Palermo, la crescente povertà terreno fecondo per la mafia - QdS

Palermo, la crescente povertà terreno fecondo per la mafia

redazione

Palermo, la crescente povertà terreno fecondo per la mafia

martedì 12 Dicembre 2023

L’arcivescovo Corrado Lorefice ha analizzato la crisi sociale attualmente vissuta nel capoluogo siciliano: dalle difficoltà economiche di tante famiglie fino all’emergenza crack, passando per i migranti

PALERMO – Una “povertà crescente” e che rischia di diventare “terreno fecondo” per una mafia capace di “trasformarsi in Caritas parallela”. Una “recrudescenza tremenda” della criminalità che genera “insicurezza e paura”. E poi ancora l’emergenza crack, con “i nostri giovani sempre più fragili e soli dopo la pandemia” e preda dei “venditori di morte”, la violenza di genere e i femminicidi segno dell’“incapacità di riconoscere l’altro come persona” e, infine, i migranti “sempre più spesso usati come tema di propaganda politica”. Sono alcuni dei temi trattati dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, nel corso di un’intervista rilasciata ad Adnkronos e realizzata da Rossana Lo Castro.

Monsignor Lorefice conosce bene le tante ferite di Palermo

Da otto anni alla guida della Diocesi del capoluogo siciliano, Lorefice conosce bene le tante ferite di Palermo. A partire dalla mancanza di prospettive. “Leggiamo ogni giorno – ha detto – di rapine, furti, irruzioni. C’è una recrudescenza tremenda della criminalità che genera insicurezza, paura, incertezza. Davanti all’assenza di risposte ai bisogni essenziali della gente, assistiamo all’escalation di una povertà che cerca di darsi da fare, di sopravvivere, con il rischio di convincersi che l’unica via è quella dell’illegalità”.

“Il Reddito di cittadinanza – ha spiegato – ha tamponato una condizione di crisi, ma sappiamo che non è la soluzione. Servono letture lungimiranti e scelte coraggiose: l’essere umano ha bisogno di lavoro e di casa. La politica deve tornare a mettere in primo piano questi bisogni essenziali”.

Il rischio, altrimenti, è si crei “un terreno fecondo per il sopraggiungere di un’istituzione alternativa (la mafia, ndr), che, l’abbiamo visto durante la pandemia, è capace di trasformarsi in Caritas parallela, in azienda fornitrice di servizi e lavoro, con l’intento non di aiutare la povera gente, ma di sfruttarla, di creare dipendenza, di alimentare la sfiducia nei confronti dello Stato”.

L’emergenza crack a Palermo

Una mafia camaleontica, con “un volto sempre più imprenditoriale e capace di gestire i meccanismi della finanza”, ma che è tornata a fare affari con il traffico di droga. “Un’industria in crescita”, ha detto monsignor Lorefice, impegnato da tempo in una battaglia, quella contro l’emergenza crack in città, che lo ha visto più volte scendere in piazza per chiedere l’approvazione, urgente, del Ddl sul contrasto alle dipendenze che da mesi giace all’Assemblea regionale siciliana.

“Dopo la pandemia – ha sottolineato l’arcivescovo – i nostri giovani si sono riscoperti più fragili, più soli, più incompresi. Una fragilità che i venditori di morte tentano di sfruttare con il miraggio di una falsa libertà, con l’illusione della felicità comprata a pochi spiccioli. Crack che si taglia nelle nostre case, spacciato ai minori che in strada possono comprare una dose di morte a cinque euro. È devastante. Ma noi abbiamo avuto e abbiamo anche la contraddizione di uomini delle istituzioni, che possono permettersi di acquistare la cocaina pura, pagandola molto più di cinque euro. È chiaro, allora, che la repressione contro i venditori di morte da sola non basta”.

“Abbiamo perso il senso comunitario della vita”

La sfida per Lorefice è, innanzitutto, educativa: “I giovani scappano da un vuoto che noi adulti abbiamo creato con la nostra incapacità di sfamare la loro sete spirituale. Abbiamo consegnato loro una visione antropologica parziale, non olistica. Abbiamo, come Occidente, rinunciato a coltivare l’uomo interiore, abbandonandoci all’autoreferenzialità, all’individualismo sfrenato. Abbiamo perso il senso comunitario della vita, della corresponsabilità, abbiamo deciso di staccare la spina alla dimensione spirituale. Ecco che allora, accanto all’aspetto repressivo, serve una nuova responsabilità educativa degli adulti”.

Una cultura individualista, che si basa sul profitto

Una sfida che diventa urgenza anche alla luce del dilagare della violenza di genere, dei femminicidi in nome di un amore che amore non è. “È crisi antropologica – ha affermato Lorefice – non siamo più capaci di riconoscere l’altro, il suo essere persona. Lì dove l’io viene messo al centro, è chiaro che l’altro non è un tu che chiama a costruire un noi, ma un mezzo da manipolare, da strumentalizzare, un oggetto da possedere. Che relazione è quella in cui io posso eliminare la stessa persona amata? Che uomini sono coloro che pensano di esercitare la propria mascolinità annullando la donna? La crisi occidentale è la crisi del camminare all’altezza del volto dell’altro, che non è riconosciuto nella sua diversità. Una cultura individualista, che si basa sul profitto, sull’io voraginoso sempre meno riconoscerà l’altro. La violenza a cui quotidianamente assistiamo è il sintomo della deriva della responsabilità formativa degli adulti: siamo davanti a un fallimento educativo-formativo”.

Povertà, criminalità, emergenza droga, femminicidi. Nel lungo elenco di temi l’arcivescovo Lorefice non ne dimentica, però, uno che lo ha visto più volte in prima linea: i migranti. “Le migrazioni – ha sottolineato – non sono un problema, ma un evento epocale che non può essere affrontato usando la categoria dell’emergenza. Questo è fuorviante. Se continuiamo a leggerle solo come emergenza è chiaro che non troveremo le soluzioni. È vero che c’è un’Europa che vuole deresponsabilizzarsi, che l’Italia è il prolungamento nel Mediterraneo del continente europeo e che da sola non può farcela, ma è altrettanto vero che il fenomeno migratorio è determinato da una serie di fattori alimentati dall’Occidente, che nel Medio Oriente e in Africa concentra i propri interessi economici. Se chi scappa dalla povertà e dalle guerre è costretto a mettersi su una zattera e affrontare il mare, se, invece, di un approdo di vita gli viene data la morte, allora non è più possibile parlare di tragedia. Io aborro questo termine. Cutro non è una tragedia come non lo è Pylos, sono stragi causate da altri uomini. Lo sono ancora di più se il fenomeno migratorio diventa un tema da propaganda politica rispetto ai problemi veri e autentici del nostro Paese”.

“Viviamo una deriva mentale, culturale, di visione”

Lorefice ha concluso ricordando che “viviamo una deriva mentale, culturale, di visione. Abbiamo dimenticato quello che Papa Francesco continua a ripetere, ossia che siamo tutti sulla stessa barca, un’unica famiglia che abita l’unica casa comune che abbiamo. Mi auguro che il Natale ci aiuti a capire se abbiamo ancora un cuore capace di passione morale per ciò che è giusto e per il bene comune, se siamo ancora capaci di compassione, di coinvolgerci nella passione dell’altro, perché nella condivisione già inizia il riscatto”.

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