Un’Italia che invecchia, in cui entro il 2050 si prevede una diminuzione della popolazione di oltre 4 milioni e mezzo di persone, ma dove il numero di persone che saranno impegnate nella ricerca di lavoro subirà un picco del +6,6% rispetto all’attuale mercato del lavoro. Si tratta di una fotografia firmata Istat e contenuta nell’ultimo rapporto su “Previsioni delle forze di lavoro al 2050” diffuso negli scorsi giorni dall’Istituto, che vede la Sicilia tra le Regioni con il quadro più complesso sul fronte occupazionale.
Il trend si spiega anche con l’avvento dell’intelligenza artificiale, oltre che con il generale invecchiamento della popolazione. Un rilevamento che mette in evidenza anche gli effetti diretti del crollo demografico in atto. Ma cosa accadrà, quali fasce d’età prenderà in considerazione questo mutamento, cosa c’è da attendersi per la Sicilia e qual è la posizione dei sindacati? Come sempre, partiamo dai numeri. Piccolo spoiler: l’Isola rischia di perdere un lavoratore su cinque e miliardi di euro di produttività.
Istat, “Previsioni delle forze di lavoro al 2050”: Italia Paese più vecchio e meno popolato
Il nuovo rapporto ISTAT “Previsioni delle forze di lavoro al 2050” consegna un’immagine in chiaroscuro dell’Italia di domani. Da un lato, la popolazione attiva – ossia il numero di persone che lavorano o cercano lavoro – crescerà del 6,6% rispetto ai livelli del 2023, arrivando a circa 27,4 milioni di individui. Dall’altro, la popolazione complessiva del Paese continuerà a diminuire, fino a perdere oltre 4,5 milioni di abitanti entro il 2050. Il saldo delle nuove nascite già nel 2025 potrebbe non superare quota 350mila nell’anno solare: sarebbe la prima volta nella storia.
Ma si tratta di un paradosso solo apparente: l’aumento delle “forze di lavoro” non deriva da una ripresa demografica, ma da una combinazione di fattori strutturali. Per l’Istat le due cause principali sono da ritrovare nell’aumento dell’età pensionabile – con il conseguente e obbligato prolungamento della vita lavorativa – e con l’avvento delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, che ridisegneranno mansioni e tempi di impiego.
La forza lavoro italiana sarà sempre più anziana. Nel 2023, il 21% dei lavoratori aveva più di 55 anni; nel 2050 la quota salirà al 34%, con un picco previsto nel 2042. Al contempo, caleranno i giovani: nella fascia 15-34 anni si prevede una riduzione del 20% entro il 2050. L’Italia non sarà dunque un Paese con più lavoratori, ma con lavoratori più anziani, più qualificati e più esposti a transizioni occupazionali continue. Ergo: maggiore precarizzazione, più licenziamenti. Ma a fronte di questo cambiamento, cosa accadrà in Sicilia?
A raccontarlo è l’incrocio dei dati contenuti nel rapporto ISTAT con quelli di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Rapporto annuale sul mercato del lavoro 2025), Eurostat (Labour Force Survey 2024–2025) e con il Bilancio sociale 2025 dell’Assessorato all’Economia della Regione Siciliana.
Forza lavoro al 2050, le previsioni dell’Istat per la Sicilia
La Sicilia è la regione che più di tutte incarna il paradosso italiano: popolazione in calo, forza lavoro ridotta, emigrazione giovanile costante. Secondo le previsioni ISTAT, nel 2050 l’Isola perderà quasi 900mila abitanti, scendendo sotto la soglia dei 4,2 milioni di residenti. Parallelamente, gli occupati diminuiranno del 12%, passando dagli attuali 1,37 milioni a 1,2 milioni. Un dato che significa 120mila posti di lavoro in meno, ma soprattutto una desertificazione progressiva delle competenze produttive. La Sicilia sarà tra le regioni più colpite dalla contrazione demografica e dall’invecchiamento della forza lavoro.
L’incidenza della popolazione attiva sul totale scenderà dal 58% al 52% entro il 2050, il valore più basso d’Italia. La fascia più colpita sarà quella dei giovani tra i 20 e i 34 anni, che si ridurranno del 32%. Una dinamica già in atto: secondo il Rapporto Svimez 2025, ogni anno lasciano l’Isola oltre 25mila under 35, in gran parte laureati.
Una situazione che resta critica – quella del mercato del lavoro in Sicilia – pur evidenziando netti miglioramenti, come quelli di cui ha parlato il Ceo di Teha Group e The European House – Ambrosetti Valerio De Molli a margine di Act Tank 2025, tenutosi a Palazzo Branciforte a Palermo.
