Giovani in fuga e diminuzione delle nascite: salvare le Comunità siciliane in via d’estinzione - QdS

Giovani in fuga e diminuzione delle nascite: salvare le Comunità siciliane in via d’estinzione

redazione

Giovani in fuga e diminuzione delle nascite: salvare le Comunità siciliane in via d’estinzione

Roberto Greco  |
sabato 18 Maggio 2024

Popolazione sempre più vecchia, giovani in fuga e diminuzione delle nascite: dati preoccupanti, soprattutto al Sud

PALERMO – È stato definito “inverno demografico” il non arrestarsi del calo delle nascite in Italia, alle prese con la diminuzione di una popolazione che è sempre più anziana, in cui si fanno meno figli e sempre più tardi. I giovani sono i principali protagonisti di questa tendenza. Nel 2023, quelli compresi nella fascia 18-34 anni sono poco più di 10 milioni 330 mila, con una perdita di oltre 3 milioni rispetto al 2002 (-22,9%).

Gli indicatori per l’anno 2023, pubblicati dall’Istat e di Eurostat, confermano che la crisi demografica è un problema per l’interno continente europeo e la preoccupante tendenza, in corso da anni, e l’anno scorso ha subito una forte accelerazione. Secondo i dati, i nati residenti in Italia sono stati 379 mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (6,7 nel 2022). La diminuzione di nascite rispetto al 2022 è di 14 mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno con un aumento delle nascite, il calo è di 197mila (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023. Molto vicino al minimo storico di 1,19 figli nel lontano 1995. E in 10 anni le donne in età fertile sono diminuite di 2 milioni a quota 11,5 milioni, difficile dunque sperare in una ripresa.

Riduzione dei giovani è stata più marcata nel Mezzogiorno

La riduzione dei giovani è stata più marcata nel Mezzogiorno, con un calo del 28,6% a causa della denatalità e della ripresa dei flussi migratori, mentre il Centro-Nord ha registrato un calo del 19,3%. L’Istat osserva che gli attuali giovani “hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta”. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni viveva in famiglia (59,7% nel 2002), con valori intorno al 75% in Campania e Puglia. Anche la nuzialità e la procreazione sono posticipate. Nel 2022, l’età media al primo matrimonio era di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.

L’evoluzione delle condizioni socio-economiche della popolazione a svantaggio delle generazioni più giovani rispetto a quelle più anziane si è verificata in parallelo all’accentuarsi dello squilibrio strutturale indotto nella popolazione dalla dinamica demografica. In un lasso temporale relativamente breve, dall’inizio del nuovo millennio a oggi, i comportamenti demografici e i loro effetti sono diventati sempre più veloci e manifesti, a causa dell’interazione con una molteplicità di fattori socio-economici, tecnologici e culturali. Le conseguenze del processo d’invecchiamento sono, infatti, sempre più evidenti. Nell’arco di venti anni, tra il 2004 e il 2024, l’età media della popolazione è aumentata da 42,3 a 46,6 anni. Gli adulti e i giovani sono diminuiti di poco meno di 2 milioni di individui, quasi ugualmente ripartiti tra i due gruppi, ma con una incidenza molto diversa tra loro: tra il 2004 e il 2024 mentre la popolazione degli adulti tra i 16 e i 64 anni, oggi di 36,9 milioni, si è ridotta del 2,5 per cento, quella dei bambini e dei ragazzi fino a 15 anni, che sono 7,7 milioni, è diminuita di oltre il 12 per cento. I residenti di 65 anni e più sono invece aumentati di oltre 3 milioni, e oggi sono 14 milioni 358 mila (+ 5,1 punti percentuali rispetto al 2004). Di essi, oltre la metà ha almeno 75 anni: 7 milioni 439 mila, con un aumento di 3,8 punti percentuali in venti anni.

La popolazione residente in Sicilia, definita sulla base del Censimento al 31 dicembre 2022, ammonta a 4.814.016 residenti, in calo rispetto al 2021, con 19.313 individui in meno, e circa la metà della popolazione vive nelle province di Palermo e Catania. La diminuzione rispetto al 2021 è frutto dei valori negativi del saldo naturale e di quello migratorio interno, cui si contrappongono in modo insufficiente i valori positivi del saldo migratorio con l’estero e dell’aggiustamento statistico.

Le complesse trasformazioni in atto si riflettono sul territorio, con le sue specificità economiche, demografiche, sociali e culturali, e quindi con potenzialità e vincoli di volta in volta diversi. Le previsioni demografiche di lungo periodo indicano un rafforzamento della tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento delle aree economicamente meno attrattive alcune Comunità rischiano di sparire. La popolazione giovane tende, del resto, a ridursi con maggiore intensità nei territori con carenti opportunità occupazionali e bassa produzione di reddito.

