Romiti, ovvero un “Iron-man” - QdS

Romiti, ovvero un “Iron-man”

Carlo Alberto Tregua

Romiti, ovvero un “Iron-man”

venerdì 21 Agosto 2020

Cesare Romiti era duro, persino scorbutico e quando prendeva una decisione nessuno poteva fargliela cambiare. Lo dimostrò nel famoso scontro del 1980 con i sindacati che gli fecero 35 giorni di sciopero. Alla fine, Pierre Carniti, segretario della Cisl, gli dette un foglio in bianco e gli chiese di stendere l’accordo che consentì la ripresa del lavoro.
In questo epilogo entrò la famosa marcia dei 40 mila quadri (ma erano di meno) che molti dissero fu spontanea, ma qualche altro pensò che fosse “spinta”.
Quando parlava di se stesso, ricordava sempre che proveniva da una famiglia non abbiente – che lo indusse persino a rubare per fame – e che, tuttavia, con una grande forza di volontà, finita la maturità, cominciò a lavorare di giorno e a studiare di notte.
Ancora oggi, vi sono giovani che fanno questo enorme sacrificio, ma sono sempre più una minoranza. Tali ragazzi non hanno capito ancora che per acquisire il supremo dono della libertà bisogna possedere sempre più conoscenze, competenze e saperi, mediante studi intensi, diurni e notturni.

La sua origine romana gli dava tuttavia un minimo di estro, anche quando divenne il numero uno della Fiat (1976), cioè Ceo, in conseguenza di una notevole rete di relazioni con i big dell’epoca fra cui Enrico Cuccia (Mediobanca) e Mario Schimberni (Montedison).
Con la Fiat condizionò Confindustria per lungo tempo. Ma oggi Fca non è più in quella organizzazione imprenditoriale, peraltro abbandonata da tanti altri big come il Gruppo Caltagirone, perché si è molto burocratizzata e ha scarse capacità di incidere sulla politica economica del Paese.
La Fiat era una mastodonte che fu governata a lungo dal professor Vittorio Valletta, che la guidò fino a quando Giovanni Agnelli, ormai quarantacinquenne, si stancò della vita di ozi e divertimenti e decise di assumere in prima persona la direzione del gruppo, insieme al fratello Umberto.
Ma poi si accorse che questo lavoro era molto faticoso e lui preferiva le relazioni, per cui cercando cercando la sua scelta cadde appunto su Cesare Romiti.
Ricordiamo che quando l’Avvocato – attività in realtà mai esercitata – proclamò la famosa frase “Quello che vale per la Fiat, vale per l’Italia”, affermò senza pudore una verità, e cioè che molti governi dovevano adottare provvedimenti che interessavano il suo Gruppo.
Tant’è che riuscì a farsi approvare la cosiddetta legge sull’equo canone (n. 392 del 1978). Apparentemente non aveva niente a che fare con i suoi interessi, ma sostanzialmente sì perché avere calmierato per legge i canoni di locazione consentì al Gruppo di evitare aumenti ai salari dei lavoratori, che sarebbero stati chiesti qualora fosse rimasto il mercato libero degli affitti sempre in crescita, in quanto il numero di operai che andavano in Piemonte non accennava a diminuire.
Vi fu un altro effetto benefico della forza della Fiat e cioè aver indotto il Governo dell’epoca, presieduto da Antonio Segni, a varare quella infrastruttura meravigliosa che ancora ci godiamo, vale a dire l’Autostrada del Sole, da Milano a Napoli.
Settecentocinquanta chilometri costruiti in appena otto anni, senza le tecnologie e gli enormi mezzi oggi a disposizione di progettisti e imprese.

Il Governo attuale ha armato un can-can per la costruzione del nuovo Ponte “San Giorgio” a Genova, di poco più di un chilometro, per cui è occorso un biennio. Ma non c’è proporzione sulla rapidità di costruzione fra tale viadotto e l’Autostrada del Sole, ove i Ponti erano centinaia. E non c’è proporzione per i tempi che in quell’epoca furono brucianti, cioè ripetiamo appena otto anni, per costruire – ripetiamo ancora – settecentocinquanta chilometri dell’ arteria primaria.
Quella era l’Italia che cresceva a doppia cifra perché tutti avevano voglia di lavorare. Quella era l’Italia della Fiat e di Cesare Romiti, che hanno dato un grosso contributo al Paese, con tutte le pecche che si vogliono trovare.
Non scriviamo questo con rimpianto, ma come una sorta di testimonianza per ricordare che se si volesse si potrebbe riprendere a fare crescere l’Italia come negli anni sessanta e settanta. Ma per farlo ci vorrebbero adeguati attributi mentali. Cercansi!

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