Nel vischioso mondo in cui si muove la criminalità organizzata, i rapporti hanno non di rado contorni sfumati. Le ingerenze possono trasformarsi in offerte.
“A Palermo, moltissimi imprenditori giocano con questi sistemini: vogliono passare come persone danneggiate da Cosa Nostra”. Era la fine di novembre del 2022 quando Filippo Bisconti, ex boss divenuto collaboratore di giustizia, chiariva ai magistrati che per quanto sia indubbio che la mafia imponga il pizzo, non sempre chi paga è da inquadrare soltanto come una vittima.
Nel vischioso mondo in cui si muove la criminalità organizzata, i rapporti hanno non di rado contorni sfumati. Le ingerenze possono trasformarsi in offerte, a cui non è facile sottrarsi ma da cui si possono ricavare benefici che vanno oltre la retorica della protezione.
Tra coloro che si sarebbero mossi su questo crinale, finendo per scivolare e ritrovarsi a essere considerato un soggetto colluso con le cosche c’è Benedetto Napoli, imprenditore di 56 anni attivo nella fornitura e montaggio di ponteggi per l’edilizia. Il mese scorso, è finito ai domiciliari nel maxi-blitz che ha portato all’arresto di 181 persone.
Tra ovetti e regali
La figura di Napoli – titolare di diverse imprese a Palermo, in cui figurano soci anche i familiari – è ricostruita nelle carte dell’operazione Freccia Nera. Nell’ordinanza siglata dalla giudice per le indagini preliminari Claudia Rosini, l’imprenditore compare sia come vittima di un’estorsione che come indagato del medesimo reato compiuto a danno di due ex dipendenti.
Per la gip, nonostante a Napoli non sia stata contestata l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, l’attività di Napoli sarebbe connaturata da “infiltrazione mafiosa”, in quanto l’imprenditore avrebbe instaurato con Cosa nostra un rapporto definito “di convivenza”, che lo avrebbe portato ad accettare le richieste di pagamento della mafia ma al contempo ad avvalersi dei servizi offerti dall’organizzazione.
Nel corso delle indagini è emerso che Napoli avrebbe pagato seimila euro in occasione delle festività di Natale e Pasqua – dazioni che venivano definite dagli esponenti dei clan come “regali” e “ovetti” per i bambini che avevano la sfortuna di avere i padri in carcere – più altre somme elargite in occasione dell’allestimento di cantieri in varie zone di Palermo.
“Un personaggio paradigmatico”. È così che la giudice definisce l’imprenditore, vedendo in lui non già un’eccezione ma una figura “ampiamente diffusa nel territorio palermitano”. Dove pagare il pizzo non è mai piacevole, ma finisce per essere accettabile nel momento dà la garanzia non solo di non subire atti ritorsivi, ma anche di acquisire vantaggi sulla concorrenza.
Le parole del pentito
Ancor prima che le indagini della Dda si concludessero a esprimersi in questa direzione era stato, come detto, il collaboratore di giustizia Filippo Bisconti.
Ex esponente della mafia di Belmonte Mezzagno, Bisconti ha raccontato di non avere mai incontrato Napoli, anche per via della scelta di quest’ultimo di evitare troppi contatti con esponenti delle cosche, ma di conoscerlo come soggetto accondiscendente nei confronti di Cosa nostra.
“Praticamente in tutta la città monta i ponteggi. Era a totale disposizione della famiglia mafiosa di Bracaccio”, si legge nei verbali di Bisconti. Secondo il collaboratore, Napoli avrebbe avuto in due cugini dei fratelli Graviano – i boss protagonisti della stagione stragista – due interlocutori. Per il resto avrebbe scelto, laddove possibile, di non incontrare mafiosi. “Per evitare di farsi vedere, di farsi incontrare, di farsi fotografare, di essere al centro dell’attenzione degli investigatori, evitava di incontrare chicchessia. A tutti diceva: ‘Quando avete di bisogno, sapete a chi rivolgervi’”.
Agli inquirenti, il collaboratore di giustizia ha detto che Napoli sarebbe stato disponibile non solo a soddisfare le pretese economiche della famiglia mafiosa ma anche a fornire posti di lavoro. Alla domanda su quale fosse il vantaggio per l’imprenditore, Bisconti ha risposto: “Di prendere tutti i lavori, tutti quelli che vuole, a Palermo”.
La richiesta al clan
Napoli è stato arrestato con l’accusa di avere chiesto a esponenti di Cosa Nostra di intimidire due suoi ex operai – padre e figlio – colpevoli di essersi messi in proprio e avere deciso di fargli concorrenza nel settore dei ponteggi.
La vicenda si è svolta a inizio del 2022. Parlando con Alfonso Di Cara, ritenuto appartenente a Cosa nostra, Napoli racconta di avere subito quello che ha vissuto come un tradimento: due dipendenti, dopo essersi licenziati senza dare alcun preavviso, avevano iniziato a occuparsi del ponteggio che in principio era stato avviato proprio dallo stesso Napoli. A Di Cara, l’imprenditore indica il quartiere di cui sono originari gli ex dipendenti – la Guadagna – e chiede di fare in modo che venga imposto loro di non disturbare i propri affari. Una richiesta a cui segue l’impegno della cosca nel rintracciare i due. La ricerca non si rivela facile, al punto che Napoli non avrebbe mancato di mostrarsi stizzito, ma che alla fine sarebbe andata in porto: “Vedi quello che ti dicono. Tu gli puoi dire quello che vuoi, perché sono stati rimproverati forte”, spiegava Di Cara a Napoli. Il tutto era da intendersi come un favore, che chiaramente la cosca si aspettava venisse ricompensato.