Pnrr, Sicilia tradita ancora una volta, i nostri politici senza coltello tra i denti - QdS

Pnrr, Sicilia tradita ancora una volta, i nostri politici senza coltello tra i denti

redazione

Pnrr, Sicilia tradita ancora una volta, i nostri politici senza coltello tra i denti

venerdì 30 Aprile 2021

I toni solenni che hanno accompagnato la presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non spazzano via i dubbi: la classe politica siciliana non porta a casa i risultati sperati

di Pierangelo Bonanno, Patrizia Penna e Raffaella Pessina

Non un mero elenco di progetti ma un’opera di rinnovamento che “camminerà” sulle riforme. I toni solenni che hanno accompagnato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella presentazione del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) non spazzano via i dubbi e le perplessità: in che modo si concretizzerà in Sicilia l’annunciato 40% di risorse destinate al Mezzogiorno?
Draghi ha messo subito le mani avanti: “Si potrà far meglio, rimediare a qualche mancanza ma non c’è una discriminazione colpevole”. Ma poi pronuncia parole che suonano come un monito per il Sud: “Le risorse saranno sempre poche per chi non le usa”.

Il vicepresidente della Regione siciliana, Gaetano Armao, spiega al Qds che il Pnrr non è ancora un documento compiuto e individua nel testo delle “maglie larghe” all’interno delle quali potrebbero inserirsi per la Sicilia nuove opportunità di crescita e investimenti. Intanto, però, nel documento la parola “Sicilia” ricorre appena sei volte e da destra a sinistra, la classe politica siciliana non nasconde delusione e preoccupazione per gli scenari che si aprono per la Sicilia e per tutto il Sud. Scenari che non sembrano all’altezza delle aspettative.

Anthony-Barbagallo

Anthony Barbagallo, segretario Pd Sicilia

Pnrr, è soddisfatto dei “risultato” che la Sicilia ha portato a casa?
“Siamo preoccupati, ci rassicurava di più il perimetro del Governo Conte. Abbiamo visto delle incertezze, speriamo che l’evoluzione fughi ogni dubbio soprattutto sul fronte dell’Alta Velocità e della riconversione verde”.

La parola Sicilia all’interno del documento ricorre appena sei volte. Un po’ poco, non trova?
“Assolutamente sì. C’è sicuramente delusione ma ripeto, siamo soprattutto preoccupati. Ci sono all’interno del documento delle voci generiche all’interno delle quali la Sicilia potrebbe pure rientrare. Seguiremo con grande attenzione l’evoluzione”.

Che ruolo ha avuto la nostra classe politica nelle scelte operate da Roma?
“La politica siciliana non è stata in grado di incidere a causa di una inadeguatezza generale che riguarda tutta la nostra classe dirigente e che ha anche a che fare con il numero dei parlamentari che ci rappresentano alla Camera e al Senato, con i cambi di casacca e con il divieto di mandato imperativo. Insomma, l’impressione è che la nostra classe politica nel battersi per la Sicilia non ha tenuto il coltello tra i denti”.

E il Pd?
“Per quanto riguarda il Partito democratico pesa la circostanza che non abbiamo più senatori siciliani. Abbiamo soltanto quattro deputati, pochi rispetto alle truppe cammellate di altre forze parlamentari”.

Caduti nel vuoto gli appelli sul Ponte, snobbato persino Musumeci.
“L’appello di Musumeci era pieno di strumentalizzazioni, la solita politica degli spot e degli annunci che ha portato avanti in questi anni. Ha uscito il tema del Ponte per concentrare l’attenzione sul quel tema e non sugli scandali della nostra Sanità. Un tema, quello del Ponte, tirato fuori in modo strumentale”.

maria laura paxia

Maria Laura Paxia, deputata alla Camera

Onorevole Paxia, al Sud andrà il 40% delle risorse del Recovery fund: è soddisfatta di questo risultato?
“Decisamente no. Dobbiamo tenere presente che l’Unione europea aveva stabilito una ripartizione ben diversa delle risorse del Pnrr. I criteri europei, infatti, basandosi sul divario fra Nord e Sud, che prendono in considerazione Pil, popolazione e tassi di disoccupazione, stabilivano che il 60% di questi fondi dovevano essere destinato al Mezzogiorno e non posso che essere insoddisfatta di questa ripartizione. Il Premier Draghi ha, quindi, ignorato quanto indicato dell’Ue e il grido di allarme sollevato da 500 sindaci del Sud, che hanno evidenziato questa grossa anomalia”.

