L’acclamata coppia porta in scena lo spettacolo “Dove eravamo rimasti” allo Stabile di Catania fino al 12 gennaio
CATANIA – Che si tratti di pontefici, politici o personaggi noti, la sua è una vis comica garbata, rispettosa del pubblico e delle ‘vittime designate’. Tra imitazioni, numeri, sketch, brani musicali, uno straordinario performer che trova nel palcoscenico il suo più autentico sé stesso. Attore, comico, imitatore, doppiatore, cantante, non pensa allo show come finzione. Per Massimo Lopez il teatro è verità. In coppia con Tullio Solenghi, porta in scena ‘Dove eravamo rimasti’, allo Stabile di Catania fino al 12 gennaio. Scritto a sei mani con Giorgio Cappozzo e prodotto da International Music and Arts, lo spettacolo vede on stage l’acclamato duo accompagnato dalla Jazz Company diretta dal maestro Gabriele Comeglio.
“Tornare a Catania e nelle altre città dell’isola è, ogni volta, una formidabile occasione per riabbracciare amici sparsi qua e là”.
Non ha mai fatto mistero che la nostra è una terra che ama profondamente.
“L’ho visitata tutta grazie a un carissimo amico di Palermo, che purtroppo è venuto a mancare anni fa. Lui è stato, come Virgilio per Dante, la persona che me l’ha fatta conoscere anche culturalmente, dandomi la straordinaria possibilità di entrare in contatto con quei valori, profondamente umani, che bisogna tenersi stretti”.
Cos’è per lei la Sicilia?
“È una sorta di farmaco che va preso tutti i giorni, due o tre volte dopo i pasti. Perché avere un po’ di Sicilia all’interno del proprio organismo fa bene al cuore”.
Il suo ha sempre battuto per il palcoscenico. Formatosi presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova, ha esordito nel 1975 con un classico della drammaturgia, ‘Il fu Mattia Pascal’ di Luigi Pirandello, accanto ad attori come Giorgio Albertazzi e Lina Volonghi. Che ricordo ha di quell’esperienza?
“È stato un sogno che si è realizzato, in tutti i sensi. Quando da bambino desideravo di voler diventare un attore, immaginavo di poter iniziare, un giorno, il teatro con Giorgio Albertazzi. Ed è capitato, casualmente. Feci un’audizione con il Teatro Stabile di Genova, Luigi Squarzina cercava un attore diciassettenne, biondo. Mi presentai io, ventitreenne, bruno e con i baffi il triplo di quelli che ho adesso. Il provino, però, andò benissimo. Portai un monologo drammatico sulla rivoluzione russa mettendoci l’anima e fui preso e scritturato. Esordii con ‘Il fu Mattia Pascal’”.
È trascorso mezzo secolo e lo troviamo sempre là, alla ribalta, più irresistibile che mai. La domanda è d’obbligo: Massimo, dove eravamo rimasti?
“Lì nel ‘75. Con quello stesso entusiasmo, con la stessa voglia di stare sul palco. Identica, commovente. Con un pizzico di nostalgia legato a quel tempo che magicamente si fonde al periodo attuale”.
C’è chi sostiene che ridere sia il miglior modo per affrontare la vita. Anche lei è di questo parere?
“Ritengo che sia indispensabile, ma non bisogna confondere il ridere con qualcosa di leggero, banale, non degno di attenzione. La risata e il sorriso sono fondamentali e, a mio avviso, il teatro comico è più impegnativo di quello drammatico”.
Il suo sodalizio artistico con Tullio Solenghi dura da oltre trent’anni. Vi siete conosciuti prima dell’incontro con Anna Marchesini in una sala di doppiaggio di cartoni animati…
“Informai subito Tullio di quella conoscenza straordinaria che avevo avuto con Anna. Solenghi, invece, lo conobbi un giorno a casa mia, perché già lavorava, insieme a mio fratello Giorgio, più grande di me, al Teatro Stabile di Genova. La nostra è un’amicizia ormai storica, fraterna. Ci supportiamo l’uno con l’altro in maniera veramente sincera”.
Cosa ritrovano in scena gli affezionati del Trio?
“Il nostro marchio di fabbrica, il nostro stile. Quando siamo io e Tullio a scrivere queste pièce teatrali, lo facciamo sempre sul divano di casa mia. Sullo stesso divano bianco dove, col Trio, abbiamo dato vita a tutti i nostri lavori. Quando ci ritroviamo su quel divano a scrivere, scatta qualcosa di magico e il nostro modo di porci, l’uno nei confronti dell’altro, fa sì che, a recitare in teatro, siamo in tre e non in due”.
Il filo conduttore è quello di una chiacchierata tra amici, come una sorta di famiglia allargata. Con l’intento di stupire ed emozionare ancora una volta quei meravigliosi ‘parenti’ seduti giù in platea.
“Ci rivolgiamo al pubblico e parliamo con gli spettatori in certi momenti dello show, riconoscendo la gente come se fossero veramente parenti, perché percepiamo un affetto e un’accoglienza sempre straordinari. Durante lo spettacolo si emozionano, ridono, applaudono. Ogni volta si innesca un meccanismo che ci fa stare bene, che diventa terapeutico”.
Come sono cambiati i gusti della gente? Cos’è che vuole?
“Ha bisogno di sfogarsi, come fa con noi alla fine dello spettacolo. Si sfoga dicendo: ‘Finalmente ridiamo! È stata una gioia immensa, vorremmo vedere questo in televisione’. Ed è un grido unico. Allora, bisognerebbe forse trovare il modo per poter accarezzare la gente, incoraggiarla ad andare avanti, con qualche briciolo in più di speranza”.
La magia del palco è rimasta la stessa?
“Decisamente sì. Anche se, a volte, devo fare uno sforzo ulteriore per rendere quel palco ‘un luogo sacro’, così come lo considero. Un luogo straordinariamente magico che merita rispetto. Dove ci dev’essere silenzio, quell’attesa di Babbo Natale per i piccini”.
I suoi sogni da bambino si sono rivelati più piccoli o più grandi dei traguardi raggiunti?
“Non saprei dirlo, mi sembra ancora così strano quello che mi è capitato. Si sono rivelati esattamente come pensavo. Da bambino non ero mai stato a teatro, ciononostante sognai di trovarmi dietro le quinte. Ma come potevo sapere che quelle erano le quinte se non ero mai stato in un teatro? Eppure, quando poi ho cominciato a fare il primo spettacolo, ‘Il fu Mattia Pascal’, ricordo perfettamente di essermi ritrovato nella stessa visuale che avevo avuto nel sogno, cioè dietro le quinte guardando un po’ di sipario rosso che spuntava”.
L’11 gennaio è il suo compleanno e lo festeggerà allo Stabile di Catania. Che regalo le piacerebbe ricevere?
“Trovare la stessa magia del teatro anche fuori. Sarebbe splendido”.