Il costo dei flussi a carico dell’Ue - QdS

Il costo dei flussi a carico dell’Ue

Carlo Alberto Tregua

Il costo dei flussi a carico dell’Ue

giovedì 02 Marzo 2023

Immigrazioni controllate

Il disastro di Crotone con oltre sessanta morti – numero che potrebbe raddoppiare – è l’ennesimo caso di incuria da parte dell’Unione europea, che non riconosce le coste italiane come proprie.
Andando verso la buona stagione, speriamo, disastri come quello che abbiamo raccontato non dovrebbero accadere. Tuttavia, non si può sperare nella buona sorte perché non vi siano migliaia di morti annegati, ma prevedere, prevenire, provvedere.

Agli svedesi e ai danesi non passa minimamente per la testa che i settemila chilometri di coste italiane siano in effetti coste europee. Vorremmo vedere se rovesciando geograficamente il Vecchio continente e quindi se esse si trovassero nel Mediterraneo, come sbraiterebbero ed esigerebbero un intervento di tutta l’Unione europea.
Evidentemente, i governanti italiani, almeno di questi ultimi dieci anni, hanno preso iniziative, ma non sono state efficaci perché blande e “amichevoli”.

La soluzione al gravissimo problema riguarda la Commissione europea, la quale deve proporre al Parlamento e al Consiglio dell’Unione europea una Direttiva (forse sarebbe meglio un Regolamento cogente per tutti) con la quale tutti i Paesi sono impegnati a sostenere finanziariamente le spese relative ai flussi di immigrati in Europa in qualunque parte del territorio. Inoltre, la Direttiva dovrebbe prevedere il ricollocamento di tutti gli immigrati, che dovessero arrivare, nei ventisette Paesi in proporzione al numero di abitanti di ciascuno di essi.

Quanto affermato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e cioè che le partenze vadano impedite, è un’affermazione di principio, condivisibile o meno, ma che non indica come fare per raggiungere l’obiettivo.
L’ex prefetto, oggi ministro dell’Interno, avrebbe dovuto dire quali iniziative sta prendendo, insieme al ministro degli Esteri, per stipulare convenzioni con i Paesi balcani e con tutti quelli rivieraschi del Mediterraneo, al fine di aumentare i controlli, per evitare le partenze e quindi le morti, che inevitabilmente si verficano.
Tali convenzioni dovrebbero anche prevedere la collaborazione della nostra polizia con quella di quei Paesi per andare a stanare e debellare gli scafisti, cioé i trafficanti di carne.

Purtroppo l’Unione europea dovrebbe essere definita piuttosto – con grande rammarico – la “Disunione Europea”. Fra i Ventisette vi sono Stati privilegiati come Olanda, Irlanda, Lussemburgo e Belgio; Stati che cercano di assumere la leadership come Germania e Francia; Stati del Nord come quelli citati in precedenza, i quali sono abbastanza distaccati dai problemi reali dell’Unione, soprattutto da quelli che riguardano il Sud della stessa.

Fino a quando i governanti dei Ventisette, o la maggioranza di essi, non entrano nell’ordine di idee di avere un sistema fiscale unico, un sistema di difesa unico, un sistema di trasporto unico, contratti di lavoro unici e via enumerando, le differenze saranno marcate e, così procedendo, si andrà verso la disgregazione piuttosto che verso un rafforzamento dell’Unione.
In fondo, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, usa belle parole e bei gesti, ma è impotente come lo è Antonio Guterres, l’attuale segretario generale dell’Onu.

Ma fra Onu e Unione c’è una profonda differenza, perché in quel consesso, al quale aderiscono 193 nazioni, ci sono interessi diversi e in qualche caso opposti. Inoltre, nel Consiglio di Sicurezza siedono nemici come Usa e Russia, oltre a Francia, Regno Unito e Cina. Ognuno di essi ha il diritto di veto, che di fatto immobilizza la stessa Organizzazione.
Nel Vecchio continente, invece, il disegno del grande Gaetano Martino, che fece firmare il primo “contratto” europeo a Roma nel 1957, era quello di portare l’Unione a diventare una sorta di confederazione, come quella degli Stati Uniti. Purtroppo l’allargamento dai sei Paesi originari agli attuali ventisette ha aumentato le distanze socio-economiche fra i Paesi e ha allontanato l’obiettivo di Martino.
Occorre invertire questo processo disgregativo, ma attualmente non vediamo chi possa avere l’interesse di farlo.

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