La stima dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre

Tra dieci anni, secondo la stima dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, la platea dei lavoratori nella fascia 15-64 anni presente in Italia, è destinata a diminuire di 3 milioni di unità potenziali, circa l’8% in meno, a causa dell’invecchiamento della popolazione. Se all’inizio del 2024 questa coorte demografica includeva 37,5 milioni di unità, nel 2034 la stessa è destinata a scendere rovinosamente, arrestandosi a poco meno di 34,5 milioni di persone, con sempre meno giovani e con tanti baby boomer destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. Molti territori subiranno un autentico spopolamento di potenziali lavoratori, soprattutto nel Mezzogiorno.

Con una popolazione sempre più anziana, il Paese rischia di avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici, in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e assistenziale. Con pochi under 30 e una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi, dal mercato immobiliare ai trasporti, della moda e al settore ricettivo. Ad eccezione delle banche che potrebbero aspettarsi anche effetti positivi: “Con una maggiore predisposizione al risparmio – si legge nel report della Cgia – le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi facendo felici molti istituti di credito”.

Le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno il Sud, in particolare la Basilicata, che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 14,6%. Scenario critico anche per la Sardegna con il -14,2%, la Sicilia con il -12,8%, la Calabria con il -12,7% e il Molise con il -12,7%. Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno, saranno la Lombardia con il -3,4%, il Trentino Alto Adige con il -3,1% e, infine, l’Emilia Romagna con il -2,6%. Le situazioni più critiche, rispetto alla qualità del lavoro e al benessere aziendale, riguardano la Sicilia, la Calabria e la Basilicata, che occupano gli ultimi tre posti della classifica nazionale.

Il sindaco di Sant’Angelo di Brolo: in 60 anni residenti dimezzati

Cortolillo: “Tasso natalità ormai prossimo allo zero”

Denatalità, invecchiamento della popolazione ed esodo per mancanza di occupazione. Su questi temi interviene al QdS Francesco Paolo Cortolillo, sindaco di Sant’Angelo di Brolo, centro del messinese che oggi conta poco meno di 3.000 abitanti a fronte di una popolazione residente che all’inizio degli anni Sessanta pari a circa 6.400 unità.

Quali sono le principali cause dello spopolamento del suo comune?
“Abbiamo subito un importante depauperamento e una netta discesa di popolazione. Solo un terzo della popolazione risiede nel centro urbano e la parte rimanente nelle molte borgate del nostro territorio. Da un lato c’è stato un fenomeno di emigrazione, in parte verso la costa, ma negli anni Sessanta c’è stato un grande flusso migratorio che ha portato la popolazione a trasferirsi per motivi di lavoro nel resto dell’Italia e nelle Mitteleuropea. Inoltre, nel nostro comune è cresciuta la parte di popolazione più anziana e il tasso di natalità rasenta lo zero. A questo, ancora una volta, si aggiunge che molti giovani, per costruire il proprio futuro e avere sbocchi occupazionali, sono costretti a ‘cercare fortuna’ altrove, come già successe agli inizi del Novecento. Questo fenomeno, in generale nel Meridione, ha ragioni endemiche, ma dobbiamo tenere presente che l’attuale impoverimento obbliga molte famiglie a decidere di non avere un secondo figlio, proprio perché hanno paura di non poter affrontare, dal punto di vista economico, la scelta”.

Come andare oltre?
“Amministro, anche se a titolo diverso, questo territorio dal maggio 1978, quando qui si votava con il sistema proporzionale. Il nostro territorio ha enormi potenzialità, sia per il patrimonio naturalistico e paesaggistico che per la sua storia e proprio su questo patrimonio stiamo realizzando processi di recupero e restauro, potenzialmente attrattivi per i flussi turistici anche per la viabilità che ci permette di essere efficientemente collegati sia con la costa sia con la Ss 113. È necessaria una forte politica di inclusione, oggi per esempio abbiamo un’importante comunità argentina, ma soprattutto serve riqualificare il patrimonio edilizio per facilitare quanti potrebbero decidere di tornare. Servono incentivi a chi decide di investire sul nostro territorio, sulla scorta di quanto attuato dal Governo con il bando per il triennio 2022/2025. Ma soprattutto servono sbocchi occupazionali perché, senza le soluzioni adeguate, non solo perdiamo popolazione, ma perdiamo i giovani e il futuro. Il calo della popolazione residente, inoltre, ha causato l’abbandono delle aree delle campagne, anche a seguito di alcune scelte comunitarie, con implicazioni che riguardano anche la fragilità del territorio. Lo Stato e la Regione non stanno aiutando gli Enti locali, siamo di fronte a una legislazione che ci costringe a bilanci asfittici, senza la possibilità di investire sul nostro territorio proprio per mancanza di risorse che genera una scarsa autonomia finanziaria”.

