Nella Valle del Belice il tempo si è fermato: restano solo le macerie - QdS

Nella Valle del Belice il tempo si è fermato: restano solo le macerie

Vincenza Grimaudo

Nella Valle del Belice il tempo si è fermato: restano solo le macerie

giovedì 29 Agosto 2019

Pronti 35 milioni di euro ma sono una goccia nel mare: inesistenti anche le urbanizzazioni primarie. Dopo 51 anni gran parte del territorio lasciato sotto le rovine di quel terribile 1968

TRAPANI – Valle del Belice, dove il tempo si è fermato. Esattamente a quel 15 gennaio del 1968, quando la terra tremò e distrusse gran parte del territorio trapanese: Gibellina, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Vita e Salemi. Cinquantuno anni dopo il tempo sembra quasi essersi fermato. La ricostruzione è stata molto parziale, gli interventi dello Stato a singhiozzo e gran parte del territorio non è mai più stato recuperato ma lasciato a marcire tra i ruderi.

Nel mezzo anche tante promesse, l’ultima quella del governo nazionale di fare arrivare altri 35 milioni di euro da destinare proprio alla ricostruzione. Potrebbero sembrare tanti ma basta dare uno sguardo attorno a questa martoriata terra per accorgersi che questa cifra non è altro che una goccia nel mare. Il mare è quello delle macerie mai rimosse che hanno sommerso non solo la terra ma anche le coscienze. Gibellina, così come tanti altri comuni del comprensorio sfregiati da quel terribile sisma di oltre mezzo secolo fa oramai, è diventato un paese di anziani, dove spazio per le speranze dei giovani non ce n’è più: “Qui i ragazzi finiscono le scuole superiori e poi scappano perché non c’è futuro” dice un anziano davanti ad un circolo ricreativo della terza età. La realtà oggi è agghiacciante. Quei milioni promessi, che appaiono oramai come l’ultima tranche di fondi per la ricostruzione, sempre che mai arriveranno, non potranno mai bastare neanche per recuperare uno solo dei territori terremotati.

A Vita, così come a Poggioreale o a Salapatura, ci sono situazioni davvero incredibili, non certamente pensabili nel terzo millennio. Qui ancora esistono pozzi neri al posto della rete fognaria, gruppi elettrogeni, cavi volanti e luci da cantiere al posto delle linee elettriche. Autobotti che suppliscono all’assenza della rete idrica. Banchi di terra al posto di strade e marciapiedi. In questa valle di lacrime si continuano a reclamare diritti ancora negati: finanziamenti non stanziati se non in piccole tranche erogate a singhiozzo, opere di urbanizzazione primaria non ancora realizzate. Nella zona c’è chi ha già ultimato la propria casa anticipando le somme in attesa dei finanziamenti statali, altri hanno eretto solo le fondamenta, altri ancora neppure quelle.

“Sebbene il coordinamento dei sindaci – afferma Nicolò Catania, sindaco di quella Partanna tra i territori colpiti dal sisma – abbia perseguito con costanza l’obiettivo di ricostruire l’identità territoriale cercando di contribuire allo sviluppo economico dei centri colpiti, la situazione è a un punto di stallo e a nulla sono valsi gli energici tentativi di trovare soluzioni emendative, prontamente predisposte e inoltrate dal coordinamento all’attuale governo nazionale già dal suo insediamento”.

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