Giovanni Brusca è libero. Ciò che credo sia sbagliato, però, è definire simili personaggi “pentiti”
Quello che mi accingo a scrivere potrebbe aver bisogno di una riflessione attenta. Nei giorni scorsi è stato scarcerato, per fine pena, uno dei più sanguinari killer della mafia, Giovanni Brusca, quello che, secondo gli atti processuali, ha premuto il tasto che ha fatto esplodere il tritolo che ha ucciso Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la loro scorta; quello che ha ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo e poi lo ha sciolto nell’acido, quello che si è autoaccusato di un centinaio di altri omicidi di mafia.
Il paradosso vuole che la scarcerazione sia avvenuta a seguito dell’applicazione di una legge fortemente voluta dallo stesso Falcone e prima applicata ai terroristi, che ha permesso di assicurare alla giustizia centinaia di criminali e impedito tantissimi altri crimini.
Ciò che credo sia sbagliato, però, è definire simili personaggi “pentiti”. È vero, spesso l’ho fatto anche io per semplicità di comunicazione, tuttavia credo che sia venuto il momento di non ammantare di valori etici o morali, quali il pentimento appunto, ciò che è invece un vero e proprio tradimento, compiuto da “traditori”, che lo Stato ha giustamente e opportunamente utilizzato in suo favore, attraverso una serie di agevolazioni che quel tradimento lo hanno provocato o almeno favorito, non certo gratuitamente. La legge e la magistratura li chiamano “collaboratori di giustizia”, ma forse neanche una simile edulcorata definizione può considerarsi corretta fino in fondo. Questi signori, infatti, non possono essere definiti “collaboratori” nel senso nobile della parola, ma “mercenari”, ben remunerati, nel senso che hanno scambiato le loro informazioni, non certo il loro “pentimento”, che nessuno potrà mai sapere se è sincero e se è avvenuto davvero, se non essi stessi, con una serie di benefici materiali e giudiziari: protezione fisica propria e dei propri familiari, mantenimento dei beni ottenuti attraverso il crimine, notevolissimi sconti di pena, cambio della identità, ecc.
Insomma, giusto per non farla troppo lunga, invece che di intimo “pentimento”, difficile da provare, parlerei, senza retorica e senza ipocrisia, di “tradimento” utile, anzi molto utile, per lo Stato e per la società. Più che di “collaborazione” con la giustizia, non sempre del tutto dimostrabile, dato che potrebbe essere parziale, parlerei di “contrattazione”, con tanto di clausole vantaggiose per entrambi i contraenti.
Qualcuno potrebbe maliziosamente o strumentalmente pensare che dalle mie parole emerga disgusto per questo modo di fare dei “pentiti”, dei “collaboratori di giustizia”, dei “traditori” e dello Stato. Ebbene, no! Non provo nessun disgusto perché il fine nobile di chi ha provocato quel “pentimento”, quella “collaborazione” o quel “tradimento”, cioè lo Stato, è molto ma molto più forte di qualsiasi altra questione, anche se ha arrecato un qualche vantaggio ad un pluriomicida violento, spregiudicato e sanguinario. Anzi, a un pluriomicida che ha scaricato la sua rabbia e il suo odio persino contro un bambini innocente, un bambino la cui unica colpa era quella di essere stato il figlio di un uomo che, come Brusca, si era “pentito”, aveva “collaborato”, aveva “tradito”, sia pure un “pactum sceleris”, cioè aveva negoziato la sua posizione in cambio di qualche informazione utile per sconfiggere la mafia.
Insomma, il risentimento e il disgusto oltre che, ovviamente, per gli efferati fatti criminali di cui si è detto, mi si scatena nei confronti di chi usa strumentalmente e male certi termini, ma ne trascura la loro essenza reale, nel tentativo di ammantare di nobiltà determinati episodi, che di nobile non hanno proprio nulla. Sarei molto lieto se, per una volta, cominciassimo ad abituarci a guidare le parole, non ad esserne guidati, ad usarle per quello che sono, evitando di piegarle ad interessi che, pur se importanti, non sempre rappresentano l’essenza reale dei fatti.