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L’imprenditore umanista

Marco Vitale

L’imprenditore umanista

mercoledì 25 Gennaio 2023

Ha ragione Sombart o ha ragione Sapori?

La scorsa settimana abbiamo introdotto la figura di Benedetto Cotrugli e abbiamo rimarcato come sia stato un grande errore della cultura italiana ignorare e tenere celato per tanti secoli un personaggio come lui. Altrettanto grave errore sarebbe, oggi che si è riscoperto Cotrugli, considerarlo come un talento scaturito dal nulla o quasi, un isolato senza solide radici, un improvvisato e forse stravagante imprenditore-umanista.

Ma non è stato il grande (perché, nonostante tutto, grande rimane) Werner Sombart che aveva delineato un «mercante medioevale, gretto fino alla meschinità, pavido fin quasi al ridicolo, incolto fino all’ignoranza. Egli non sa né leggere né scrivere e fa i conti come i ragazzi servendosi delle dita avvicendate per il calcolo sulla punta del naso; egli non ha altro miraggio se non di vivere giorno per giorno con la stretta sufficienza, per il che gli basta portare in giro una balluccia di povera mercanzia». E Sapori ricorda che a un congresso storico del 1903, per rispondere alle tante critiche ricevute, Sombart, in tono sprezzante, rispose: «Per far comprendere la vita economica moderna ho fatto una costruzione che si chiama medioevo. Quel che siano state nella realtà le situazioni di quell’età, mi è del tutto indifferente ed è assurdo di pretendere di rifiutare le mie teorie con situazioni tratte da saggi storici. Se qualche eccezione si può trovare, conferma la regola».

Sono dispute tra studiosi, tra le quali chi legge la storia per cercare di capire il presente deve farsi, faticosamente, strada. Ha dunque ragione Sombart o ha ragione Sapori quando scrive: «Il grande mercante dell’evo medio è stato uno dei punti di passaggio ai tempi successivi»? E come conciliare il grossolano, poverello e ignorante mercante di Sombart con la fisionomia del mercante italiano come la delinea Sapori?

Soggiungo che il mercante medievale italiano non fu soltanto istruito professionalmente, ma fu dotato, almeno in alcuni casi, di cultura letteraria, e di un vero gusto per le lettere. Limitando la documentazione a Firenze, mentre potrei estenderla largamente altrove, intendo di conferire maggiore efficacia al mio assunto, per la ricchezza delle citazioni nel breve tratto di una sola città. I cronisti di Firenze, il Compagni e il Villani, furono mercanti. Il candido Dino, ascritto all’Arte di Por S. Maria, lasciò morendo nel 1324 quel suo prezioso manoscritto che ha tanto giovato alla comprensione del pensiero dantesco, e una ditta mercantile bene avviata. Giovanni Villani fu a venticinque anni socio della Compagnia dei Peruzzi; poi, dal 1324, fu socio di quella dei Bonaccorsi, di cui era compagno il fratello Matteo che avrebbe seguito l’opera del maggior fratello fino al 1363, e che, nell’interesse della ditta, fu a Napoli per cinque anni e poi per altri dieci ad Avignone. Il terzo fratello, Filippo, prese il posto di Giovanni nella Compagnia dei Peruzzi, e ne diresse la succursale di Avignone […] Senza imporsi con la forza bruta delle armi i mercanti italiani portarono ovunque la civiltà e aprirono la via ai futuri progressi. Si imposero per l’audacia sorretta da una acuta lungimiranza e da alti valori morali quali l’amor di patria, la fede, la cultura. Credo che niente valga meglio a perpetuare nei secoli l’essenza di una grandezza veramente immortale, della frase altissima che si legge in testa al Breve dell’Arte dei Pittori di Siena e che ricordai già al Congresso storico di Zurigo: «Niuna impresa pur minima che sia può avere cominciamento o fine senza queste tre cose, cioè, senza potere, e senza sapere, e senza con amore volere». Con questo insegnamento l’uomo del Medioevo ha indicato l’unica via ai singoli ed ai popoli di tutti i tempi per qualsivoglia realizzazione.

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