La Sicilia rinasce se la malaburocrazia muore. Imprese, tre miliardi l’anno vanno in fumo - QdS

La Sicilia rinasce se la malaburocrazia muore. Imprese, tre miliardi l’anno vanno in fumo

Serena Giovanna Grasso

La Sicilia rinasce se la malaburocrazia muore. Imprese, tre miliardi l’anno vanno in fumo

giovedì 23 Aprile 2020

Cgia di Mestre: a livello nazionale, ritardi, inefficienza e lungaggini ci costano 57 miliardi. Cig in deroga, ancora polemica sul caos negli uffici della Regione. Confapi: “Non si è visto un euro”

PALERMO – “Nonostante la costituzione di una task force di ben 138 persone istituita dalla Regione Siciliana per esitare le pratiche, ad oggi la mancata erogazione della cassa integrazione in deroga per l’emergenza coronavirus è l’ennesima costatazione di come il sistema burocratico amministrativo abbia compiuto l’ennesimo flop, infatti neanche uno degli assegni ai 135 mila lavoratori delle 33 mila aziende che ne hanno fatto richiesta è stato ancora emesso. Ancora nessuna pratica dalla Regione e trasmessa all’Inps, che a sua volta dovrà lavorare ogni singola pratica senza alcuna certezza sui tempi”. Così in una nota Confapi Sicilia, che si associa alla denuncia dei sindacati dei lavoratori.

Le polemiche di questi giorni sul caos e la paralisi della burocrazia regionale conferma quanto la pubblica amministrazione rappresenti da sempre il principale nemico delle imprese.

Ma se in seguito all’emergenza coronavirus non riuscirà a correggere il tiro, le conseguenze sul tessuto produttivo del nostro Paese saranno decisamente catastrofiche.

Secondo le stime elaborate dalla Cgia di Mestre, a livello nazionale ammonta a 57,2 miliardi di euro il costo che le imprese sono tenute a sopportare a causa del cattivo funzionamento della burocrazia (si tratta di costi necessari per adempimenti, permessi e tutte le altre pratiche burocratiche).

La Sicilia si trova nella prima metà della classifica nazionale, precisamente all’ottavo posto: in particolare, si stima che le imprese stanziate nel nostro territorio spendano ben 2,9 miliardi di euro l’anno per la gestione dei rapporti con la pubblica amministrazione.

La Lombardia, in quanto regione più produttiva e con tessuto imprenditoriale più sviluppato, è anche il territorio che sconta il maggior scotto dai rapporti con la pubblica amministrazione (si stima che la burocrazia costi 12,6 miliardi di euro, oltre il quadruplo rispetto all’ammontare dell’Isola e oltre un quinto del totale Italia). Costi decisamente elevati sono tenuti a sopportare anche Lazio (6,5 miliardi di euro), Veneto (5,3 miliardi di euro) ed Emilia Romagna (5,2 miliardi di euro). Nel confronto regionale, costi più contenuti sono chiamati a sborsare i territori di più piccole dimensioni e quelli meridionali: è questo il caso di regioni quali Umbria (733 milioni di euro), Basilicata (409 milioni di euro), Molise (208 milioni di euro) e Valle d’Aosta (157 milioni di euro).

Dunque, costi più contenuti in valore assoluto, ma comunque pesanti in rapporto al contesto relativo e ugualmente ostacolanti e frenanti lo sviluppo imprenditoriale.

Secondo la Cgia di Mestre, oltre al cattivo funzionamento caratteristico della nostra burocrazia, a complicare il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione interviene anche il difficile quadro normativo, avvolto da un coacervo di leggi, decreti, ordinanze, circolari e disposizioni varie.

In Italia si stima vi siano 160.000 norme, di cui 71.000 promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale e locale – ha dichiarato Paolo Zabeo, coordinatore dell’ufficio studi della Cgia di Mestre – In Francia, invece, sono 7.000, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3.000. La responsabilità di questa iper legiferazione è ascrivibile alla mancata abrogazione delle leggi concorrenti e al fatto che il nostro quadro normativo negli ultimi decenni ha visto aumentare esponenzialmente il ricorso ai decreti legislativi che, per essere operativi, richiedono l’approvazione di numerosi decreti attuativi”.

“Tuttavia – ha aggiunto Renato Mason, segretario della Cgia di Mestre – sarebbe possibile ridurre il numero delle leggi attraverso l’abrogazione di quelle più datate, evitando così la sovrapposizione legislativa che su molte materie ha generato incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti sempre più onerosi, facendo diventare la burocrazia un nemico invisibile e difficilmente superabile”.

Dunque, lo spaccato fotografato dalla Cgia di Mestre appare altamente preoccupante. In particolar modo in Sicilia, e in tutto il Mezzogiorno più in generale, la situazione economica, imprenditoriale e lavorativa sono sempre state più critiche rispetto al resto d’Italia. Sicuramente lo stato emergenziale che stiamo vivendo non è di aiuto, al contrario è quasi certo il peggioramento che ne deriverà. Se la pubblica amministrazione non approfitterà del momento di stallo che sta vivendo per innovarsi, gli effetti sulle imprese saranno disastrosi, specialmente in quei territori con andamento più critico.

