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Natura stuprata, ma si consuma ancora suolo. Anche in Sicilia

redazione

Natura stuprata, ma si consuma ancora suolo. Anche in Sicilia

Roberto Greco  |
sabato 24 Agosto 2024

Le proposte di legge per fermare le nuove costruzioni sono tutte arenate in Parlamento e intanto si continuano a rilasciare ulteriori concessioni edilizie. Dall’altra parte gli abusi non vengono scalfiti, salvo pochissime eccezioni

Il consumo di suolo rappresenta una minaccia crescente per l’equilibrio ambientale e sociale del nostro Paese ma nel frattempo le città si espandono a ritmo frenetico, divorando la superficie agricola utilizzabile senza alcuna misura di contenimento. Il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale, il suolo non consumato, a una copertura artificiale del suolo, il suolo consumato. Le conseguenze di questa espansione incontrollata sono sotto i nostri occhi, dalla perdita di biodiversità al degrado ambientale passando dall’impossibilità di produrre cibo sufficiente per soddisfare le esigenze del paese e il conseguente aumento dei rischi legati ai cambiamenti climatici.

Ostacoli e rallentamenti per contrastare il consumo di suolo

Nonostante la generalizzata consapevolezza sull’urgenza di agire, il percorso legislativo per contrastare il consumo di suolo è stato, e lo è ancora, costellato da ostacoli e rallentamenti. Le proposte di legge presentate nel corso degli anni sono rimaste spesso lettera morta, bloccate da interessi economici consolidati e, nel contempo, da una mancanza di volontà politica. La mancanza di una normativa efficace e completa sul consumo di suolo si riverbera su diversi livelli. In primis la mancanza di una visione strategica a livello nazionale e dalla difficoltà di coordinamento tra i diversi enti locali. Il risultato è, inevitabilmente, un vuoto normativo che favorisce l’abusivismo edilizio e mette a rischio il nostro futuro e quello delle generazioni a venire.

Invertire il trend di consumo del suolo

Tuttavia, non tutto è perduto. L’Europa potrebbe ancora giocare un ruolo chiave nel promuovere una legislazione comune per contrastare il consumo di suolo. Ma per cambiare rotta, e invertire quindi il trend di consumo del suolo, è necessario un impegno concreto da parte delle istituzioni e della società nel suo complesso. È indispensabile promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza del suolo e delle sue funzioni ecologiche, oltre a un miglior coordinamento tra gli enti territoriali oltre che da una legislazione chiara e incisiva. La legge sul consumo del suolo è diventata una vittima dell’inarrestabile burocrazia e dell’apatia politica. È stata sepolta sotto strati di proposte inerti, soffocata dall’egoismo economico e dall’indifferenza verso il nostro ambiente.

In Sicilia bloccata la sanatoria sugli abusi entro i 150 metri dal mare

In Sicilia, l’unica buona notizia è arrivata nel corso dello scorso mese di luglio, quando è stato ritirato l’emendamento, presentato e approvato in commissione Ambiente dell’Assemblea regionale, che aveva l’obiettivo di sanare le costruzioni abusive edificate nell’area di protezione ovvero entro i 150 metri dalla battigia anche se rimane “la spada di Damocle” del Consiglio di Giustizia Amministrativa Regionale della Sicilia che ha sollevato l’eccezione di incostituzionalità della attuale legge regionale Lr 37/85 che non consente la sanatoria sulla fascia dei 150 metri dal mare. La Sicilia, con oltre il 60% della costa fortemente urbanizzata, è la regione in cui è sempre più difficile abbattere gli abusi edilizi.

Negli ultimi 35 anni annunci di improbabili sanatorie hanno, di fatto, cancellato un ulteriore 10% del tratto di costa con costruzioni legali e non. Un condono, perché di questo si trattava, che avrebbe ridato “speranza” a circa 250 mila immobili edificati nel non rispetto delle norme. Approvare questa procedura avrebbe significato mettere in essere una vera e propria beffa per i tanti amministratori che in questi anni si sono battuti in Sicilia contro l’abusivismo edilizio che ha privato tanti cittadini dalla piena fruizione del mare. A fronte di questa, come dicevamo, buona notizia, però i dati riguardanti il consumo di suolo in Sicilia non sono confortanti.

Il consumo di suolo è monitorato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente che ogni anno realizza il Rapporto nazionale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. È un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce, quindi, a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative. Un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio.

