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Finanze pubbliche, i nodi centrali del futuro di Palermo e Messina

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Finanze pubbliche, i nodi centrali del futuro di Palermo e Messina

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sabato 28 Maggio 2022

Quali sono le strade che i successori di Orlando e De Luca si troveranno davanti una volta insediatisi? Lo abbiamo chiesto a Dario Immordino, avvocato esperto di contabilità pubblica

Tra i nodi centrali del futuro di Palermo e Messina c’è senza dubbio quello delle finanze pubbliche. Se la Città dello Stretto ha già avviato, sotto la sindacatura Cateno De Luca, il cosiddetto Salva Messina, piano pensato proprio per evitare il dissesto, anche a Palermo si sta tentando in tutti i modi di evitare il default. Ci ha provato, quantomeno, il sindaco uscente Leoluca Orlando, ma le resistenze in Consiglio comunale, anche a causa di una maggioranza in Aula ormai inesistente, sono stare durissime.

Ma quali sono le strade che i successori di Orlando e De Luca si troveranno davanti una volta insediatisi? Lo abbiamo chiesto a Dario Immordino, avvocato esperto di contabilità pubblica.

“Gli strumenti previsti – afferma – prevedono sacrifici in grado di pregiudicare la tenuta del contesto socio economico cittadino, ma comportano notevoli differenze, motivo per cui è dovuta ai cittadini un’informazione adeguata sulle conseguenze economiche delle scelte che si intendono adottare e sulle prospettive della politica economica finanziaria dei Comuni”.

Tre opzioni

La prima opzione, già citata, è quella del dissesto, “generalmente – sottolinea Immordino – ritenuto la soluzione più grave. Il percorso di risanamento degli Enti in default prevede, fra l’altro, l’incremento nella misura massima dei tributi locali e delle tariffe, il blocco di tutte le spese non obbligatorie, l’inefficacia dei pignoramenti eseguiti e l’impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell’ente. In sostanza, a pagare il conto della cattiva gestione sono le imprese creditrici di questi Enti e soprattutto i cittadini”.

La seconda opzione è quella del Piano di riequilibrio pluriennale: “il Comune propone un Piano di risanamento sottoposto ad approvazione e controllo da parte della Corte dei Conti e dello Stato, indicando una serie di misure (incremento prelievo tributario, aumento canoni e oneri delle prestazioni comunali, riduzione spese e altro ancora) in grado di riportare il Comune in bonis entro un certo numero di anni. Le procedure esecutive intraprese nei confronti dell’Ente – afferma Immordino – sono sospese dalla data di deliberazione di ricorso alla procedura di Riequilibrio finanziario pluriennale fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del Piano di riequilibrio e durante questo periodo le imprese, i cittadini e i professionisti creditori dell’Ente non possono riscuotere i propri crediti”.

La terza opzione è invece un accordo per il ripiano del disavanzo e per il rilancio degli investimenti ed essa è riservata ai Comuni che hanno approvato il Piano di riequilibrio. (Salva città). “Trattandosi di accordo – sottolinea l’esperto di contabilità pubblica – consente al Comune di decidere le leve da muovere per risanare il bilancio in cambio di una maggiore assunzione di responsabilità. ?Dato che lo squilibrio dei bilanci non nasce da eventi improvvisi o difficoltà momentanee, ma da gestioni che hanno generato i buchi di bilancio nel corso di doversi anni, l’obiettivo è proporre rimedi strutturali: valorizzazione del patrimonio immobiliare, riorganizzazione delle partecipate, obiettivi di spesa e investimenti, possibilità di far superare all’addizionale Irpef il tetto nazionale dell’8 per mille”.

Lo strumento prevede formalmente una certa manovrabilità delle misure da parte del Comune, ma di fatto impone soluzioni quali l’aumento della pressione fiscale anche oltre i limiti di legge (e quindi oltre quella consentita dal dissesto) e l’incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco al porto, prevista nel piano approvato dal Comune, che colpisce il turismo.

Il dissesto, che viene considerata l’eventualità più grave, prevede che i tributi locali aumentino fino all’aliquota massima consentita dalla legge per cinque anni, mentre l’aumento dell’addizionale Irpef consentito da questo regime speciale durerà venti anni, e non sono previsti limiti.

Inoltre con il ricorso al dissesto i crediti vengono pagati solo in parte, in base ad accordi transattiv con i creditori , mentre l’accordo previsto dalla Legge di Stabilità non prevede il pagamento dei crediti in percentuale secondo un criterio di priorità temporale , che avvantaggia i crediti più “vecchi” e penalizza quelli più recenti.

Queste procedure comportano inoltre notevoli differenze per gli amministratori: in caso di dissesto la legge prevede la segnalazione “automatica” alla Procura della Corte dei conti e la successiva incandidabilità in caso di condanna, l’accordo invece non comporta questo genere di conseguenze.

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