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Il referendum sulla cittadinanza

Il referendum sulla cittadinanza
Consulta Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha stabilito nuovi requisiti per il referendum cittadinanza con la sentenza n. 11 del 2025

Tra le decisioni della Corte costituzionale sull’ammissibilità dei referendum abrogativi che si terranno i prossimi 8 e 9 giugno la sentenza n. 11 del 2025, riguardante la richiesta di referendum in materia di cittadinanza è di particolare interesse in quanto contiene un elenco preciso e dettagliato dei requisiti sin qui individuati dalla Corte ai fini della validità delle richieste di referendum, quasi a costituire un vademecum per i futuri promotori di iniziative referendarie.

Nuovo termine per la richiesta di cittadinanza

Sono oggetto di richiesta referendaria due disposizioni del primo comma dell’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 recante “Nuove norme sulla cittadinanza”, rispettivamente la lett. f) di cui viene chiesta l’abrogazione integrale e la lett. b), limitatamente a due disgiunti segmenti di frase. La combinazione delle due abrogazioni, l’una integrale e l’altra parziale, avrebbe come esito che gli stranieri maggiorenni con cittadinanza extra UE possono presentare domanda di concessione della cittadinanza avendo cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica. Seguiamo la Corte nell’esame del quesito. Esso è omogeneo chiaro e univoco e propone all’elettore una scelta facilmente intellegibile: le due abrogazioni in concorso tra loro sostituiscono il termine decennale di residenza sin qui previsto con uno quinquennale. Il quesito ha una “matrice razionalmente unitaria”, altra condizione richiesta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, in quanto le due disposizioni oggetto della proposta promanano da una radice comune sicché la c.d. “normativa di risulta” quella che permane alla loro abrogazione ha natura unitaria e univoca.

Un referendum di natura abrogativa

La proposta di due abrogazioni congiunte non fa venir meno la natura abrogativa dell’istituto referendario. La cosiddetta “tecnica del ritaglio“ adottata dai proponenti e che consiste nell’abrogazione di singole frasi o parole prive di autonomo significato normativo – come nel caso della lett. b) del primo comma dell’art.9 – è consentita se conduce ad attribuire un diverso significato alla normativa di risulta. Tuttavia, affinché il referendum non si trasformi da abrogativo a propositivo – da escludere perché il quesito referendario e il corpo elettorale non possono creare diritto ex novo – l’operazione, ci si consenta l’espressione, di “taglia e cuci” non deve produrre una norma slegata dal contesto normativo, nella specie la disciplina della cittadinanza, su cui il referendum va da incidere. In altre parole, un certo grado di manipolazione dei testi di partenza è tollerato purché non traligni nella creazione di una normativa del tutto disgiunta da essi.

Nel caso in esame ciò non accade in quanto la manipolazione consente una fisiologica espansione di quanto è già presente nei testi. In luogo di un periodo di dieci anni se ne propone uno di cinque per richiedere la cittadinanza. Cinque anni erano richiesti nella precedente legge del 1912 sulla cittadinanza e sono ancora previsti nella legge attuale per i casi dello straniero maggiorenne adottato da un cittadino italiano, per i maggiorenni apolidi e quelli cui va riconosciuto lo status di rifugiato. I cinque anni non sono quindi una cifra tratta da un tutt’altro contesto e calata nella normativa che si vuol modificare. Infine, la normativa che permane dopo l’abrogazione è perfettamente applicabile. È così soddisfatto un altro requisito richiesto dalla Corte costituzionale perché il referendum sia ammesso: la c.d. “auto-applicatività” della normativa di risulta.

La Corte costituzionale ha quindi ammesso la richiesta in quanto in caso di esito positivo il referendum non andrebbe a creare un assetto normativo sostanzialmente nuovo bensì uno che rimarrebbe in linea con i principi e le regole già presenti nel testo sottoposto a parziale abrogazione.