La conseguenze dell’aggressività politico-economica trumpiana: attacchi e passi indietro che fanno male a tutti
Dopo aver deciso, a sorpresa, di sospendere i dazi per 90 giorni, tranne per i prodotti cinesi colpiti in totale al 145%, Donald Trump ha annunciato, qualche giorno fa, di escludere dai dazi Smartphone e Pc. Nelle ultime ore, però, ha minacciato, nuove tariffe sul tech, dai semiconduttori all’elettronica di largo consumo, ridimensionando l’ottimismo alimentato dalle esenzioni decise sull’elettronica. Eppure, sono passati pochi giorni da quando, stravolgendo l’economia liberale, Trump ha lanciato il “Liberation Day” per riequilibrare i rapporti di forza a favore degli Stati Uniti, facendo sprofondare le borse e innescando una crisi globale. Se alcuni commentatori hanno parlato di strategia economica, altri hanno sottolineato il “delirio di onnipotenza” del presidente statunitense. Non è ancora chiaro il motivo di queste inaspettate giravolte anche se davanti al Congresso la senatrice dem, Elizabeth Warren, ha chiesto “che venga aperta un’indagine per accertare se il presidente Trump abbia manipolato il mercato a vantaggio dei suoi donatori di Wall Street, mentre a pagarne il prezzo erano i lavoratori e le piccole imprese”.
Trump stesso, d’altronde, pare abbia tratto un cospicuo guadagno da questa manipolazione; le azioni della Trump Media and Technology Group (che possiede il social Truth), ad esempio, in una sola giornata hanno registrato il 21% in più. In tanti sperano che l’inquilino della Casa Bianca non faccia altre più o meno sgradevoli sorprese perché l’introduzione dei nuovi dazi statunitensi – in quello che Donald Trump ha definito il “Liberation Day” cioè il “giorno della liberazione” – ha alimentato la preoccupazione per il rischio che una vera e propria guerra commerciale e per il deragliamento l’economia globale. Il presidente degli Stati Uniti ai primi di aprile ha annunciato e imposto dazi “reciproci” sulle importazioni negli Stati Uniti, probabilmente i più alti dagli anni ‘30, con un dazio universale del 10% e dazi più elevati verso i principali partner commerciali, tra cui Cina (34%), Unione europea (20%) e Giappone (24%). Pechino sta rispondendo con durezza alla guerra commerciale della Casa Bianca: ha di fatto ormai sospeso l’export di un ventaglio di terre rare e minerali critici, compresi potenti magneti essenziali a industrie che vanno dall’auto all’aerospazio, dai colossi dei chip alle aziende della difesa. “L’introduzione dei cosiddetti ‘dazi reciproci’ – secondo il portavoce del ministero del Commercio cinese – tramite un ordine esecutivo non solo viola le leggi fondamentali dell’economia e del mercato, ma ignora anche la cooperazione complementare e il rapporto domanda-offerta tra i Paesi”. “Sin dalla loro introduzione – ricorda il portavoce – i dazi non solo non sono riusciti a risolvere nessuno dei problemi degli Stati Uniti, ma hanno anzi seriamente minato l’ordine economico e commerciale internazionale, interferito seriamente con la normale produzione e il normale funzionamento delle imprese, nonché con la vita e i consumi delle persone, e danneggiato altri senza trarne alcun vantaggio”.
Tanti analisti – sia in Europa che nel resto del mondo – ritengono che una controreazione scomposta potrebbe innescare una vera e propria guerra commerciale che, insieme all’incertezza, al calo della fiducia delle imprese e dei consumatori, spingerebbe l’economia globale verso la recessione. Oltre all’impatto diretto sui flussi commerciali, il principale meccanismo di trasmissione dei dazi è, infatti, l’aumento dell’incertezza in merito alla politica commerciale, che rende più difficile, costoso e complesso per le aziende di tutto il mondo pianificare e svolgere la propria attività. L’incertezza, come spiegava Keynes, rallenta gli investimenti, ci convince a voler rinviare le decisioni di produzione e consumo. Il denaro (assieme ad altri strumenti finanziari) diventa un espediente per rimandare le nostre decisioni e conservare il potere d’acquisto. L’incertezza è legata all’incapacità, da parte degli agenti economici, di fare previsioni attendibili su eventi futuri, per mancanza di conoscenza. Non è possibile, infatti, costruire un ventaglio di probabilità misurabile per ogni evento che potrà accadere. E non è possibile quantificare ex ante l’impatto che un evento avrà sui settori produttivi e sul commercio né tentare di porvi riparo, poiché non si ha nemmeno idea se questo accadrà o meno. Le scelte dei soggetti economici (imprenditori, operatori finanziari, famiglie) in condizioni di incertezza e le fluttuazioni della produzione e dell’occupazione che ne derivano sono il fulcro dell’analisi che l’economista britannico ha proposto nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, uscita il 4 febbraio 1936, in piena Grande Depressione.
