Israele e Hamas devono fare i conti con il peso del cessate il fuoco: ecco cosa prevede l'accordo raggiunto e le reazioni della comunità internazionale.
La tregua a Gaza è stata raggiunta, almeno a parole, e dovrebbe partire domenica 19 gennaio. La guerra tra Israele e Hamas sembra giunta a una fase di svolta, dove la pace non appare più impossibile ma rimane comunque fragilissima e piena di insidie.
Chi ha perso e continuerà a perdere, purtroppo, è sempre la folla di civili – israeliani e palestinesi – che hanno incontrato la morte in oltre 15 mesi di scontri e attacchi (più i lunghi decenni di guerra a più riprese), hanno perso case, beni e persone care e hanno anche l’arduo compito di ricostruire una terra che cade – letteralmente e moralmente – a pezzi, dilaniata da una storia segnata da odio e violenza. C’è, però, anche chi – almeno sulla carta – ne esce vincitore: e non si tratta dei Paesi in guerra, ma di chi ha permesso questa tregua e ne rivendica la paternità a livello internazionale. Più di una figura, in realtà, e non solo il neopresidente statunitense Donald Trump.
La tregua tra Israele e Hamas, Gaza tra festa e morte
Fuori dall’ospedale al-Aqsa a Deir-el-Balah c’era una folla di palestinesi in attesa della notizia della tregua a Gaza, che già circolava da più giorni ma non era ancora confermata. Quegli stessi palestinesi che hanno vissuto l’orrore della guerra sono gli stessi che pochi minuti dopo l’annuncio dell’accordo per il cessate il fuoco si sono precipitati in piazza a festeggiare. E con loro, in tutto il resto del mondo, le comunità di palestinesi all’estero e coloro che hanno sostenuto la loro causa.
I presupposti della tregua a Gaza, però, risultano ancora troppo fragili per gridare vittoria. Lo dimostra la scia di morte che non si arresta: secondo le ultime stime, sono almeno 73 i palestinesi che sono stati uccisi, tra cui 20 bambini e 25 donne, in raid aerei israeliani nella Striscia di Gaza da quando è stato annunciato l’accordo di cessate il fuoco. Un accordo in parte “forzato” dal malcontento contro Netanyahu – alle prese con un’estrema destra belligerante, che manterrà probabilmente il pugno duro – a Israele e contro le azioni prolungate di Hamas tra i palestinesi.
Cosa prevede l’accordo
La tregua a Gaza prevede la risoluzione della guerra tra Israele e Hamas in tre fasi. La prima, di sei settimane, prevede il cessate il fuoco totale, il progressivo ritiro di Israele dalle aree popolate di Gaza con il rientro dei palestinesi fuggiti dalla zona e lo scambio di 33 ostaggi israeliani in vita con 250 prigionieri palestinesi. La seconda fase dovrebbe permettere il cessate il fuoco definitivo, il ritiro completo delle truppe da Gaza e lo scambio dei restanti ostaggi. L’ultima, invece, dovrebbe essere dedicata alla ricostruzione di Gaza e alla restituzione dei corpi delle vittime alle famiglie. Il momento del dolore e della rinascita, insomma.
I dibattiti e le paure
I negoziati per la tregua a Gaza sono stati mediati da Qatar, Egitto e Stati Uniti. Questi i grandi attori internazionali a cui si deve il primo grande passo verso la pace. Nell’aria c’è lo stesso ottimismo che aveva seguito i precedenti accordi di Camp David e di Oslo, con protagonisti mediatori non troppo diversi da quelli odierni, ma anche il timore che il malcontento israeliano o una nuova ondata di terrore di Hamas possano far precipitare il Medio Oriente nuovamente nel caos.
L’Italia ci sarà e farà il possibile per contribuire alla pace, così come ha supportato il cessate il fuoco in Libano e la transizione siriana. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani considera la tregua a Gaza un “passo importante verso la pace“, ma al tempo stesso ribadisce la necessità di consolidare le attività per evitare che la pace sia solo un miraggio: “Il cessate il fuoco di qualche tempo fa, dopo questa guerra lampo che ha provocato danni anche a questo Paese, deve essere rinforzato”, ha dichiarato.
Protagonisti della tregua a Gaza, poi, sono immancabilmente loro: gli Stati Uniti. Il leader israeliano Netanyahu ha chiamato Trump e Biden per ringraziare. Ed è il neopresidente USA a rivendicare la paternità dell’accordo “epico” raggiunto, non senza un botta e risposta a distanza con l’uscente Biden e la prospettiva di una nuova strategia in Medio Oriente. Una strategia che senza dubbio sarà fondamentale per il piano di Trump a livello internazionale, forse anche più dei discussi e animati progetti per Messico e Groenlandia.
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