Novembre, Ambrosoli e l’Italia positiva - QdS

Novembre, Ambrosoli e l’Italia positiva

Marco Vitale

Novembre, Ambrosoli e l’Italia positiva

martedì 23 Marzo 2021

Silvio Novembre e i suoi dovevano rintracciare e ricostruire prove e indizi di reati

I compiti assegnati ai due uomini erano diversi, ma anche convergenti. Ambrosoli, come liquidatore, doveva cercare di ricuperare il ricuperabile a favore dei creditori della banca e rispondeva a chi l’aveva nominato, cioè alla Banca d’Italia, fortunatamente allora guidata da Paolo Baffi. Silvio Novembre e i suoi dovevano rintracciare e ricostruire prove e indizi di reati, a tutela della fede pubblica e della legalità e il loro referente era il sostituto procuratore della Repubblica, Dott. Guido Viola. Ma ben presto i due uomini si parlarono, si chiarirono, si intesero e iniziò una stretta e formidabile collaborazione e le storie personali confluiscono in una storia comune. Tutta la storia è ormai ben nota sino al tragico epilogo dell’assassinio di Giorgio Ambrosoli e alla condanna di Sindona per doverla ripetere qui. E’ più importante ragionare sulla stessa e sul suo significato.

Avendo avuto l’occasione di seguire abbastanza da vicino l’ascesa e il crollo di Sindona e la mirabile opera di Giorgio Ambrosoli e di Silvio Novembre e dei validissimi professionisti che collaboravano con loro, posso dire che il loro successo, che di successo si tratta, è frutto di quattro fattori principali.
Il primo è la grande competenza tecnica-professionale di entrambi che ha loro permesso di smontare tutte le difese, gli intrecci, i castelli montati da Sindona, certamente personaggio di grandi capacità manovriere e di elevata creatività.

Il secondo è un impegno spasmodico, senza riserve, senza risparmio, sacrificando ogni cosa a quello che sentivano come loro dovere.

Il terzo, che è poi la base e la spiegazione del secondo, è che entrambi erano consapevoli che quello che facevano, che i sacrifici che facevano e imponevano alle loro famiglie, era per un bene più alto, era per dare un importante contributo al bene comune, alla nostra collettività, alla nazione italiana che, attraverso loro e la loro opera voleva testimoniare di essere formata anche da tanti cittadini per bene.

Il quarto è che nessuna competenza tecnica sarebbe stata sufficiente se questi due uomini non avessero avuto un livello assoluto di intransigenza a difesa della loro dignità e della loro professionalità. Dovevano agire così per sentirsi uomini e professionisti dignitosi, per esistere come uomini.

Solo chi ha seguito l’entità delle pressioni di ogni tipo che furono esercitate contro questi uomini dalle più alte istituzioni, come il presidente del Consiglio Andreotti e dal suo fido sottosegretario Evangelisti (illustrate e documentate nella Cronaca breve di quei giorni da un altro grande galantuomo, il governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi), come alcuni altissimi magistrati, come gli ambienti della finanza vaticana che operava intorno allo IOR, come quei dirigenti della Guardia di Finanza che progettavano di trasferire Silvio Novembre ( e ci fu una volta in cui l’ordine di trasferimento al distaccamento del Monte Bianco stava per essere firmato), come i tanti tentativi di corruzione, come le telefonate notturne, minacciose e insultanti, solo chi ha seguito tutto questo e lo ha poi ritrovato in libri come “Un eroe borghese” di Corrado Stajano e nel film dallo stesso titolo con regia di Michele Placido, può capire perché il ricordo di questi uomini e di questa storia, di questa Italia bella e positiva non può e non deve andare perduta.

(Fine 4° puntata)

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