Giustizia tributaria, la riforma riparta dalla terzietà dei giudici - QdS

Giustizia tributaria, la riforma riparta dalla terzietà dei giudici

Giustizia tributaria, la riforma riparta dalla terzietà dei giudici

venerdì 03 Gennaio 2020

Tra le criticità evidenziate vi è anche l’esigenza di una loro adeguata remunerazione. Quattro i disegni di legge all’esame delle Commissioni Finanze e Giustizia del Senato. Il Cnf: "Garantire i tre gradi di giudizio".

ROMA  – “I tre gradi di giudizio del processo tributario sono una garanzia sperimentata e radicata in in tutte le diverse forme di giurisdizione del nostro sistema ordinamentale”. Così in una nota il Consiglio nazionale forense si esprime in merito alla proposta di soppressione, nel processo tributario, del giudizio della Cassazione, come proposto dal premier Giuseppe Conte nel corso della conferenza stampa di fine anno. “Anche se occorrerà esaminare l’articolato della proposta, che allo stato non è conosciuto, il Cnf intende proseguire nel percorso già intrapreso con le altre componenti per elaborare una proposta di riforma che coniughi efficienza e qualità del processo, secondo i principi costituzionali, e consentire al contribuente maggiori mezzi di prova a fronte della attuale disparità esistente nel rapporto con l’amministrazione finanziaria, che si avvale di presunzioni di difficile prova contraria. La terzietà, la competenza e la professionalità della giurisdizione andranno salvaguardate e rafforzate così come il diritto di difesa del contribuente, in qualsiasi riforma del processo tributario”.

Come è noto, l’attuale giurisdizione tributaria è stata introdotta con i decreti legislativi nn. 545 e 546 del 31 dicembre 1992.
Nonostante la previsione di molte disposizioni tratte dal codice di procedura civile, la giurisdizione tributaria ha manifestato diversi problemi riguardanti principalmente la questione della massima terzietà dei giudici, del reclutamento e del trattamento degli stessi e delle prove ammesse nel processo.

Da qualche anno, comunque, l’obiettivo comune di tutti gli addetti ai lavori ed anche della politica è quello di porre mano ad un lavoro serio che riesca a trovare soluzioni concrete, istituendo i Tribunali e le Corti di appello tributari al posto delle attuali Commissioni Tributarie.

Sono quattro i disegni di legge riguardanti la riforma della giustizia tributaria che, dal 18 dicembre scorso, sono all’esame delle Commissioni Finanze e Giustizia del Senato.

Le proposte legislative di cui parliamo sono quelle del Senatore Vitali (Fi), del Senatore Nannicini (Pd), del Senatore Caliendo (Fi) e del Senatore Romeo (Lega).

L’obiettivo primario della riforma è quello di assicurare una effettiva terzietà dei magistrati tributari, una terzietà che sia “visibile” anche dall’esterno.

L’attuale dipendenza logistica dal ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, genera il sospetto che tale situazione non consenta la realizzazione delle necessaria indipendenza dei giudici, anche a causa del fatto che, considerato che il Mef si avvale dell’Agenzia delle Entrate (parte importantissima nella maggior parte dei processi fiscali) per lo svolgimento delle principali funzioni per la gestione dei tributi erariali, si trova in conflitto di interessi con gli Organi giurisdizionali tributari.
La volontà comune dei Parlamentari delle Commissioni del Senato, comunque, è quella di sottrarre l’organizzazione delle Commissioni Tributarie dal Mef, per affidarla alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un altro problema da risolvere è quello riguardante il trattamento dei giudici tributari, che oggi lavorano in uno stato di quasi precarietà e con un trattamento economico assolutamente ridicolo. Si vorrebbe creare, infatti, un corpo di magistrati tributari a tempo pieno ed adeguatamente remunerati.

Un’altra questione sulla quale sono chiamate a discutere le Commissioni del Senato è quella riguardante la possibilità di includere, anche nel processo tributario, la prova testimoniale, attualmente esclusa.

Sarebbe auspicabile, poi, che la fase precontenziosa del “reclamo-mediazione” (liti di valore non superiore a cinquantamila euro), attualmente affidata allo stesso Ente impositore, venisse trasferita dinanzi agli organi di giustizia tributaria di primo grado, magari in composizione monocratica. Ciò al fine di garantire anche in questo caso la terzietà dell’Organo chiamato a “mediare”.

Evidentemente, per avere una riforma compiuta ci vorrà del tempo. Speriamo, comunque, che non sia un tempo infinito, perché la questione è di estrema importanza ed è da troppo tempo che si manifesta l’esigenza di avere una giustizia tributaria che oltre ad assicurare una giustizia vera (come, per la verità, è avvenuto probabilmente fino ad ora, grazie al lavoro degli attuali giudici), dia all’esterno la sensazione che sussista una terzietà assoluta, così come previsto dalla nostra Costituzione.

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