L’intervista a Roberta Pace, docente di Demografia dell’Università degli studi di Bari

Indispensabili politiche di welfare efficaci

Sul tema dello spopolamento abbiamo sentito Roberta Pace (Ph.D in Economia della Popolazione e dello Sviluppo), professore associato di Demografia del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro e membro del Comitato scientifico della Rivista di Statistica Ufficiale dell’Istat e degli Istat Working Papers.

Professoressa, gli ultimi dati Istat e della Cgia di Mestre parlano chiaro, ma i demografi hanno lanciato l’allarme già molto tempo fa…
“I trend demografici sono ‘lunghi’. Di quello che stiamo osservando adesso noi demografi ne stiamo parlando da circa vent’anni. Abbiamo segnalato lo scenario che ne deriva e abbiamo detto che con esso avremmo dovuto fare i conti. Le questioni sono due: la denatalità è anche la conseguenza di un effetto struttura. Nel momento in cui cominciano a calare le nascite significa che c’è un numero inferiore di potenziali madri. Il tasso di fecondità è il numero medio di figli per donna e il valore che attesta il cambio di generazione è di 2,1 mentre oggi questo valore è circa 1,25. Si riduce la coorte delle potenziali madri e questo è osservato nel lungo periodo”.

Ancora una volta il ruolo della donna sarà determinante per lo sviluppo del nostro Paese…
“La riduzione di quante donne siano nell’età di procreare, convenzionalmente tra i 15 e i 49 anni, va osservato proiettato nel futuro, quando le donne che nascono adesso saranno in grado di procreare. A questo si aggiunge una componente di contesto. Non mi sembra che in Italia, negli ultimi anni, si sia data attenzione alla conciliazione tra donna e lavoro, soprattutto tra lavoro di casa e lavoro domestico, che sappiamo pesare pesantemente sulla donna. Sentiamo spesso parlare di congedo di maternità mentre, pur essendo previsto, si parla poco del congedo di paternità, evidentemente perché gli incentivi sono tali da motivare anche l’uomo ad allontanarsi dal lavoro per un periodo. Se facciamo un confronto con Paesi del Nord Europa, in cui il welfare è più strutturato, rileviamo che le politiche di sostegno alle giovani coppie permette loro di non dare precedenza al lavoro ma alla costruzione di una famiglia per poi accedere al mondo del lavoro. Questo comporta che la procreazione avvenga in età più matura, quando il tasso di fertilità della coppia è più basso con il conseguente risultato che si fanno meno figli. Inevitabilmente, in Italia, il dato riguarda maggiormente il Sud, ma basta pensare che la copertura delle mense scolastiche al Nord è circa del 70% contro il 30% che riscontriamo al Sud. Proprio per la mancanza di welfare adeguato oggi la donna è di fronte alla scelta: lavorare o procreare e, nel secondo caso, si affida ai nonni per poter continuare a svolgere un’attività lavorativa”.

Ma le vostre ricerche sono state indirizzate alla classe politica del Paese?
“Sì, ma non abbiamo ricevuto il riscontro adeguato”.

Vorrei invece un commento sul dato relativo all’invecchiamento del nostro Paese…
“Anche questo è un trend che avevamo osservato e, per noi, era atteso. In questo caso l’osservazione deve tornare indietro, a quel periodo tra il 1946 e il 1964, quando ci fu un’esplosione delle nascite. Quella coorte, al di là della mortalità naturale, oggi pesa sul nostro sistema pensionistico creando il rovesciamento della piramide, lo strumento di utilizziamo in demografia per le analisi. È chiaro che anche in questo caso è necessario che si ripensi alle politiche per gli anziani, anche in questo caso ad un welfare più adeguato”.

Quali sono le implicazioni derivanti da questo welfare?
“Il dato è osservabile, per esempio, analizzando la situazione delle badanti, che oramai sono tutte straniere, quasi tutte georgiane che sostituiscono un welfare deficitario. Ma, per potersi permettere una badante, è necessario avere risorse economiche adeguate e spesso la donna si trova stretta nella morsa che le vede da un lato ha necessità di lavorare ma devono gestire i figli e assistere i genitori anziani”.

Evidentemente la fascia sempre maggiore di popolazione supportata dal sistema previdenziale sommato a un calo della natalità, ci porterà tra 10-20 anni a una scarsità della cosiddetta forza lavoro…
“Assolutamente sì e la soluzione strutturale saranno gli immigrati, che già avviene oggi in alcune zone del Paese. È chiaro che politiche di welfare più proiettate verso il futuro potranno contribuire a modificare la situazione attuale anche se con i numeri non si può scherzare”.

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