Sul Ponte sullo Stretto si sono consumati dibattiti politici infiniti: qual è il suo punto di vista? Andava fatto? è mancata, come molti hanno detto, la volontà politica?
“Non ho preconcetti contro il Ponte sullo Stretto di Messina, perché è utile realizzare un collegamento strutturale che unisca la Sicilia e la Calabria, ma sono consapevole che al Sud esistono, in questo momento, altre priorità e urgenze. In Sicilia le infrastrutture sono carenti, basti pensare alle strade e autostrade fatiscenti, alla scarsa manutenzione dei viadotti e alla rete ferroviaria obsoleta. Il fatto di non aver inserito la realizzazione del Ponte sullo Stretto nel Pnrr mi sembra una scelta logica, dettata soprattutto dal fatto che bisogna lavorare sulla realizzazione di altre infrastrutture”.

Il 40% delle risorse potrebbe sembrare un buon risultato ma non sono in pochi ad aver manifestato la propria delusione ed insoddisfazioni nei confronti del Pnrr. Domenica scorsa a Napoli i sindaci del Sud hanno dato vita ad una vivace protesta. Secondo Lei, dietro questa insoddisfazione c’è, quanto meno in parte, lo scarso “peso” della classe politica siciliana che non è riuscita ad essere incisiva e a condizionare nella maniera giusta le scelte di Roma?
“Questo è stato il motivo che mi ha spinto ad astenermi dal votare la fiducia al Governo Draghi. Ho sin da subito manifestato le mie perplessità per un Esecutivo a trazione nord, con un baricentro troppo lontano dal Sud, riservandomi però di valutare in concreto ogni singolo provvedimento. Condivido le preoccupazioni manifestate dai sindaci del Mezzogiorno, perché proprio adesso si gioca la partita per il rilancio del nostro Paese. Di tutto il Paese. Una opportuna ripartizione dei 209 miliardi del Pnrr sarebbe stata l’occasione per ridurre il divario fra Nord e Sud e risolvere, una volta per tutte, la questione meridionale. Molti rappresentanti politici siciliani non hanno difeso a dovere il proprio territorio e mi meraviglio per il loro apprezzamento sull’operato del Governo Draghi nella elaborazione del Pnrr.

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Gaetano Armao, vicepresidente Regione siciliana

È soddisfatto del Pnrr che riserva il 40% delle risorse al Sud?
“Certamente si poteva fare di più, peraltro non è un documento compiuto, è a maglie larghe e c’è ancora tanto da fare. Molto è ancora da quantificare , ci si muove su ipotesi e molto è ancora da definire. Ad oggi non si può dire quanto di questo 40 % sarà investito in Sicilia. Certo non c’è il Ponte e per la viabilità si poteva fare di più. Senza ponte non ci sarà nemmeno l’Alta velocità, è tutto un sistema correlato. Peraltro il presidente Musumeci ha già chiesto un incontro con il premier Draghi, non è già tutto deciso”.

Secondo lei la classe politica siciliana ha giocato bene le sue carte in questa partita “giocata” con Roma?
“I parlamentari siciliani hanno votato il recovery e non ho dubbi sul fatto che si batteranno per la propria Isola”.

In attesa che si faccia chiarezza sulle “maglie larghe” di cui ha parlato Armao e sugli investimenti che si concretizzeranno in Sicilia, il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci ha scritto una lettera al premier Mario Draghi chiedendo espressamente la riapertura del confronto tra Stato e Regione per poter rivedere l’Accordo sottoscritto nel gennaio scorso e assicurare così alla Sicilia il pieno impiego delle risorse destinate con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

L’esigenza di una revisione dell’accordo si rende necessaria alla luce, soprattutto, del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, recentemente firmato a Palazzo Chigi tra governo centrale e le Organizzazioni sindacali.

In particolare, scrive il governatore siciliano, “talune previsioni (contenute nell’intesa raggiunta nello scorso gennaio), come quelle in materia di preclusione dei concorsi per la dirigenza, non consentono il ricambio generazionale a fronte dell’opposta esigenza di rafforzare l’azione amministrativa”. Pertanto, per il governo dell’Isola si rende necessaria “un’adeguata riconsiderazione che tenga conto delle ineludibili esigenze di efficienza e rigenerazione dell’Amministrazione regionale, ferme e impregiudicate restando le esigenze di selettività professionale e specialistica”.

