Essere europeisti non qualunquisti - QdS

Essere europeisti non qualunquisti

Essere europeisti non qualunquisti

sabato 26 Aprile 2025

L’Unione, vera, fa la forza

Oggi tutto il mondo è a Roma in occasione delle esequie a “Franciscus”, dirottate per la tumulazione alla basilica di Santa Maria Maggiore. Non sappiamo se i presenti delle due sponde dell’Atlantico vorranno cogliere l’occasione per uno scambio, anche rapido, di idee in ordine al bailamme per i dazi, la guerra in Europa, quella in Medio Oriente, l’altra in Sudan e le gravi conseguenze di tutto ciò per centinaia di migliaia di persone e centinaia di milioni di abitanti ovunque, che vedono diminuire il loro tenore di vita perché, com’è noto, le barriere economiche ostruiscono gli scambi.

Resta in prospettiva l’eventualità annunciata da Giorgia Meloni di riuscire a fare un meeting nella sede istituzionale di Roma fra Trump e la von der Leyen, nonché alcuni leader dei Paesi più importanti europei, tra cui Macron e Merz, oltre a un leader extra europeo, cioè Starmer, primo ministro della Gran Bretagna.

La Presidente della Commissione, se il meeting dovesse avvenire, dovrà presentarsi con una delega di tutti i ventisette Capi di Stato e di Governo perché, diversamente, non avrebbe titolo per affrontare in maniera determinante la questione dei dazi con il suo dirimpettaio statunitense. È quindi necessario che il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Ue diano un mandato chiaro alla Presidente con gli strumenti atti a trattare un accordo economico che abbia come principale obiettivo di azzerare i dazi, possibilmente anche quelli che preesistevano alla campagna trumpiana.
Ed è qui che casca l’asino, cioè la capacità (o l’incapacità) dei Ventisette di dare un mandato chiaro ed inequivocabile alla von der Leyen.

È del tutto pacifico che la questione dei dazi colpisce tutte le economie, sia per quanto concerne le importazioni, che quindi aumentano di prezzo, che le esportazioni, le quali vengono ridotte a causa della minore vendita nei Paesi d’arrivo. Quindi, è un danno per tutti; danno che la trattativa dovrebbe tentare di eliminare in tutto o in parte.
La maggiore difficoltà dell’attuale Unione è appunto l’incapacità di stare assieme e di far condurre alla Commissione una linea politico-economica unitaria e conveniente per tutti.

L’Unione dovrebbe mettere mano non solo a un programma economico per tutti i suoi circa 445 milioni di abitanti, ma un programma comune per quanto riguarda il sistema fiscale, quello sanitario, l’altro dei trasporti, quello dei fondi e via elencando, senza di che questa Unione continuerà a restare una sorta di armata Brancaleone, perché in atto gli interessi sono variegati a causa della latitudine dei popoli che hanno culture e tradizioni così diverse, ragione per cui è molto difficile trovare un comune denominatore per le varie materie.

Dal Trattato di Roma (1957) sono trascorsi sessantotto anni; un tempo abbastanza lungo nel quale non si sono fatti progressi per unificare le attività delle diverse branche economiche e sociali, a eccezione della moneta unica, che è stato sicuramente un decisivo passo avanti, perché oggi ha salvato dal default del 2008 molti membri dell’Unione, i quali sono in atto sottoposti a una pressione finanziaria cattiva proprio per la guerra dei dazi.

Non è che non si sappia cosa fare, è che ogni capo dei ventisette Stati segue una sua linea perché non vi è una cultura generale dello stare insieme e non viene prospettata la convenienza a stare insieme, per cui, la mancanza di cultura e di competenze non fa vedere la realtà a chi governa.
Forse, prima di pensare ai piani nelle diverse materie, bisognerebbe “mandare a scuola” i Capi di Stato e di Governo dei Ventisette per cercare di coagulare il meglio che c’è fra le culture degli stessi e quindi trovare la ragione primaria dell’interesse a stare insieme, pur mantenendo ogni nazione la propria identità.

Ecco quello che manca all’attuale Ue: la consapevolezza che stare insieme, che unire le forze, che lavorare con capacità e profondità è interesse di tutti. Questi principi non si acquisiscono per virtù dello Spirito Santo, bensì per effetto di un’azione culturale approfondita nella quale si spiegano gli effetti dell’unione, che, come dice un proverbio popolare: “fa la forza”. Quella forza che oggi manca all’Ue.

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