"È più facile e veloce emozionarsi che riflettere e pensare", commento alla luce di eventi recenti, dalla guerra Israele-Hamas al ritiro di Astrazeneca.
Viviamo in un’epoca caratterizzata da una comunicazione breve ed esasperatamente concisa, che induce a ritenere, quasi istintivamente, che un fatto è o non è; vero o inventato, dannoso o benefico, buono o cattivo. In ultima analisi quindi: bianco o nero. Del resto ciò è perfettamente coerente alla tecnologia che la fa da padrona e signora ai nostri giorni. Infatti, il sistema numerico binario dei circuiti digitali, utilizza solo due simboli: zero e uno, mentre il più antico e tradizionale sistema decimale, con dieci simboli ci consente di cogliere sfumature che l’alternanza: si /no non consente. Ad esempio se a scuola avevi ricevuto 5 come voto, oppure 3 non era la medesima cosa, pur essendo entrambe valutazioni di insufficienza. I due simboli, sebbene contigui esprimevano una caratura diversa. Quindi anche l’abisso delle insufficienze era meno imperscrutabile. Mentre la semplice contrapposizione di sufficiente o insufficiente non consente certamente di scendere nell’approfondimento della comprensione della valutazione.
Forse è stato per questa ragione che durante gli Stati Generali della Natalità, che si sono tenuti a Roma, un folto gruppo di studenti hanno impedito alla ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella di poter parlare, sebbene ne avesse le competenze, essendo una madre di famiglia, di lungo corso con due figli, giornalista professionista e ministra della Repubblica, a differenza di qualcuno che l’ha fischiata. Il meccanismo sì / no ha avuto ancora una volta la meglio. Infatti, come è noto si è levata una accesa contestazione preventiva, che le ha di fatto tolto la parola. La cosa peggiore che possa accadere in qualsiasi società, specie in quelle che si fregiano di essere democratiche.
Stessa sorte ha avuto il ritiro dal mercato del vaccino anti Covid-19 AstraZeneca, da alcuni giorni non più somministrabile. Subito si sono formate le due opposte tifoserie, quella che sostiene che il vaccino abbia dispensato virulenti effetti collaterali, tra cui mortali trombosi e non doveva essere mai somministrato e l’altra sponda, che ha accettato l’idea, meno eclatante, che il vaccino fosse divenuto obsoleto, ragion per cui, anche se era stato uno dei principali strumenti di lotta al Coronavirus nel periodo della pandemia, ora andava dismesso e poteva dignitosamente andare in soffitta malgrado il glorioso passato, al cospetto di più nuovi vaccini. Ma questa, pur logica motivazione non viene neanche presa in minima considerazione dalla folta schiera degli scettici colpevolisti, no-vax.
Analogamente, questa razionalità da bivio viene seguita per la più dolorosa vicenda che riguarda Israele e Hamas, dopo la sanguinosa e barbara aggressione del 7 ottobre. Anche in quest’ultimo caso si è generata la corrente di pensiero che ritiene che Israele ha il diritto di esistere e di difendersi e quindi impedire a quel che resta di Hamas di effettuare una ritirata strategica, per rigenerarsi e tornare all’attacco, al momento opportuno. Tutto ciò nel corso di una vicenda bellica divenuta gravemente sanguinosa anche per il fatto che l’utilizzo di scudi umani nel campo di battaglia della striscia di Gaza, non è stato disdegnato da parte dei combattenti-terroristi, spietati carcerieri di ostaggi, da cui non intendono separarsi. A fronte di quella opposta corrente che ritiene che lo Stato ebraico abbia tratto dall’aggressione il pretesto per dare sfogo alle sue brame espansionistiche su tutta l’area, incurante del purtroppo sempre crescente numero di morti che il conflitto genera.
I giovani di mezzo mondo hanno preso a cuore la causa della parte che appare più sofferente e indifesa, ed è insorta una protesta che è caratterizzata dagli attendamenti nelle piazze e negli atenei. Nel nostro Paese questa protesta studentesca è vecchia di circa un anno e ha avuto inizio come rivendicazione del diritto all’alloggio, per gli studenti fuori sede, a fronte dell’obiettivo problema del caro affitti. Partita dall’iniziativa di una studentessa del Politecnico di Milano, che è stata la prima a piantare la sua tenda di protesta, ha cominciato a trasformarsi ed espandendosi, a macchia d’olio in altre importanti città universitarie d’Italia.
La giusta protesta per la casa, che denuncia l’atavica carenza di una politica abitativa nazionale, spesso ha avuto come compagna di viaggio quella del cambiamento climatico, evidenziando il generale senso di precarietà che viene avvertito da una intera generazione. Ora, in una logica di On /Off è partita quella che già viene chiamata una “intifada studentesca”, già ideata subito dopo il 7 ottobre, dagli studenti filo palestinesi, con la quale viene richiesto l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza e la interruzione di ogni rapporto e convenzione delle università con gli atenei israeliani. L’avvicinarsi del 15 maggio, data in cui il mondo arabo ricorda la Nakba, cioè l’esodo forzato del 1948, sarà occasione di un possibile inasprirsi delle manifestazioni di piazza.
È certamente legittima una protesta civile del mondo dell’Università, dei giovani, dei cittadini ma ogni convincimento anche giovanile non può nascere solo da un avvertito naturale senso di giustizia o di solidarietà che, per quanto nobile, trascuri nelle sue determinazioni, la realtà e la storia. Per chi tra questi manifestanti non avesse avuto il tempo e l’occasione di approfondire le loro conoscenze storiche sulle vicende dell’annoso conflitto mediorientale, può trovare lumi in un recente tascabile, a firma di Marco Travaglio, dal titolo “Israele e i palestinesi in poche parole” edizioni Paper First, di cui si suggerisce la lettura, per tentare, almeno in parte, di rimediare a qualche lacuna. Il libro che l’autore stesso definisce la cronaca della “Guerra dei Cent’anni”, ha lo scopo dichiarato di spiegare brevemente e semplicemente come si è arrivati alla tragedia di oggi.
Purtroppo è noto che la storia è grande maestra di vita, ma è pure risaputo che quando sale in cattedra l’aula resta vuota, perché occorre troppo tempo e pazienza per ascoltarla. È più facile e veloce emozionarsi che riflettere e pensare.