Maggiormente penalizzate quelle realtà territoriali dove si concentra la ricchezza

A livello provinciale, così come abbiamo già visto a livello regionale, risultano essere maggiormente penalizzate quelle realtà territoriali dove si registra la concentrazione più consistente di attività economiche che producono ricchezza.

Infatti, la provincia dove il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la pubblica amministrazione è superiore a tutte le altre è Milano (con 5,8 miliardi di euro, praticamente il doppio dell’intera Sicilia).

Seguono Roma (5,4 miliardi di euro), Torino (2,4 miliardi di euro), Napoli (con quasi 2 miliardi di euro), Brescia (1,4 miliardi di euro) e Bologna (1,3 miliardi di euro). Situazione particolarmente gravosa contraddistingue anche Firenze (1,2 miliardi di euro), Bergamo (1,1 miliardi di euro), Verona e Padova (entrambe le città con un miliardo di euro l’una), province che si collocano dal settimo al decimo posto della classifica nazionale.

Entro le prime venticinque province italiane per maggior carico economico sopportato dalle imprese se ne collocano anche due siciliane: nel dettaglio, si tratta di Palermo al ventesimo posto (777 milioni di euro) e Catania al ventitreesimo posto (661 milioni di euro), praticamente solo queste due province assorbono metà del peso sostenuto dalle imprese di tutta l’Isola.
A seguire per la Sicilia troviamo Messina, provincia che si colloca al quarantaduesimo posto con un costo sopportato pari a 373 milioni di euro, e Siracusa al sessantottesimo posto con 250 milioni di euro.
Importi decisamente più contenuti gravano sulle province di Trapani (al settantaquattresimo posto con 227 milioni di euro annui), Agrigento (al settantasettesimo posto con 217 milioni di euro), Ragusa (all’ottantaduesimo posto con 186 milioni di euro) e Caltanissetta (al novantasettesimo posto con 133 milioni di euro).

Mentre le realtà imprenditoriali meno soffocate in assoluto dalla burocrazia sono quelle di Enna (87 milioni di euro), Vibo Valentia (82 milioni) e Isernia (56 milioni di euro), province che si trovano agli ultimi tre posti sulle complessive 107 province italiane. Ad ogni modo, è opportuno non sottovalutare il fatto che, seppur più contenuti, sono pur sempre degli importi abbastanza consistenti in relazione ai contesti di riferimento, sicuramente non tra i più floridi da un punto di vista imprenditoriale.

Pubblica amministrazione in stand-by fino al 15 maggio
Smart working ma tante le attività stoppate: dal silenzio assenso ai procedimenti disciplinari

Da ormai oltre un mese e mezzo a questa parte, molte imprese italiane hanno congelato la propria attività a causa dell’emergenza coronavirus.
Probabilmente già a maggio sarà possibile passare alla fase due, con la conseguente riapertura.
Ma cosa succederà alle imprese? Senza alcuna ombra di dubbio, si troveranno in maggiori difficoltà a causa del blocco forzato delle attività. In più, molte imprese saranno costrette a scontrarsi con una realtà burocratica ancora più paralizzata: infatti, la pubblica amministrazione italiana ha sospeso molte attività fino al 15 maggio al fine di snellire la mole di lavoro svolta in smart working (dal silenzio assenso ai procedimenti disciplinari, solo per citarne alcuni).

Se certamente, da una parte, questa sospensione rappresenta un’opportunità per i dipendenti della Pa di svolgere le proprie attività in modo più agevole, d’altra parte, è inevitabile che si sviluppi una mole di arretrato di difficile controllo.

A questo punto, il prezzo più salato potrebbe essere pagato dalle imprese, che, in uno scenario già decisamente traballante, rischiano il definitivo tracollo.
La Cgia di Mestre suggerisce una serie di accorgimenti che potrebbero permettere un decisivo efficientamento della pubblica amministrazione.

Si potrebbe iniziare consolidando l’informatizzazione della Pubblica amministrazione, rendendo i siti più accessibili e i contenuti più fruibili e facendo dialogare tra di loro le banche dati pubbliche per evitare la duplicazione delle richieste. Inoltre, dovrebbe essere permesso all’utenza di compilare le istanza esclusivamente per via telematica e si dovrebbe anche completare la standardizzazione della modulistica. Infine, sarebbe auspicabile anche l’accrescimento della professionalità dei dipendenti pubblici attraverso un’adeguata e continua formazione.
Dunque, è chiaro che se nulla cambia, molte imprese saranno costrette alla definitiva scomparsa.

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Un commento

  1. Giuseppe ha detto:

    purtroppo la burocrazia è un argine al malaffare ma un freno alle persone per bene e corrette

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