Che il settore degli appalti pubblici in Sicilia sia profondamente inquinato dai rapporti illeciti tra pubblici funzionari e imprenditori, con la politica a fare da intermediaria interessata, è un dato acquisito. Sia le indagini giudiziarie che i racconti di chi prova a stare in questo mondo senza scendere a compromessi lo confermano.
A tale dato relativo alla diffusione del fenomeno se ne aggiunge un altro di carattere più descrittivo: il sistema corruttivo è reticolare, e questo a prescindere dall’esistenza o meno, oggi, di un tavolino unico capace, come a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, di spartire lavori e bilanciare gli interessi traversali di chi vi trovava posto.
Lo spunto di riflessione arriva dall’inchiesta che coinvolge Totò Cuffaro, Saverio Romano e il gruppo di persone che avrebbe beneficiato delle entrature che l’ex presidente della Regione, tornato in auge dopo avere scontato la condanna per favoreggiamento a Cosa Nostra, non ha mai perso in giro per l’isola.
Nell’elenco degli indagati compare anche Alessandro Vetro, imprenditore di Favara (AG). L’uomo, qualche mese fa, era finito sotto accusa anche per un altro giro di corruzione legato agli appalti nell’Agrigentino. In quell’indagine compariva anche un altro pezzo da novanta della politica siciliana: Roberto Di Mauro, lombardiano e fino a pochi mesi fa assessore del governo Schifani.
Il filo rosso che lega le indagini è sempre lo stesso: agganciare e assecondare il potere per ottenere corsie preferenziali e favori.
L’inchiesta sugli illeciti negli appalti in Sicilia, il caso dei lavori al Consorzio di Bonifica
Nato nel 1980 ad Agrigento, Alessandro Vetro ha ricevuto ieri la notizia della nuova indagine a proprio carico. La Procura di Palermo lo ha convocato per l’11 novembre, per essere sottoposto a interrogatorio. Un passaggio a cui seguirà la decisione del giudice per le indagini preliminari sulle richieste di misure cautelari e interdittive chieste dai magistrati.
Vetro è accusato insieme a Cuffaro, all’attuale deputato regionale e capogruppo della Dc all’Ars Carmelo Pace e al direttore generale del Consorzio di bonifica occidentale Giovanni Tomasino di avere condizionato – “mediante collusioni e accordi occulti”, si legge nelle carte giudiziarie – l’esito delle procedure per affidare lavori pubblici.
Secondo gli inquirenti, nelle vesti di procuratore speciale della S.M. Srl e di amministratore della M.G.V. Costruzion srl, avrebbe consegnato somme di denaro “in almeno un’occasione a Cuffaro e Pace affinché le facessero pervenire a Tomasino”. Sia l’ex presidente della Regione che il deputato regionale sono considerati “intermediari di riferimento in grado di esercitare influenza su Tomasino per avergli accordato sostegno e appoggio, anche politicamente”.
Il subappalto a Licata
In primavera Vetro era finito coinvolto in un’indagine aperta dalla Procura di Agrigento e poi trasferita a Palermo. Si tratta di un’altra inchiesta contenente nomi eccellenti: oltre all’ex assessore regionale Di Mauro, a essere accusato di corruzione è in quella vicenda è anche Giuseppe Capizzi, attuale sindaco di Maletto legatissimo al presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. Capizzi, che in passato ha già patteggiato una pena per corruzione, è coinvolto nelle vesti di imprenditore edile.
Anche in questo caso Vetro è accusato di corruzione. L’imprenditore sarebbe riuscito a far ottenere illecitamente alla S.M srl un subappalto nell’ambito dei lavori di riqualificazione del campo sportivo di Licata precedentemente assegnati alla Nuova Fise srl. Il tutto sarebbe stato possibile grazie alla complicità di Sebastiano Alesci, dirigente del Comune e responsabile del procedimento. “Alesci istigava Vetro a compiere i lavori prima della delibera di autorizzazione e ometteva in qualità di Rup di denunciare il subappalto all’autorità giudiziaria”, si legge negli atti dell’indagine.
I magistrati hanno individuato la contropartita per il pubblico funzionario in una sottrazione di parte di una fornitura destinata al campo da calcio, poi recapitata a un’amica di Alesci. “Vetro portava parte del manto erboso dei lavori dello stadio di cui svolgeva in subappalto di fatto i lavori, e in particolare due rotoli di erba sintetica, pari a 60 metri di lunghezza per circa 1,24 metri di larghezza, a casa della signora così retribuendo quest’ultimo”, è l’accusa dei magistrati.
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