I dati dell’ultimo report di Ispra

Secondo l’ultimo report di Ispra, in Sicilia nel 2022 il suolo consumato è pari a 167.684 ettari di terreno, equivalente a 346,93 m2 per abitante. Le province con il consumo maggiore sono, ovviamente, Palermo e Catania, rispettivamente con 28.466 ettari e 28.235 ettari. Quelle, invece, che hanno il maggior consumo pro capite sono quella di Ragusa, con 537,51 m2 per abitante e Enna, con 528,04 m2 per abitante. La cementificazione ha tra le sue conseguenze, dicevamo, la perdita dei servizi ecosistemici, una situazione che nell’Isola è aggravata dalla siccità e dagli incendi che – come rilevato proprio lo scorso giovedì dall’Autorità di bacino della Regione siciliana – hanno come conseguenza una maggiore vulnerabilità del territorio in caso di forti piogge. Un suolo sempre più degradato a causa dei cambiamenti climatici e, dunque, dell’azione dell’uomo che ha sottratto troppi spazi alla natura pur di costruire.

L’avanzata del cemento non si ferma

Nonostante i segnali inequivocabili, l’avanzata del cemento non si ferma, anzi cresce il numero delle concessioni edilizie rilasciate. Un caso, tra i tanti, è quello del comune di Capo d’Orlando, in provincia di Messina, in cui l’incredibile aumento di rilascio di concessioni edilizie nello scorso anno è fortemente condizionato dal bonus edilizio, in quanto le agevolazioni fiscali introdotte dal governo italiano hanno incentivato la ristrutturazione e l’efficientamento energetico degli edifici, determinando un aumento delle richieste di permessi di costruire. Nello specifico, a fronte delle 51 concessioni edilizie rilasciate nel 2020, nel 2023 le concessioni rilasciate risultano essere 152. Altro dato che non va sottovalutato è che il comune di Capo d’Orlando, come molti dei comuni siciliani, ha subito un calo di popolazione residente che, dopo un trend positivo che gli ha permesso di attestarsi nel 2011 a 13.260 abitanti, nel 2023 ha una popolazione stimata pari a 12.987 abitanti e le proiezioni per il 2024 ipotizzano un calo della popolazione a 12.892 abitanti.

Meno abitanti ma più case che, in realtà sono sempre più spesso destinate alla turistificazione che, nel caso di questo comune, ha visto, secondo i dati dell’Osservatorio turistico regionale siciliano, le strutture destinate all’accoglienza turistica passare dalle 31 del 2010 alle 281 del 2023 con un numero di posti letti disponibile che è passato, rispettivamente, da 1492 a 2800. Il riscontro, sul mercato, è che trovare una casa in affitto a Capo d’Orlando con un contratto a lungo termine e senza la clausola di lasciarlo libero nei mesi estivi, è ormai da tempo una “mission impossible”.

L’Isola regina degli abusi edilizi: 250 mila gli immobili da abbattere

Gli ultimi dati hanno confermato la Sicilia regina della “cementificazione selvaggia“. Si parla, infatti, di circa 250.000 immobili realizzati tra il 1976 e il 1984 che dovrebbero essere abbattuti. I numeri, però, non sembrano arrestare la loro corsa, con un incremento negli ultimi anni oltre il 9% delle case abusive. Una situazione divenuta insostenibile non solo nell’Isola, ma nell’intero Sud, con 42,1 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 realizzate nel rispetto delle regole.

Secondo i dati di Legambiente, in Sicilia dal 2004 al 2022 sono state emesse ordinanze di abbattimento per 18.409 strutture irregolari ma ne sono state eseguite solo 3.543, il 19,2% delle ordinanze. Nonostante tutto, la Sicilia è la prima regione in Italia per percentuale di abbattimenti di abusi edilizi il cui dato nazionale si aggira intorno al 13%. Agrigento, con il 33% di abbattimenti, è la prima provincia in Sicilia, seguita da Palermo con il 21%, Trapani con il 20,6%, Ragusa e Messina con il 19%. Enna, anche se di poco, resta sopra la media con il 15,6% e Siracusa si ferma al 14,3%. Maglia nera per le province sotto la media nazionale va a Catania, con il 12,5% e a Caltanissetta con appena il 7,9%.

Le amministrazioni hanno spesso dichiarato di non avere fondi per procedere all’abbattimento degli abusivi edilizi ma, da poco meno di sei anni, il Ministero dei Trasporti garantisce risorse, coprendo esattamente il 50% del costo relativo agli interventi di rimozione o di demolizione delle opere. Nel 2023 sono stati stanziati 2,2 milioni di euro, ma nell’isola solo i Comuni di Carini, Scicli e Favignana hanno ricevuto finanziamenti per un totale di 117 mila euro. Nel 2021 anche Casteldaccia, comune del palermitano in cui nel 2018 si registrò il terribile episodio di cronaca che portò alla morte nove persone che rimasero intrappolate all’interno di una villetta abusiva sommersa dallo straripamento del fiume Milicia, ha ottenuto l’accesso ai fondi. Per gli interventi su Contrada Schettino l’amministrazione ha ricevuto 23 mila euro sui 46 mila necessari. All’inizio del mese di agosto, si sono concluse ad Adrano, in provincia di Catania, le demolizioni di immobili abusivi in contrada Naviccia, in un territorio classificato dal Piano regolatore di tipo “E”, cioè destinato a verde agricolo. Come precisato dalla Procura della Repubblica di Catania, si è trattato di sei edifici di cui tre riuniti in un unico complesso, con una superficie complessiva di circa 500 metri quadrati.

