Comuni in crisi, l’unione fa la forza ma in Sicilia i modelli virtuosi vengono ignorati - QdS

Comuni in crisi, l’unione fa la forza ma in Sicilia i modelli virtuosi vengono ignorati

Paola Giordano

Comuni in crisi, l’unione fa la forza ma in Sicilia i modelli virtuosi vengono ignorati

giovedì 04 Giugno 2020

La gestione associata, per esempio della riscossione dei tributi, consente di potenziare l’efficienza degli uffici

PALERMO – Proverbi e detti antichi difficilmente si sbagliano e oggi più che mai uno di essi assume un significato particolare: l’unione fa la forza. La gestione associata del servizio di riscossione dei tributi locali ne è la prova. Una formula che funziona – basti pensare al caso virtuoso messo in piedi dall’Unione dei Comuni modenesi area Nord (Ucman) – ma che in Sicilia fatica a prendere piede.

Il modello è semplice: unire le debolezze, relative principalmente alla carenza di personale qualificato, per costituire un ufficio che – organizzato in modo da favorire prima di tutto l’adempimento spontaneo, supportando con diversi canali i contribuenti, dai servizi di compilazione gratuita dei bollettini di versamento, alla tenuta di un sito web aggiornato, con guide semplificate per ogni tributo, ai servizi di consulenza personalizzati, anche con riferimento alla determinazione dei valori delle aree fabbricabili – può raggiungere, con pochi investimenti, buoni risultati.

Ce lo ha spiegato, poco prima dell’emergenza Covid-19, Pasquale Mirto, dirigente del settore Entrate dell’Ucman. Che ha precisato: “Per farlo però sono necessarie volontà politica, almeno una persona altamente qualificata e dotazioni informatiche sufficienti”.

Come in altre circostanze, l’Isola si distingue – in negativo – dal resto della Penisola: mentre la normativa nazionale favorisce la collaborazione tra di Enti locali al fine di coordinare in modo più efficace settori complicati come quello dei tributi, la Lr 15/2015 dispone nell’Isola il divieto di unioni tra Comuni. L’art. 41, c. 1, della citata norma recita infatti: “…è fatto divieto ai Comuni di istituire nuove entità, comunque denominate, ivi compresi gli organismi di cui agli articoli 31 e 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per l’esercizio associato di funzioni, fatte salve quelle previste per legge nonché le convenzioni per l’espletamento di servizi”.

Eppure, di fronte a un tarlo come la difficoltà di riscossione, l’unione potrebbe essere una soluzione efficace. A maggior ragione adesso che iniziano a emergere le prime avvisaglie del lungo periodo di chiusura quasi totale del Paese a seguito dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Perché il rischio serio è che gli Enti locali collassino: con i tagli sempre più drastici dei trasferimenti statali e regionali da un lato e le enormi difficoltà a riscuotere i tributi locali dall’altro, le casse dei Municipi sono sempre più vuote. Le spese però sono sempre le stesse: stipendi dei dipendenti e soprattutto le risorse necessarie a garantire i servizi essenziali a tutti i cittadini, sia che adempiano ai propri doveri sia che non lo facciano. E con la proroga o la sospensione del pagamento dei tributi locali stabilita per venire incontro alle difficoltà economiche di molti cittadini i Comuni rischiano di non incassare neanche le poche entrate su cui potevano contare. In un contesto, peraltro, in cui l’evasione dei tributi locali è uno tra i principali problemi con cui gli amministratori dei Comuni, piccoli o grandi che siano, si trovano costretti a fare i conti. Conti che, però, nella stragrande maggioranza dei casi, non tornano.

È quanto emerge dalle stime su evasione e morosità degli italiani elaborate dall’Ufficio studi della Cgia. Secondo i dati del ministero dell’Interno riferiti al 2016 (ultimo anno disponibile) nei Comuni isolani la stima dell’evasione di Imu e Tasi ammonta a 369 milioni di euro, con una tax gap – differenza tra le imposte che vengono effettivamente incassate dalle amministrazioni locali e quelle che si incasserebbero in un regime di perfetto adempimento spontaneo alla legislazione esistente – che si attesta al 36,6 per cento, contro una media nazionale che si ferma al 26,7 per cento. Il che vuol dire che nella nostra Isola a non pagare sono quasi quattro contribuenti su dieci.

