Mannino, assoluzione reclama la Riforma - QdS

Mannino, assoluzione reclama la Riforma

Carlo Alberto Tregua

Mannino, assoluzione reclama la Riforma

giovedì 17 Dicembre 2020

Giustizia, no processi mediatici

Le istituzioni negano le informazioni, violando l’articolo 21 della Costituzione, quando vengono richieste relativamente al loro funzionamento (o disfuzione), all’efficienza della macchina pubblica, alla morbidità del personale ed alla sua capacità di raggiungere gli obiettivi che, per la verità, non vengono prefissati, nonostante le norme lo prevedano.
Nella Giustizia, lo scenario si rovescia perché l’ansia che hanno le Procure di comunicare le loro iniziative, che sono di parte in quanto rappresentano solo l’accusa, trasforma lo scenario mediatico in una sorta di palcoscenico, nel quale esse vogliono essere presenti tutti i giorni, per acquisire una notorietà indebita, in quanto la Giustizia si amministra in silenzio e non nelle televisioni, sui giornali e sui media sociali.
Ma questo nella testa dei Procuratori, non tutti, non è ben entrato, forse perché le promozioni sono anche funzione della notorietà conseguita.

Che l’informazione all’opinione pubblica relativa alle inchieste debba essere data per fatti concernenti mafia, evasione fiscale e corruzione, è da condividere, ma che le Procure emettano comunicati stampa a raffica non appena iniziano le indagini e vengono individuati gli indagati e poi sulle accuse che vengono fatte nei dibattimenti e via enumerando, è assolutamente da censurare.
Nella riforma urgente della Giustizia, dovrebbe essere inserito il divieto assoluto di pubblicare qualunque iniziativa dei processi civili e penali al di fuori di ordinanze e sentenze. Queste ultime, infatti, raccolgono i punti di vista di accusa e difesa e, quindi, costituiscono una informazione bilanciata e obiettiva.
Casi diversi sono quelli in cui vengono fatti i richiamati comunicati stampa per tutti quei passaggi che molto spesso vengono abbattuti in quanto non fondati sulla verità o su indizi gravi, precisi e concordanti, e che non costituiscono una prova, bensì supposizioni più o meno attendibili.
Insomma, dei processi che colpiscano comportamenti di pericolosità sociale, l’informazione va data ma altri che colpiscono cittadini che non hanno mai avuto alcun problema penale o fiscale o contributivo, ebbene, nulla dovrebbe trapelare all’opinione pubblica.
Calogero Mannino, ex ministro del Mezzogiorno e uomo di spicco della Democrazia cristiana, non ha mai avuto rapporti con la mafia. Anzi, ne è stato una vittima. Così ha sancito definitivamente la Corte di Cassazione alla fine di svariati processi durati trent’anni. Peraltro, anche la Corte d’Appello di Palermo era giunta alla stessa conclusione ma, pervicacemente, la Procura della Repubblica e la Procura generale del capoluogo siciliano, hanno insistito nella loro azione contro lo stesso Mannino, fino alla definitiva sconfitta.
Ora, questo ultimo flop, unitamente a quello contro Antonio Bassolino (19 processi, 19 assoluzioni), Clemente Mastella (15 processi, 15 assoluzioni), Roberto Maroni (6 processi, 6 assoluzioni) e tanti altri, fanno emergere un vistoso problema della responsabilità di magistrati accusatori che continuano ad aprire indagini che si concludono con il loro fallimento.

Non è più possibile accettare questo stato di cose perché se una Procura inizia le indagini che si concludono con la condanna degli indagati prima e degli imputati dopo, almeno sei volte su dieci, le quattro volte in cui fallisce possono essere accettate.
Ma se, per contro, i successi sono solo due su dieci, c’è qualcosa che non va.
L’attuale legge che prevede la responsabilità dei magistrati, il cui risarcimento è a carico dello Stato e non degli stessi, se non dopo un iter tortuosissimo e del tutto inutile, non può continuare a restare senza profonde modifiche.
Giudici che mettono in galera cittadini o che li portano a processo, soprattutto se sono figure note all’opinione pubblica, e poi vengono smentiti dalle sentenze, devono rispondere alla stessa opinione pubblica in modo del tutto personale e patrimoniale.
Si potrebbe obiettare che le sanzioni per comportamenti leggeri potrebbero indurre i procuratori a una maggiore prudenza. Ma è proprio questo l’obiettivo che dovrebbe perseguire la riforma: prudenza e obiettività. Non notorietà a tutti i costi.

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