Endometriosi, patologia ancora sotto-diagnosticata - QdS

Endometriosi, patologia ancora sotto-diagnosticata

Endometriosi, patologia ancora sotto-diagnosticata

sabato 29 Marzo 2025

Ieri la Giornata mondiale dedicata all'endometriosi: dalle nuove ipotesi sulle cause ambientali alle ripercussioni sulla fertilità

ROMA – Sono oltre 1,8 milioni le donne italiane in età riproduttiva che convivono con l’endometriosi (prevalenza dell’1,4% nella popolazione femminile tra 15 e 50 anni), secondo i dati ufficiali diffusi dall’Istituto superiore di Sanità in occasione della Giornata mondiale dedicata alla malattia ginecologica. Una patologia sotto-diagnosticata, scoperta con un ritardo medio di sette anni, anche se sembra crescere la consapevolezza sul suo impatto sanitario e sociale.

Nel triennio 2021-2023 si sono registrati numeri lievemente più alti al Nord, nella provincia autonoma di Bolzano, in Veneto e Sardegna, riferisce l’Iss. Secondo indagini preliminari condotti dall’istituto, “il rischio di endometriosi potrebbe essere associato alla residenza in aree contaminate da inquinanti” ambientali “con potenziale azione di interferenza endocrina”.

Endometriosi, notevole impatto sulla qualità della vita

L’endometriosi è dovuta alla presenza di endometrio, la mucosa che ricopre internamente l’utero, all’esterno dell’utero, ricorda l’Iss. La condizione è gravata da un notevole impatto sulla qualità della vita, sia per l’aspetto sintomatologico (dolori mestruali, dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali) sia per le potenziali ricadute sulla capacità riproduttiva: si stima che tra il 30-40% delle donne che soffrono di endometriosi possa riscontrare problemi di fertilità o subfertilità. Non a caso nel 2023 il Parlamento italiano ha approvato una legge per il riconoscimento dell’endometriosi come malattia cronica invalidante.

A partire dai risultati ottenuti da un modello di Registro epidemiologico sviluppato in collaborazione con l’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, che si basa sulle schede di dimissione ospedaliera, l’Iss è oggi in grado di fornire stime aggiornate dell’incidenza e prevalenza della malattia. Negli ultimi dieci anni sono stati registrati più di 113 mila ricoveri incidenti di endometriosi con un tasso di incidenza pari a 0,82 casi per mille donne residenti in età fertile (15-50 anni), con un trend temporale in calo tra il 2013 e il 2019. La diminuzione è ancora più marcata nel 2020, presumibilmente per un ridotto accesso ai servizi sanitari dovuto alla pandemia Covid. Dal 2021 l’incidenza torna ai livelli del 2019, con in media circa 9.300 nuovi casi l’anno e un tasso stabile nel triennio 2021-2023, pari a 0,76 casi per mille. Come atteso, l’incidenza di endometriosi tende ad aumentare con l’età e raggiunge il valore massimo nella fascia 31-35 anni (0,12% a livello nazionale). Il dato per ripartizione geografica mostra un leggero gradiente Nord-Sud del tasso di incidenza, che è generalmente maggiore nelle regioni settentrionali. Nell’ultimo triennio 2021-2023 i tassi sono leggermente più alti nella pa di Bolzano, in Veneto e Sardegna, con più di 1 donna in età fertile su mille alla quale viene diagnosticata l’endometriosi.

Il tempo medio per una diagnosi corretta è di circa sette anni

L’endometriosi, in particolare il dolore, può avere un enorme impatto sulla qualità della vita, sul funzionamento fisico, sulle attività di tutti i giorni e sulla vita sociale, sulla salute mentale e sul benessere emotivo, evidenzia l’Iss. Tuttavia la malattia è sotto-diagnosticata e le statistiche indicano che il tempo medio per una diagnosi corretta è di circa sette anni, per via della natura poco specifica dei sintomi. Ma alcuni studi recenti evidenziano un’incidenza crescente di casi diagnosticati, anche grazie a una maggiore consapevolezza della malattia.

Infine l’ipotesi di rischio ambientale: “Alcuni approfondimenti preliminari effettuati dall’Iss – si legge – mostrano che il rischio di incidenza di endometriosi potrebbe essere associato alla residenza in aree contaminate da inquinanti persistenti che si bio-accumulano, con potenziale azione di interferenza endocrina, quali i policlorobifenili, le diossine, il piombo e il cadmio. Lo studio si basa su approcci di analisi e mappatura del rischio su base comunale, e suggerisce l’opportunità di attivare sistemi di sorveglianza epidemiologica integrati al monitoraggio ambientale in aree fortemente contaminate”.