“Siamo la prima regione italiana per tasso di crescita del Pil dal 2019 ad oggi, la quarta per investimenti fissi lordi e tasso di crescita degli investimenti, la prima per tasso di crescita degli occupati. È vero che il valore assoluto del tasso è tra i peggiori in Italia, ma la dinamica è la prima tra le regioni”, ha commentato De Molli.
Il costo economico e sociale per la Sicilia
Il rallentamento della forza lavoro potrebbe tradursi in una perdita di ricchezza e PIL. In più, secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2025 in Sicilia il 24,3% dei lavoratori è a rischio povertà o esclusione sociale. Per l’Istituto il numero di famiglie con almeno un componente disoccupato crescerà del 7,1% entro il 2050, nonostante il calo complessivo della popolazione. Il problema, inoltre, non sarà solo “trovare lavoro”, ma avere un lavoro stabile e retribuito in modo dignitoso.
Un capitolo a parte riguarda il livello di istruzione. Nel 2050, il 43% della forza lavoro italiana avrà un titolo di laurea o post-diploma, ma in Sicilia la quota non supererà il 32%. Un divario che alimenterà un fenomeno già oggi evidente: la povertà lavorativa. Già oggi il 20,7% degli occupati siciliani è in condizione di povertà relativa, contro una media nazionale del 9,8%.
Due Italie sempre più distanti
Sul fronte della disoccupazione, il report “Previsioni delle forze di lavoro al 2050” conferma la persistenza di una frattura territoriale profonda. Nel 2050, il tasso di occupazione complessivo nel Nord sarà 72,1%, mentre nel Mezzogiorno non andrà oltre il 58,4%.
Una distanza di quasi 14 punti percentuali, la stessa di trent’anni fa. L’Istat stima che nel 2050 il reddito medio lordo pro capite in Sicilia sarà di 23.400 euro annui, contro i 38.700 del Nord. Un divario economico che rischia di tradursi in un differenziale di benessere e servizi pubblici sempre più ampio.
Secondo le stime ISTAT, il tasso di attività complessivo (cioè la quota di popolazione tra i 15 e i 74 anni che partecipa al mercato del lavoro) passerà dal 65% del 2023 al 69% del 2050. Una crescita apparente, che si accompagna però a un calo costante del numero di persone in età lavorativa: dai 37,6 milioni del 2023 ai 33,9 milioni del 2050. Un equilibrio fragile, che secondo l’istituto di statistica “dipenderà fortemente dalle politiche migratorie e dalla capacità di integrazione del mercato del lavoro”. Qui, come detto, giocherà un ruolo chiave l’IA.
Forza lavoro in Sicilia e in Italia al 2050, l’impatto dell’intelligenza artificiale
Secondo l’ISTAT, entro il 2050 oltre 5 milioni di occupati in Italia vedranno cambiare radicalmente la natura delle proprie mansioni. Le professioni più esposte all’automazione saranno quelle di routine – amministrative, contabili, di sportello – ma anche una parte del lavoro tecnico e sanitario sarà ridefinita da algoritmi e macchine intelligenti.
L’IA, tuttavia, non sostituirà soltanto, ma creerà nuovi segmenti: analisi dei dati, manutenzione predittiva, cybersecurity, robotica assistenziale, energie rinnovabili. Il saldo netto, nel lungo periodo, potrebbe essere positivo, ma solo a condizione che il sistema formativo e produttivo italiano sappia adattarsi. La Sicilia ne sarà in grado?
“Negli ultimi dodici mesi molte attività sono state sempre più supportate dall’intelligenza artificiale e il quadro è ancora sperimentale: mancano scenari definiti sull’impatto occupazionale. Dal centro studi nazionale della Cgil, adattato al tessuto siciliano, emerge una previsione chiara: l’intelligenza artificiale andrà a sostituire tutta una serie di lavori altamente specializzati. Qui entrerà in gioco la formazione”. A raccontarlo al Quotidiano di Sicilia è Francesco Lucchesi, segretario regionale Cgil Sicilia, che si concentra sulla capacità di tradurre il cambiamento in opportunità. “Se non avviamo un percorso attraverso il quale riformiamo quei lavoratori che verranno espulsi dal mercato del lavoro perché sostituiti dall’intelligenza artificiale, il rischio di disoccupazione strutturale diventa concreto. È un fenomeno che va governato”.
In questo contesto, diventa necessario “formare i lavoratori nella capacità di utilizzare questi strumenti – aggiunge il segretario – perché l’IA richiede alte professionalità e alte competenze. Allo stesso tempo, numerosi comparti presenti in Sicilia (turismo, servizi alla persona, il terziario non avanzato, ndr) saranno soltanto marginalmente toccati dall’automazione”.
Lucchesi chiude con una nota di speranza pragmatica: l’intelligenza artificiale “potrebbe essere un strumento per creare posti di lavoro se sapremo governarla e investire su competenze e politiche attive anche in Regione”.
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