Un segnale contrario è arrivato, invece, da Cefalù, in provincia di Palermo. Nello scorso mese di febbraio il Consiglio di giustizia amministrativa ha sospeso il provvedimento di demolizione di alcune parti del “Carlton Hotel Riviera” di Cefalù, che sarebbero state realizzate in difformità e in ampliamento rispetto al progetto originario, per le quali nel 1986 erano state presentate due diverse istanze di condono. Nel 2023 il Comune, dopo che suoi tecnici durante un sopralluogo ne riscontravano l’esistenza, respingeva le richieste, ritenendo l’abuso edilizio insanabile poiché realizzato entro la fascia di rispetto dalla battigia e, dunque, in contrasto con la legge regionale dando il via alla richiesta di demolire le parti abusive. La società “Carlton srl”, difesa dagli avvocati Girolamo Rubino e Vincenzo Airò, ha presentato un ricorso al Tar e poi al Cga.

I giudici di appello hanno accolto la richiesta di sospensiva in attesa delle recenti novità giurisprudenziali e della prossima rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità del vincolo d’inedificabilità della fascia dei 150 metri con effetto retroattivo rispetto a opere realizzate entro il 1983 e ricadenti in un Comune, come quello di Cefalù, che prima dell’entrata in vigore del vincolo aveva un proprio Prg che disciplinava l’edificazione in quella fascia.

Il modello Carini: un ufficio dedicato solo alle demolizioni

Proprio a Carini l’ultimo episodio d’intolleranza è arrivato lo scorso 16 agosto, quando una troupe della Rai stava realizzando un servizio sulla spiaggia per documentare il lavoro di riqualificazione messo in essere grazie agli abbattimenti, è stata vittima di un gruppo di vacanzieri che li hanno aggrediti verbalmente. Qualcuno ha strappato di mano la telecamera all’operatore e l’ha danneggiata. In soccorso della troupe sono arrivati una decina di carabinieri che stanno indagando per cercare di risalire all’identità agli aggressori. Il comune di Carini, negli anni, ha applicato alla lettera le normative relative all’abbattimento degli edifici abusivi realizzati nel tratto costiero del suo territorio.

Dal 2015 ad oggi a Carini sono stati emessi 1132 i provvedimenti repressivi, tra ordinanze di demolizione, di inottemperanza alla demolizione, di acquisizione al patrimonio comunale e di sgombero. Sono state accertate più di 20 lottizzazioni abusive e sono 303 immobili ricadenti in zona di inedificabilità assoluta demoliti.

Tutte queste demolizioni sono state possibili creando un ufficio “ad hoc”, separato da altri servizi ma collegato al settore patrimonio, per il quale il sindaco ha mantenuto le deleghe. Grazie all’attività degli uffici è stato possibile redigere due regolamenti di notevole interesse per il Comune, sia per recuperare fondi da destinare alle demolizioni sia per avere uno strumento che faccia da deterrente per la realizzazione di ulteriori abusi e per l’occupazione “sine titulo” di immobili, acquisiti al patrimonio comunale, destinati alla demolizione.

Alcuni dei progetti di demolizioni, che sono stati finanziati grazie al Pnrr, rientrano in un gruppo di demolizioni di immobili già acquisiti al patrimonio comunale al fine del riuso delle aree per la fruizione diretta del mare. Altre operazioni di demolizione, come quella eseguita nel mese di febbraio sul lungomare a Carini fanno parte di un gruppo di demolizioni, finanziate al 50 per cento con i fondi del Mit 3, il contributo del ministero delle Infrastrutture per le demolizioni abusive, e al 50 per cento dal Comune di Carini per un totale di 290 mila euro.

“Le procedure sono lunghe ed estenuanti – ha dichiarato Giovì Monteleone -. I proprietari fanno resistenza ricorrendo ai tre gradi di giudizio. Ma anche l’iter amministrativo è tortuoso, fra ordinanze di demolizione, sgombero e acquisizione al patrimonio. A Carini abbiamo liberato oltre un chilometro e mezzo di lungomare dalle costruzioni abusive. Ora finalmente ci sono alcuni tratti da cui è possibile accedere, mentre prima il mare nemmeno si vedeva”.

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