Neanche sul fronte Tari la situazione è confortante: secondo le stime emerse dai dati del Laboratorio Ref ricerche e Crif ratings, nel 2018 agli Enti locali siciliani sono mancati all’appello ben 386 milioni di euro, pari a 77,2 euro per abitante. Più del doppio rispetto alla media pro capite nazionale (35,5 euro).

Non parliamo dunque di pochi spicci bensì di cifre che nel bilancio di un Ente locale fanno – eccome – la differenza. La parola d’ordine per chi amministra un Comune deve essere “attenzione”: non solo alle spese ma anche alle entrate, in particolar modo a quelle tributarie. Organizzare alla perfezione un ufficio Tributi non è affatto facile, specie per i Comuni di piccole dimensioni: serve innanzitutto personale che possegga adeguate competenze in materia e servono anche idonei strumenti informatici che consentano di scovare i furbetti. Elementi che non tutti i Comuni hanno a disposizione ma di cui potrebbero dotarsi proprio con una gestione associata del servizio.

Difficile per gli amministratori chiudere i bilanci. Chiesti dall’Anci nazionale 3 mld al Governo Conte

PALERMO – Quello della riscossione dei tributi è dunque un tema caldo per tutte le Amministrazioni comunali, grandi e piccole che siano, specie nel Mezzogiorno: se tutti pagassero quanto dovuto gli Enti locali avrebbero gli strumenti per garantire servizi di pubblica utilità.

Sull’argomento, Anci Sicilia ha organizzato proprio ieri pomeriggio un webinar formativo incentrato su ”Come accrescere i risultati della riscossione e dell’accertamento tributario e sull’impiego delle banche dati”, nel corso del quale il relatore, Dario Gambino, ha illustrato le caratteristiche principali delle banche dati nazionali e locali, le modalità di impiego dei basamenti informativi insieme ad alcuni esempi di analisi favorite dall’utilizzo dei basamenti informativi per accrescere la riscossione.

La decisione presa dagli amministratori di prorogare le scadenze ha di fatto dato un sospiro di sollievo ai tanti cittadini in difficoltà a causa della crisi, ma ha anche comportato un mancato introito nelle casse comunali. Tra i punti su cui Anci – come dichiarato dal presidente, Antonio Decaro, sindaco di Bari, al termine dell’incontro dei sindaci metropolitani (che nei giorni scorsi hanno chiesto un confronto) con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – ha chiesto l’impegno del Governo ci sono anche la richiesta di altri 3 miliardi, oltre ai 3 assegnati nel DL rilancio, per chiudere i bilanci compensando le minori entrate di questi mesi, flessibilizzazione delle regole relative ai vincoli finanziari, norme straordinarie per la gestione degli squilibri di bilancio per il 2020 e la sospensione dei piani di rientro per tutti i Comuni per il 2020 e dei procedimenti riguardanti la verifica dei piani di riequilibrio pluriennali.

Dal canto loro, però, i Comuni hanno il dovere di fare la loro parte per iniziare a reggersi sulle proprie gambe. Una strada l’abbiamo appena suggerita: la gestione associata di uffici strategici come quello della Riscossione. Pagare tutti, per pagare meno.

I 5 punti dell’Anci
1) riconoscimento del ruolo dei sindaci nell’attuazione di politiche per la ripresa attraverso l’assegnazione diretta di fondi per cultura, turismo, mobilitò e welfare
2) altri 3 miliardi, oltre i 3 assegnati nel Dl rilancio, per chiudere i bilanci compensando le minori entrate di questi mesi
3) flessibilizzazione delle regole relative ai vincoli finanziari, norme straordinarie per la gestione degli squilibri di bilancio per il 2020
4) sospensione dei Piani di rientro per tutti i Comuni per il 2020 e dei procedimenti riguardanti la verifica dei Piani di riequilibrio pluriennali
5) regole semplificate e poteri commissariali per la realizzazione di alcune opere prioritarie e urgenti

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