Gli esperti pongono in particolare l’accento proprio sui tempi di diagnosi. “Nonostante il dolore sia la principale causa per cui una donna in età fertile si rivolge al proprio medico curante, il ritardo diagnostico medio tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi di endometriosi è stato stimato oltre sei anni. Per molte donne, ancora oggi, è ritenuto normale provare dolore, anche quando l’intensità è così elevata da non consentire una vita normale”. Lo spiega Flaminia Coluzzi, docente di Anestesiologia e Terapia del dolore all’Università Sapienza di Roma, azienda ospedaliera universitaria Sant’Andrea di Roma, in occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi.

Quando l’endometriosi sfocia in un dolore pelvico cronico

“La presenza di giovani donne nei nostri ambulatori di medicina del dolore – aggiunge – è un segnale di questo ritardo diagnostico. Quando l’endometriosi sfocia in un dolore pelvico cronico, diviene certamente più difficile da trattare. Pur essendo la terapia ormonale certamente la prima linea di trattamento, negli ultimi anni è incrementata l’attenzione sul ruolo della neuroinfiammazione a livello periferico e nel sistema nervoso centrale”.

Coluzzi, autrice di una pubblicazione su “Expert Opinion on Pharmacotherapy”, sottolinea anche l’importanza di gestire la neuroinfiammazione per prevenire il dolore pelvico cronico: “Recenti studi hanno dimostrato che la mestruazione retrograda, cioè detriti di tessuto endometriale che invece di fuoriuscire verso l’esterno tornano indietro lungo le tube e si depositano nello scavo pelvico, rappresenta un potente stimolo alla degranulazione dei mastociti e alla liberazione di citochine proinfiammatorie, che sensibilizzano le strutture nervose in periferia e causano neuroinfiammazione”.

Il dolore pelvico non va sottovalutato

In età adolescenziale, ha raccomandato Coluzzi, il “dolore pelvico non va sottovalutato, soprattutto quando compromette le normali attività quotidiane. Controllare tempestivamente la neuroinfiammazione consente di ridurre il rischio di dolore pelvico cronico in età adulta. Questo è possibile utilizzando molecole note come AliAmidi, che riportano i livelli di neuroinfiammazione al ruolo fisiologico protettivo per l’organismo. Le nostre pazienti hanno diritto a un trattamento che le aiuti a spegnere il fuoco della neuroinfiammazione, per ritrovare una qualità di vita ottimale”.

Riflettori puntati, però, anche sul fronte fertilità

La Società italiana della riproduzione umana (Siru) lancia un monito: sull’endometriosi è essenziale aumentare la sensibilizzazione e la consapevolezza riguardo questa complessa patologia che interessa tra il 5% e il 10% delle donne in età riproduttiva, coinvolgendo circa 3 milioni di donne in Italia, e che nel 30% dei casi provoca problemi di concepimento. Secondo recenti indagini, la Comunità europea ha destinato 15,6 milioni di euro per progetti relativi all’endometriosi negli ultimi anni, una cifra esigua considerando che le perdite annuali dovute alle assenze lavorative correlate a questa malattia ammontano a circa 30 miliardi di euro. Inoltre, l’endometriosi è spesso sottodiagnosticata. Una delle ragioni principali è la rassegnazione con cui molte giovani donne, supportate da una società che tende a minimizzare tali sintomi, vivono il dolore associato alla patologia. Questo atteggiamento porta a un significativo ritardo nella richiesta di consulenza medica, un fatto preoccupante poiché le mestruazioni e le ovulazioni ripetute nel corso degli anni possono aggravare la malattia, alimentando l’infiammazione e favorendo la sua progressione.

“In questo contesto – spiega Paola Viganò, responsabile laboratorio Pma del Policlinico di Milano – la procreazione medicalmente assistita (Pma) si presenta come una soluzione fondamentale per le donne che desiderano avere figli nonostante la malattia. La Pma offre l’opportunità di superare le barriere fisiche e infiammatorie derivanti dall’endometriosi, aumentando le probabilità di concepimento. Infatti, consente di avere un buon controllo sui processi di fecondazione e impianto dell’embrione, riducendo significativamente gli effetti negativi della malattia. Dati recenti suggeriscono che la Pma è efficace nel trattamento dell’infertilità associata all’endometriosi, anche in assenza di intervento chirurgico. Inoltre, in determinati casi è possibile preservare la capacità riproduttiva con eventuale crioconservazione dei gameti prima di sottoporre la paziente a un intervento di chirurgia sulle ovaie”.

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