Superstipendi ai dirigenti pubblici, “Così fan tutti” - QdS

Superstipendi ai dirigenti pubblici, “Così fan tutti”

redazione

Superstipendi ai dirigenti pubblici, “Così fan tutti”

martedì 12 Gennaio 2021

Mentre in Sicilia la povertà dilaga, tra compensi ai burocrati e vita reale c’è l’abisso. Il segretario generale dell’Ars ha uno stipendio diciassette volte superiore al reddito pro capite regionale

di Raffaella Pessina e Patrizia Penna

Costi della politica e sprechi di denaro pubblico sono stati da sempre il pane quotidiano di Gian Antonio Stella che, proprio qualche giorno fa ha pubblicato sul Corsera il “curioso” caso del supermanager della Regione Sardegna che guadagnerebbe 285.600 euro all’anno, 46.000 euro in più di quanto percepisce il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella.

Notizia che desta stupore e amarezza soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo e nel quale l’emergenza Coronavirus ha tagliato le gambe all’economia italiana e continua a farlo, mettendo in difficoltà migliaia di piccoli e medi imprenditori.

Lo stipendio del supermanager sardo vale qualcosa come 14 volte il Pil pro-capite regionale (circa 20.300 euro) e addirittura 18 volte il reddito pro-capite (15.548 euro).

Se queste sono le premesse, non stupisce il fatto che l’Italia, sottolinea ancora Stella, si distingue in Europa, in senso negativo, perché paga i propri super-dirigenti pubblici più di tutte le altre nazioni.

L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Cpi della Cattolica, aggiornato al dicembre 2017, vede l’Italia al primo posto e poi Germania, Francia e Gran Bretagna. Più nello specifico, in Germania i superburocrati guadagnano 4,54 volte in più di un cittadino tedesco medio, in Francia 5,53 volte, in Gran Bretagna 5,84 e in Italia 8,63, più che in tutti gli altri paesi occidentali.
L’articolo di Stella ci ha offerto un interessante spunto per andare oltre l’esperienza della Sardegna e cercare di capire come si comportano le altre Regioni sotto questo profilo.

Il caso della Sardegna rappresenta certamente un’anomalia ma quella dei lauti compensi ai supermanager pubblici appare comunque una abitudine consolidata. I nostri approfondimenti hanno confermato i costi dei superburocrati, da Nord a Sud sono molto elevati anche perché c’è una legge dello Stato che lo consente. Si tratta del comma 1, articolo 13 del Dl 66/2014, che stabilisce sì un tetto agli stipendi per le posizioni di vertice, ma stabilisce inoltre che tale limite non superi le 240 mila euro l’anno.

Ed ecco che in Regione Veneto il massimo dirigente viene pagato 189.618 euro e in Lombardia 207.768 euro. In tutte le regioni, che siano al Nord o al Sud, la musica non sembra cambiare. A dire la verità se ci spostiamo al Sud, la differenza tra gli stipendi presi in esame da una parte e pil e reddito pro capite dall’altra è ancora più macroscopica e rivela una distanza ancora più siderale tra la vita reale e i palazzi del potere. È proprio al Sud dove la povertà è ormai dilagante che il divario tra le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese da una parte e l’Olimpo della politica si fa piuttosto rilevante.

Guardiamo ad esempio alla Sicilia: il segretario generale della presidenza della Regione siciliana, Maria Mattarella, guadagna 171.596,92 euro, cioè circa 12 volte il reddito medio pro capite di un siciliano che, secondo quanto ci dice l’Istat, nel 2019 è di 13.826,50 euro.
Peggio ancora il Parlamento siciliano: il segretario generale dell’Ars, Fabrizio Scimè ha uno stipendio 17 volte superiore al reddito pro capite siciliano e percepisce il massimo possibile stabilito dalla legge: 240.000 euro.

Si tratta di remunerazioni di tutto rispetto. Nell’ormai lontano 2017, quando si era insediato il nuovo parlamento, il presidente dell’Assemblea regionale, Gianfranco Micciché, aveva addirittura chiesto che fosse abbattuto il limite dei 240 mila euro, rischiando di far gonfiare a dismisura gli stipendi per gli incarichi di vertice. Rischio rientrato quasi subito, anche perché l’allora neopresidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, si era mostrato assolutamente contrario a tale ipotesi.

Retribuzione vertici della Pa: cosa dice la legge 89/2014

Il comma 1, articolo 13 del DL 66/2014 (poi convertito nella legge n. 89/2014), “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, così recita:

“A decorrere dal 1º maggio 2014 il limite massimo retributivo, riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, è fissato in euro 240.000 annui”.

Tale legge ha quindi regolamentato la materia della retribuzione dei vertici della amministrazione pubblica, una giungla che in precedenza sfuggiva a qualsiasi regola e limite.

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