Debito pubblico macigno sui giovani - QdS

Debito pubblico macigno sui giovani

Carlo Alberto Tregua

Debito pubblico macigno sui giovani

sabato 11 Dicembre 2021

Mattarella, Gentiloni, Lagarde

L’allegra finanza dei Governi italiani, approfittando (si fa per dire) del Covid-19, ha portato ad aumentare il mostruoso debito pubblico, che dovrà essere rimborsato nei decenni futuri da coloro che ancora vanno a scuola e all’università. A nulla valgono gli autorevoli moniti per imboccare, invece, la strada della sua riduzione, che non è proprio tale. Infatti, non è importante l’ammontare del debito pubblico in quanto tale, ma il suo rapporto in relazione alla ricchezza prodotta.

Ricordiamo che il Trattato europeo implica che l’indice fra debito e Pil non debba essere superiore al sessanta per cento. Oggi il debito italiano è del 156,3 per cento (secondo gli ultimi dati Eurostat) cioé molto più del doppio.
È ovvio che il Governo deve tentare di far aumentare il numeratore per far diminuire l’indice, perciò sta facendo ogni sforzo per far spendere tutte le risorse disponibili all’amministrazione centrale e a quelle regionali e locali, pur senza riuscirci, per incapacità della burocrazia.

Se da un canto vi è lo sforzo per far aumentare il numeratore della frazione, cioè il Pil, d’altro canto tale sforzo ci deve essere anche nel non fare aumentare il denominatore, cioè il debito in valore assoluto (2.706 miliardi di euro, dato Bankitalia al 30 settembre).

Perché ciò accada, è indispensabile chiudere il rubinetto dell’economia assistenziale, ovvero bloccare l’aumento delle uscite, che ormai sono diventate enormi e in parte non giustificate. Tutto il blabla circa l’assistenza sociale, quella ai poveri, ai malati e ai disabili è in parte una giustificazione ingiustificabile. Ci spieghiamo: tutto ciò che si fa per i cittadini bisognosi è doveroso, ma vi è uno sperpero di risorse per la disorganizzazione dei servizi.

Inoltre, va sottolineata l’altra disorganizzazione, quella della Pubblica amministrazione, la quale ha un coefficiente di rendimento estremamente basso, il che significa che produce pochi risultati in relazione alle risorse finanziarie e umane impiegate. Mancando il Pos (Piano organizzativo dei servizi), mancando gli obiettivi, mancando il cronoprogramma, mancando i controlli, la disfunzione della Pa è diventata cronica.

Sul debito pubblico vi sono autorevoli moniti. Il primo è quello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che con la sua saggezza, ma anche con la sua prudenza, non ha potuto fare a meno di stigmatizzare l’opportunità che la realizzazione completa ed efficiente del Pnrr deve far aumentare il Pil, ma anche ridurre il debito. Anche per dare seguito al suo monito, ci auguriamo che il Presidente voglia sacrificarsi per qualche anno come stella polare del sistema politico italiano, che è allo sbando.

Altro monito autorevole è venuto dalla Presidente della Bce, Christine Lagarde, la quale ha detto, da un canto, che i tassi bassi (vicini allo zero) saranno mantenuti ancora per un certo tempo (ma non ha assicurato che dureranno per tutto il 2022), con la conseguenza che è presumibile che già nel secondo semestre essi ricomincino a tornare alla normalità. Il che significherebbe un aumento degli interessi dei Buoni del Tesoro e quindi un aggravio delle uscite dello Stato.

Vi è di più. Lagarde ha detto anche che l’acquisto dei Titoli di Stato dei partner, soprattutto di quelli più indebitati – come Italia e Grecia – diminuirà, con la conseguenza che tali Stati saranno costretti a vendere sul mercato mondiale i loro titoli e così dovranno pagare interessi che si avvicineranno a quelli reali, cioè quattro, cinque, sei per cento, con un ulteriore aggravio per le uscite dello Stato.

Vi è un ultimo monito che viene dal commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, il quale, pur con le sue caute parole, ha espresso la grande preoccupazione della Commissione europea e cioé che il continuo aumento del debito pubblico dei vari Stati, fra cui quello italiano, debba essere contrastato fermandolo, in attesa che l’aumento del Pil faccia diminuire l’indice che, ricordiamo ancora una volta, dovrebbe tendere al sessanta per cento.
Il Trattato europeo al riguardo prescrive che la differenza debba essere ripianata in dieci anni. “Uomo avvisato…”.

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