Quando è meglio lasciare decidere al giudice - QdS

Quando è meglio lasciare decidere al giudice

Quando è meglio lasciare decidere al giudice

Giovanni Cattarino  |
giovedì 05 Giugno 2025

Il caso di due genitori in un processo per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

La discrezionalità del giudice nell’applicare la pena risponde al principio costituzionale di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, che deve tener conto sia delle caratteristiche del reato e della personalità che lo ha commesso, come richiesto dagli articoli 3 e 27 della Costituzione, sia dei possibili riflessi che può avere la pena nei confronti dei terzi.

Il caso affrontato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 2025 riguardava la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale (la patria potestà poi diventata potestà genitoriale) di cui all’art. 316 c.c., che consiste in un fascio di diritti, potestà e obblighi che i genitori hanno nei riguardi dei figli con riferimento alla loro educazione. L’art. 34, secondo comma, c.p. prevede che, in caso di condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale, la stessa sia sospesa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.

Due genitori subivano un processo per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) perché accusati di aver usato metodi educativi abitualmente violenti nei confronti dei figli minorenni. Trattandosi di delitto commesso con abuso della responsabilità genitoriale, in caso di condanna il giudice avrebbe dovuto in ogni caso irrogare la pena accessoria della sospensione della potestà genitoriale, come richiede l’art. 34, 2° comma, c.p. Tuttavia detta pena pur colpendo il genitore comporta effetti potenzialmente pregiudizievoli maggiori nei confronti dei figli. Non si tratta di pregiudizi soltanto di fatto, inevitabilmente connessi a qualunque provvedimento punitivo che possa colpire un genitore, ma proprio di effetti previsti dalla legge che, sospendendo i normali poteri decisionali spettanti al genitore nell’interesse del figlio è senz’altro suscettibile di arrecargli un danno.

Il giudice investito del caso aveva constatato che nel corso del processo entrambi i genitori imputati avevano dato segni di ravvedimento e che si era verificata una ricomposizione del quadro familiare che portava a ragionevolmente escludere la reiterazione dei comportamenti incriminati. Sollevava pertanto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, c.p. nella parte in cui la condanna per il delitto di maltrattamenti dei figli conviventi comporta sempre la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale anziché la possibilità per il giudice di disporla. La norma è ritenuta contraria all’art. 3 Cost. perché irragionevole e agli artt. 2 e 30 Cost. in quanto potenzialmente lesiva di inviolabili diritti dei minori.

La Corte osserva che obbligare il giudice a recidere il legame tra i genitori e i figli minori, pur avendo egli constatato che il contesto familiare era andato ricomponendosi, avrebbe significato obliterare l’interesse dei figli a vivere e crescere nell’ambito della propria famiglia mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori dai quali continuare a ricevere cura, educazione e istruzione. Accoglie quindi la questione sostituendo all’obbligo una facoltà: il giudice del caso concreto potrà operare un bilanciamento tra l’interesse del minore a conservare i legami che comporta la responsabilità genitoriale e la necessità invece di sospenderla in presenza di un rapporto con il genitore gravemente compromesso.

Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa

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