Come evidenziato anche in uno studio realizzato per Adnkronos dal Centro studi Enti locali (Csel) il primato in questa poco invidiabile classifica spetta alla Calabria. Seguono Campania e Sicilia, con rispettivamente il 45 e 44% di Enti dissestati o in Riequilibrio finanziario. E poi ancora Puglia con il 32% del totale, Basilicata (27%), Molise (26%), Lazio (22%), Abruzzo (12%), Umbria (11%), Liguria, Toscana e Marche (6%), Emilia Romagna (4%), Lombardia (3%), Piemonte (2%) e Veneto, Sardegna e Trentino-Alto Adige. Uniche regioni che risultano completamente estranee al fenomeno sono il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta.
I Comuni che attraversano difficoltà finanziarie sono soggetti a numerosi vincoli che imbrigliano la loro capacità di spesa per favorire l’obiettivo risanamento dei conti. A scagionare parzialmente gli amministratori vi sono poi alcune attenuanti oggettive, che indicano come non sempre le criticità finanziarie siano sinonimo di cattiva gestione della Cosa pubblica: ci sono infatti anche fattori che favoriscono il subentrare di queste condizioni che sfuggono al controllo delle Amministrazioni comunali, quali la minore capacità di riscossione correlata a situazioni socio-economiche critiche, con bassa capacità reddituale e disoccupazione diffusa. La stessa Corte Costituzionale nel 2020, con sentenza n. 155, sottolineò come le crisi finanziarie degli Enti locali non sono sempre imputabili a cattiva amministrazione e sono invece, in alcuni casi, conseguenza delle difficoltà economiche e sociali del territorio.
“Come più volte lamentato dai loro amministratori – ha sottolineato il Csel nello studio citato – i particolari vincoli di spesa previsti per gli enti in default o che hanno avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale implicano, per chi è chiamato a governarli, avere le mani legate e non essere in grado di incidere significativamente con misure che possano, ad esempio, rilanciare l’economia locale, spesso depressa. La costante erosione del contingente di personale impegnato negli Enti locali, cui si è assistito negli ultimi anni, ha poi contribuito a incancrenire le inefficienze e i colli di bottiglia che hanno frenato la capacità dell’ente di migliorare le proprie performance”.
D’altro canto, bisogna ricordare come, per esempio in Sicilia, spesso si sia dato fondo alle risorse per ingrassare gli organici con dipendenti con scarse professionalità, che hanno fatto lievitare la voce di bilancio legata ai costi per il personale. Non a caso gli Enti locali della nostra Regione hanno un costo per i dipendenti che è tra i più alti del Paese.
Insomma, la fotografia che riguarda il Paese, e la Sicilia soprattutto, è tutt’altro che rassicurante. Serve una svolta per cambiare passo e seguire l’esempio dei Comuni più virtuosi, che ci sono – anche in Sicilia – e spesso vengono dimenticati. Pensate che c’è anche un’Associazione nazionale che riunisce i Municipi migliori d’Italia, ma in pochi ne parlano. Anche perché, a volte, chi lavora male fa più rumore di chi lavora a testa bassa e in silenzio ottenendo risultati importanti. Ad andare in soccorso ai Comuni c’è il Pnrr. Ecco come dovrebbe essere utilizzato. CONTINUA LA LETTURA