Nella sua nota, Musumeci ricorda come il Piano sottoscritto in attuazione dell’Accordo Stato-Regione abbia già prodotto, con l’approvazione della legge di Stabilità, alcuni effetti come le “riduzioni strutturali degli impegni di spesa corrente, rispetto a quelli risultanti dal consuntivo 2018”.
Tuttavia, aggiunge, «sin da subito è emersa l’esigenza di alcune limitate modifiche che tengano conto del mutato contesto istituzionale, a partire dalla conclusione dell’accordo che il Suo Governo ha opportunamente concluso nel settore del lavoro pubblico”. Da qui la richiesta di deroga anche per quanto concerne i concorsi per la dirigenza.

Carolina Varchi, Fratelli d’Italia (responsabile Sud)

Carolina Varchi, deputato e responsabile per le politiche per il Mezzogiorno di Fratelli d’Italia, è critica nei confronti del Recovery plan.

Secondo le indicazioni del governo, destinerà 82 miliardi al Mezzogiorno su 206 miliardi ripartibili, per una quota del 40%. Il Recovery fund è finanziato con dei prestiti che l’Italia, come tutti i Paesi dell’UE, dovrà restituire, vede dei rischi per il futuro finanziario dell’Italia?
“Va detto che questo Piano nazionale di Resistenza e Resilienza si presenta molto fumoso e, nel solco di una tradizione inaugurata da Conte alla quale Draghi si è presto uniformato, la sua versione definitiva è stata trasmessa alla Camera dei Deputati appena due ore prima dell’inizio dei lavori d’aula, di fatto impedendo all’unico partito di opposizione di svolgere i necessari approfondimenti. E’ necessario fare chiarezza sui numeri: il Sud ha la necessità di investimenti poderosi e, nel quadro nazionale, oltre il 60% dovrebbe essere destinato a queste regioni per colmare il divario con il Nord d’Italia. Il 40%, di per sé insufficiente, è un dato gonfiato ed infatti, se anche si riferisse al solo Pnrr, escludendo quindi i 15 miliardi già stanziati dal piano React-EU che, a detta del Governo, dovrebbero poi essere reintegrati, sarebbe comunque soltanto un punto di partenza che, in assenza di adeguata programmazione, rischia di essere l’ennesimo buco nell’acqua. Ad oggi va detto con trasparenza che nelle risorse stanziate dal Pnrr sono conteggiati pure i miliardi già territorializzati con altro provvedimento, solo il tempo ci dirà se effettivamente saranno reintegrati o no”.

La storia dell’Italia è ricca di piani pubblici che avrebbero garantito lo sviluppo del Mezzogiorno. Quali azioni sono importanti, a suo avviso, da realizzare e da evitare, affinché non si trasformi in una risposta mancata alla domanda di crescita che parte dai giovani del Sud?
“La storia del mezzogiorno è costellata di aiuti rivelatisi poi infruttuosi per la mala gestione da un lato e per l’incapacità di programmare strategie che guardassero al futuro dall’altro. Il mero assistenzialismo non ha portato alcun risultato se non quello di annichilire intere generazioni rimaste appese agli aiuti di Stato che, da ultimo il reddito di cittadinanza, sono stati un fallimento come politica attiva per il lavoro ed è necessario voltare pagina per uno sviluppo autentico. Basti vedere gli sforzi fatti da altre nazioni, come ad esempio la Germania dopo la caduta del muro di Berlino nei confronti delle aree dell’est, per comprendere come una Nazione abbia bisogno che tutti corrano alla stessa velocità, cosa che oggi in Italia non accade. Adesso la grande sfida del mezzogiorno è sotto gli occhi di tutti: aiuti alle famiglie e in particolare alle donne affinché possano conciliare lavoro e famiglia, a partire dal tempo pieno negli asili; colmare il divario infrastrutturale realizzando il Ponte sullo Stretto di Messina, completando la rete autostradale e portando l’alta velocità ferroviaria in tutte le regioni del Sud; favorire la nascita e lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali nel mezzogiorno d’Italia”.

Nel Piano si punta alle zone economiche speciali per lo sviluppo economico del Sud. Le appare una scelta vincente per la Sicilia?
“La fiscalità di vantaggio nelle aree del Sud è sicuramente una delle sfide. Fratelli d’Italia ha depositato una propria proposta sulle Zes (la n. 732 in Senato) per aumentare benefici fiscali per chi decide di investire e velocizzare i processi amministrativi a partire dall’iter autorizzativi. Sicuramente è indispensabile che anche la PA compia il processo di innovazione e digitalizzazione che è il primo passo per una autentica semplificazione. Sicuramente la burocrazia farraginosa, unita a una giustizia troppo lenta, costituiscono un deterrente per chi pensa di investire nel mezzogiorno. La fiscalità di vantaggio può essere un incentivo per tantissimi imprenditori”.

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