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Editoria, nel 2020 necessario riequilibrare la situazione

Pietro Crisafulli

Editoria, nel 2020 necessario riequilibrare la situazione

domenica 05 Gennaio 2020

Difendere l'informazione di prossimità dai colossi del web anche attraverso il recepimento della direttiva europea sul copyright. La road map che condurrà all'approvazione della legge sull'Editoria 5.0. Il divario nelle tasse per Pmi e majors della rete

Il 2020 è arrivato e il governo nazionale dovrà adesso, anche sotto la spinta dell’Europa, varare tutte le normative annunciate e che culmineranno con la legge sull’Editoria 5.0.

Il sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella ha da tempo lanciato la proposta di un patto culturale per “salvaguardare il bene pubblico dell’informazione e del pluralismo, fondamentali per il buon funzionamento della nostra democrazia”.

Editoria di prossimità fronte da salvaguardare

Proprio nel messaggio inviati in occasione della recente festa per il quarantennale del Quotidiano di Sicilia, Martella ha ricordato come i giornali locali siano “la principale ‘infrastruttura’ informativa del Paese” e che “l’editoria di prossimità deve rimanere il primo fronte da salvaguardare, anche attraverso misure dirette di sostegno pubblico” sottolineando che “è quel che il Governo si è impegnato a fare, già con la legge di Bilancio”.

E in attesa della legge, il primo passo dovrà essere quel recepimento della direttiva europea sul copyright che, ha recentemente ricordato Martella a Bologna, “nei prossimi mesi verrà introdotto anche in Italia e credo possa essere uno strumento utile per lottare contro le fake news e la pirateria, per produrre un giusto equilibrio tra la libertà individuale e il diritto degli autori che va nel senso di una informazione più responsabile”.

Copyright, la direttiva del Parlamento europeo

Come si legge sul sito del Parlamento europeo, il testo di oltre centocinquanta pagine approvato dal Parlamento europeo nel marzo dello scorso anno, con 31 articoli da recepire nelle legislazioni nazionali entro il giugno del 2021, regolamenta il copyright nel mondo digitale equilibrando la libertà su internet e la giusta remunerazione dei detentori di diritti d’autore.

Il testo di direttiva è stato approvato dopo tre anni di negoziati e un duro scontro incentrato soprattutto sulla norma che prevede la remunerazione di editori, giornalisti e autori, e quella che attribuisce alle grandi piattaforme la responsabilità dei contenuti caricati da singoli utenti, incoraggiando così l’utilizzo di filtri automatici per bloccare il materiale coperto da diritti d’autore.

Le majors dovranno pagare i contenuti giornalistici

Sì, perché va detto chiaramente che finora i colossi del web hanno, indirettamente, “rubato” contenuti soprattutto ai giornali on line. Da quando verrà recepita in Italia la direttiva europea, invece, potranno essere condivisi liberamente “soltanto hyperlink ad articoli di attualità accompagnati da singole parole o brevi estratti”. Inoltre, poiché le piattaforme online saranno responsabili dei contenuti che gli utenti caricano, dovranno pagare gli editori e
i giornalisti potranno ottenere da questo ultimi una quota delle entrate legate al diritto d’autore.

Editoria, una riforma attesa da quarant’anni

E dopo il recepimento del testo di direttiva europea, così come anticipato già alla fine di ottobre da Martella alla Commissione Cultura della Camera, sarà varata quella riforma dell’Editoria attesa da quasi quarant’anni. Una riforma in versione 5.0, che dovrebbe prevedere la stabilizzazione dei contributi diretti e indiretti anche con l’utilizzo di parte degli introiti della digital tax a sostegno del settore, la revisione del sistema di supporto alle agenzie di stampa.

Tutto questo per stimolare la trasformazione digitale, “senza abbandonare il sostegno alla produzione cartacea, valorizzando l’integrazione tra i supporti cartaceo e digitale anche con appositi incentivi fiscali”.

Martella ha annunciato anche un tavolo specifico per il lavoro giornalistico: superamento dei contratti co.co.co. impropriamente utilizzati o, peggio, ricorso a contratti con partite Iva che nascondono vere e proprie assunzioni, e poi definizione dell’equo compenso per le collaborazioni, prepensionamenti e sostegno alle misure di riequilibrio finanziario dell’Inpgi.

Martella, non svalutare il lavoro giornalistico

Questo perché “la mancata remunerazione dei contenuti editoriali da parte delle grandi piattaforme digitali e la svalutazione del lavoro giornalistico professionale pongono problemi che investono direttamente la libertà e il pluralismo dell’informazione e, in definitiva, la qualità stessa della democrazia”.

Il Cgia, le Pmi pagano il doppio rispetto ai colossi web

Intanto, come rilevato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre sulla base dei dati riferiti al 2018, se le nostre piccole e medie imprese hanno un carico fiscale complessivo che si attesta al 59,1 per cento dei profitti, le multinazionali del web presenti in Italia, o meglio le controllate di questi giganti economici che hanno sede nel nostro Paese, registrano un tax rate del 33,1 per cento.

Le ragioni per cui le controllate italiane delle principali multinazionali del web possono beneficiare di un tax rate del 33,1 per cento sta nel fatto che la metà dell’utile ante imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata che procura un risparmio fiscale che, nel periodo 2014-2018, ha sfiorato complessivamente i cinquanta miliardi di euro.

“Un’ingiustizia che grida vendetta” ha affermato il coordinatore dell’Uffici studi della Cgia Paolo Zabeo.

Tuttavia non sono solo i giganti stranieri del web a sfruttare la fiscalità di vantaggio: anche alcuni grandi player italiani hanno trasferito la sede legale principale o di una consociata all’estero.

Operazioni formalmente ineccepibili da un punto di vista fiscale-societario con cui, sottolinea l’associazione, si è però ridotta la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia, penalizzando in particolar modo le realtà imprenditoriali di piccola dimensione che, a differenza delle grandi aziende, non hanno la possibilità di lasciare armi e bagagli e trasferirsi altrove.

In Italia pagare le tasse è difficile

Oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le più elevate d’Europa, l’Italia, evidenzia ancora la Cgia, è il Paese – assieme al Portogallo – dove pagare le tasse è più difficile: da noi sono necessari trenta giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte.

In Francia, unico Paese Ue con un carico fiscale sulle imprese superiore al nostro, per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni, mentre la media dell’area Euro è 18 giorni. Anche in questa comparazione, i dati sono della Banca Mondiale, che per ciascun Paese prende in esame una media impresa (società a responsabilità limitata) al secondo anno di vita e con circa 60 addetti. L’anno di riferimento è il 2018.

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