Il pestaggio di Regalbuto e gli equilibri mafiosi di Cosa Nostra

Il pestaggio di Regalbuto e gli equilibri mafiosi di Cosa Nostra: droga e trattative

Stefano Scibilia

Il pestaggio di Regalbuto e gli equilibri mafiosi di Cosa Nostra: droga e trattative

Simone Olivelli  |
venerdì 13 Settembre 2024

Ricostruzioni e approfondimenti di una vicenda controversa

Era già buio a Regalbuto, quando lo scorso 22 novembre un giovane ben piazzato passa davanti alla rivendita ambulante di panini di via Cesare Battisti. La telecamera che lo riprende segna le 18.46, ma in realtà è un’ora avanti. L’occhio elettronico è installato sulla facciata di una banca: da lì si vede il giovane mentre si avvicina a un’auto con all’esterno due uomini. Uno di loro è Antonio Arcodia Pignarello, 46enne arrestato ieri con l’accusa di essere ritagliato il ruolo di referente di Cosa nostra nel centro dell’Ennese. 

Pignarello è una delle tredici persone arrestate ieri dalla polizia – a finire in carcere sono stati anche il figlio e un cugino – in un blitz che ha colpito anche il territorio di Pietraperzia. La polizia ha eseguito due diverse ordinanze figlie di altrettanti filoni d’indagine che hanno fatto emergere l’elevata concentrazione di armi a disposizione della criminalità organizzata. Pistole, fucili ma anche kalashnikov. “Quale fosse l’utilizzo potenziale di queste armi si dovrà accertare ma desta una certa inquietudine”, ha dichiarato il procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca.

Il 22 novembre 2023, però, per dimostrare chi è che comandasse a Regalbuto, ad Arcodia Pignarello non è stato necessario sparare alcun colpo: l’uomo, a pochi passi dal centro, si è reso protagonista del pestaggio di uno spacciatore colpevole di avere ceduto cocaina a un familiare. 

Gli schiaffi registrati dallo spyware

L’episodio è ricostruito nel provvedimento firmato dalla gip Graziella Luparello ed è stato citato tra quelli che motivano la necessità di custodia cautelare nei confronti del 46enne e che dimostrano come l’uomo, scontata nel 2020 la pena scaturita dalla condanna nel processo Go Kart, abbia ripreso le redini di Cosa nostra a Regalbuto. “La condotta è sintomatica certamente del suo ruolo mafioso, che comporta che possa controllare le attività illecite poste in essere sul suo territorio, consentendole o meno, e possa affrontare, sottomettere e punire un soggetto, fisicamente non debole e anzi apparentemente più prestante e giovane di lui, senza che quest’ultimo reagisca o si difenda in alcun modo”, ha scritto la giudice per le indagini preliminari in merito al pestaggio.

I momenti di violenza sono stati registrati anche dallo spyware installato nel telefono dell’uomo. Sono attimi concitati. La vittima, che conosce Arcodia Pignarello e lo chiama Tony, chiede il perché di quegli schiaffi che il 46enne successivamente quantifica, lasciandosi in un’esagerazione, in una cinquantina. Che i colpi fossero stati forti lo conferma lo stesso Arcodia che ammette pure di essersi fatto male alla mano, ma di essere almeno contento di avere dato una lezione al giovane che sarebbe andato in giro per il paese atteggiandosi da malandrino.

La doppia morale

Arcodia Pignarello racconta a più persone di avere deciso di fare pagare l’avventatezza dello spacciatore nell’avere venduto la droga a una parente e di vantare anche un credito di ottanta euro. Nelle intercettazioni riportate nelle quasi seicento pagine di ordinanza che fanno il punto sugli attuali equilibri mafiosi a Regalbuto, l’uomo più volte lamenta l’eccessiva circolazione di sostanze stupefacenti tra i giovani. Definisce i pusher la spazzatura del paese, capaci di rovinare la vita delle persone e per questo meritevoli di punizioni esemplari.

A tratti sembra di scivolare in quelle ricostruzioni di una mafia antica, orgogliosamente contraria ad arricchirsi tramite la droga. Narrazioni ampiamente superate già cinquant’anni fa, quando Cosa nostra ha fiutato la portata degli affari derivanti dalla commercializzazione degli stupefacenti e per questo capace di trasformarsi in snodo fondamentale per i traffici nel Mediterraneo.

Nel caso di Arcodia Pignarello, tutto sembrerebbe essere inquadrabile all’interno di una doppia morale: l’uomo, infatti, scatena la propria violenza davanti alla cessione delle dosi a una persona cara e ai rischi che conseguono dall’uso della cocaina. Al contempo, però, per gli stessi inquirenti non sarebbe estraneo ad affari legati al mondo degli stupefacenti. A novembre scorso, infatti, Arcodia Pignarello è stato ascoltato per diverso tempo mentre riprendeva i contatti con un 32enne calabrese. I due si erano conosciuti tra il 2017 e il 2018 nel carcere di Frosinone. Al centro del tentativo di riavvicinamento, con tanto di invio di una guantiera di dolci dalla Sicilia, ci sarebbe stato l’intento di avviare “trattative preliminari volte ad instaurare una possibile collaborazione per lo svolgimento di attività illecite concernenti lo spaccio di sostanze stupefacenti”.

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