Ora, sebbene molto dipenda dalla misura in cui i partner commerciali degli Stati Uniti reagiranno o avvieranno negoziati con l’amministrazione Trump, i dazi annunciati, implementati in una prima fase e poi sospesi, creeranno insicurezza e costituiranno un freno significativo alla crescita globale, una continua turbolenza del mercato e una preferenza per gli asset percepiti come più sicuri, come l’oro e il debito pubblico statunitense a breve termine. Senza alcun dubbio il grado di precarietà, che caratterizza il contesto decisionale degli agenti economici, è in questo contesto assai elevato. Catene di produzione più complesse e potenziali significativi oneri amministrativi rappresentano questioni chiave che le aziende dovranno affrontare nei prossimi mesi. L’effetto a catena sarebbe probabilmente un aumento dei prezzi di beni e servizi (con conseguente crescita dell’inflazione) e una riduzione dell’attività economica. Anche se si evitasse una recessione, ci sarebbe una maggiore probabilità di una fase almeno temporanea di stagflazione, cioè di stagnazione congiunta all’inflazione in cui l’attività economica ridotta e l’aumento delle pressioni sui prezzi frenano la crescita economica. Le banche centrali – in particolare la Federal Reserve statunitense – potrebbero essere restie a tagliare i tassi in modo deciso fino a quando non emergeranno evidenze concrete di un indebolimento della crescita.
E mentre le borse di tutto il mondo – nonostante il rimbalzo dopo la sospensione dei dazi, hanno bruciato in pochi giorni una grande quantità di miliardi – alla mancanza di stabilità economica si aggiunge la percepita inaffidabilità di Trump che un giorno dice di voler distruggere la Cina, colpevole di essere diventata forte e potente e di esportare in tutto il mondo, il giorno dopo attacca l’Europa dicendo che gli Stati Uniti “pagano” la difesa dell’Europa e “loro ci fregano col commercio”. Il deficit commerciale di 350 miliardi di dollari con la Ue, ha detto il presidente, “sparirà in fretta”, perché “dovranno comprare l’energia. “Se l’Europa vuole trattare – ha aggiunto – deve darci un sacco di soldi”. Certo, anche l’Italia non è messa benissimo. La strada del dialogo è quella suggerita dal vice premier e ministro dell’Interno, Antonio Tajani. “Siamo contrari alla guerra commerciale – ha affermato – ma anche la Commissione europea è contraria all’escalation. Oggi la posizione maggioritaria era quella di avanzare una trattativa. La guerra commerciale è una gigantesca sciocchezza”. In tanti parlano di fine della globalizzazione, ma anche gli Stati Uniti ne pagheranno le conseguenze. Per l’economista della Columbia University, Jeffrey Sachs: “Washington sta distruggendo il sistema commerciale mondiale sulla base di colossali falsità”. D’altronde “rispetto al suo primo mandato – ha rilevato Sachs – Trump sembra attribuire meno importanza alle reazioni del mercato, ai consigli economici o all’opinione pubblica, adottando invece un atteggiamento unilaterale e conflittuale”. Non a caso “The Economist” gli ha dedicato una copertina dal titolo molto esplicito “Il nuovo ordine mondiale del Don”.
Per gli analisti di JPMorgan, a causa della nuova tornata di dazi voluti da Donald Trump, gli Stati Uniti “cadranno in recessione quest’anno”. Siamo in presenza di una forma estremamente cinica di populismo: dietro la promessa di difendere gli interessi americani si potrebbero celare manovre economiche create ad hoc per arricchire le stesse aziende di Trump e dei suoi sodali, mentre il popolo che lo ha votato ne paga i costi. Quel che sembra certo è che la distanza tra governanti e governati pare essere diventata incolmabile: il potere e il denaro accrescono l’egocentrismo fino alla megalomania. Chi governa non è più interessato alle conseguenze delle sue azioni, tanto poi a pagare sono sempre gli altri. La storia ci insegna che quando il potere è troppo, il confine tra normalità e abuso diventa davvero sottile. Trump è tornato sfoderando tutto il suo repertorio, contro gli immigrati, contro l’Europa imbelle che vive con i dollari americani, contro la Cina che sta invadendo il mondo con i suoi prodotti. Voleva riprendersi la Casa Bianca e lo ha fatto e sta dimostrando di non aver digerito né la lezioncina morale del politicamente corretto, né il declino della potenza americana.
Pina Travagliante
(Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania)