assunzioni”.

Dunque a suo dire le nuove assunzioni non hanno senso se prima non si riqualifica il personale esistente?
“Certo. Consideri che sono circa duemila i lavoratori che ruotano attorno al Dipartimento regionale per il Lavoro, ai suoi uffici periferici e quindi ai centri per l’impiego. Di questi, 1.800 rientrano nelle categorie A e B. Come si fa a far entrare giovani laureati senza prima far transitare nelle categorie C e D chi ha lavorato per anni e possiede titoli identici di chi ha molti meno anni di servizio?”

Senza sminuire i diritti dei lavoratori, anche il passaggio della riqualificazione non andrebbe a risolvere il nodo più importante e cioè il vero obiettivo dei Centri per l’Impiego: collegare domanda e offerta di lavoro. Cosa che i Cpi non fanno.
“Il diritto alla tutela dei diritti acquisiti per noi è al primo posto. A seguire, concordo con quanto dice e cioè che ci sono altri problemi. Il primo è la digitalizzazione degli uffici. Il secondo è il potenziamento degli strumenti da mettere a disposizione del personale: solo così sarà possibile fare il famoso matching tra domanda e offerta di lavoro. Serve un’offerta qualificata e per arrivare a questo obiettivo gli assessorati Istruzione e Formazione da una parte e Lavoro dall’altra, devono dialogare di più per far sì che decollino le politiche attive del lavoro, cosa che ad oggi non è avvenuta”.

La riforma dei Cpi da chi dipende, da noi o da Roma?
“Da Roma sono già disponibili le risorse necessarie, ripartite tra l’altro già un anno fa, per il potenziamento deli centri per l’Impiego di tutta Italia. Per quanto riguarda la Sicilia, serve una filiera che parta dalla formazione dei minori in obbligo scolastico che devono specializzarsi con un percorso triennale o quadriennale per acquisire una qualifica che sia collegata alle specificità “professionali” del territorio. La Sicilia ha nove province, ognuna delle quali possiede peculiarità economico-produttive. Per esempio, le qualifiche legate all’ambito ambientale, potrebbero essere utili per le aree industriali del nisseno o del siracusano. Le professionalità agroalimentari potrebbero essere utili per le province di Agrigento e Trapani. Dobbiamo riuscire a mettere insieme le esigenze delle imprese con le quali bisogna fare un patto vero di sviluppo con le associazioni datoriali (che rappresentano appunto le imprese), i sindacati che potrebbero fare da filtro, l’Amministrazione regionale con i Cpi ma anche la rete delle scuole dei mestieri e delle scuole secondarie più in generale. Naturalmente tutti questi passaggi e tutte le informazioni devono essere incrociate con un adeguato processo di informatizzazione”.

Che fine faranno i circa 400 navigator siciliani? Quale scenario immagina dopo il 31 dicembre?
“I navigator sono nati da una precisa scelta nazionale. Sono innestabili in questo processo di riforma ma non è possibile che vengano stabilizzati senza passare da un concorso”.

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