Regione, guerra alla burocrazia lumaca - QdS

Regione, guerra alla burocrazia lumaca

Eleonora Fichera

Regione, guerra alla burocrazia lumaca

martedì 18 Giugno 2019

Tempi certi, trasparenza, responsabilità del procedimento, potere sostitutivo in caso di inerzia e silenzio assenso. Ma le deroghe annacquano la Lr 7 del 2019. Dipendenti inefficienti punibili ma sulla carta: bisogna mettere in atto vere sanzioni

PALERMO – Ci è voluto più di un anno ma alla fine uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del Presidente Nello Musumeci sembra essere arrivato a traguardo. È stata pubblicata lo scorso 23 maggio in Gazzetta Ufficiale (la n. 23), infatti, la legge regionale 7 del 2019 che prevede la semplificazione della macchina amministrativa regionale. In sostanza, con la nuova legge, la Sicilia abroga la vecchia lr 10/91 e si adegua alla normativa nazionale nell’ottica di perseguire al meglio i criteri di efficienza, economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza che dovrebbero reggere la macchina amministrativa. Per raggiungere questi obiettivi si punta su tempi certi e celeri, procedure più snelle e responsabilità diretta dei funzionari.

I TEMPI
La legge 7/2019 obbliga le Pubbliche amministrazioni a concludere tutti i procedimenti entro il temine di trenta giorni. Nei casi in cui, per esigenze particolari, siano necessari tempi più lunghi, questi saranno individuati tramite decreto del Presidente della Regione, su proposta dell’assessore competente ma non potranno mai superare i centocinquanta giorni.
Il termine per la conclusione del procedimento, infine, può essere sospeso qualora sia necessario acquisire ulteriori pareri, informazioni, certificazioni. Questo però potrà avvenire per una sola volta e fino a un massimo di trenta giorni.

LE MANCATE RISPOSTE
Cosa succede in caso di mancata o ritardata emanazione del procedimento? La legge dice che tali “mancanze” saranno valutate “al fine della responsabilità amministrativo-contabile, dirigenziale e disciplinare nonché al fine dell’attribuzione della retribuzione del risultato”. Chi non fa il proprio lavoro, insomma, viene punito sia da un punto di vista disciplinare che economico, almeno in teoria, perché in verità su questo fronte sarebbero state auspicabili sanzioni più severe ma soprattutto certe. Ma come individuare i responsabili? La legge stabilisce che “in caso di inerzia il potere sostitutivo è attribuito al dirigente apicale della struttura in cui è inserito l’ufficio preposto all’emanazione del provvedimento o, in mancanza, al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione”. Non è poco se si considera che in quest’ultimo anno 40 milioni di euro di debiti fuori bilancio sono serviti alla Regione per risarcire le aziende che hanno presentato domande per investimenti senza ricevere risposte, senza che per questo nessun dipendente venisse sanzionato.
Ma c’è di più. Nomi e cognomi saranno alla portata di tutti. Per ciascun procedimento infatti, dovrà essere pubblicato sul sito internet istituzionale dell’amministrazione competente, il soggetto a cui è attribuito il potere sostitutivo a cui gli interessati possono rivolgersi in caso di ritardi.

L’ARTICOLO 21
La nuova legge, inoltre, conferisce qualche responsabilità in più alla Giunta regionale. L’articolo 21, infatti, prevede che in caso di dissenso, in circostanze particolari, possa essere chiamata in causa la stessa Giunta. “Se il motivato dissenso – si legge nella 7/2019 – è espresso da un’amministrazione regionale o locale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o dell’incolumità pubblica, quest’ultima ha facoltà di proporre opposizione alla Giunta regionale”. Sarà poi la Giunta a convocare, entro quindici giorni, una riunione con tutte le amministrazioni che hanno espresso dissenso per valutare tutto il procedimento. Ascoltate le motivazioni potrà decidere se prendere una decisione diversa da quella iniziale.

IL SILENZIO ASSENSO
Tra i principali punti di svolta della nuova legge, l’articolo 29 che disciplina il cosiddetto silenzio-assenso. “Nei procedimenti di istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi – recita l’articolo – il silenzio dell’Amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide”. Questo meccanismo, però, non si applicherà “agli atti e procedimenti riguardanti l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa dell’Unione europea impone l’adozione di provvedimenti amministrativi espressi, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza”.


Qualità dei servizi e digitalizzazione
Sicilia ultima tra gli ultimi in Europa

PALERMO – “Una legge importante, rivoluzionaria. Un omaggio ai cittadini stanchi ed esasperati di attendere lacci e cavilli della burocrazia”. Con queste parole, il presidente Nello Musumeci ha accolto l’approvazione della legge numero 7 del 2019. Ma per un passo avanti, seppur consistente, che è stato fatto, ne restano tanti altri da compiere.

La Pubblica amministrazione siciliana, infatti, è ancora indietro su qualità dei servizi, trasparenza e digitalizzazione. Un problema, quest’ultimo, che sembra interessare l’intero Paese nel suo complesso. Secondo l’ultimo Digital Economy and Society Index della Commissione europea, infatti, l’Italia è al quart’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione per attuazione dell’Agenda digitale. La trasformazione digitale, insomma, necessaria per migliorare i servizi e assicurare i cittadini la giusta trasparenza nei procedimenti, è ancora molto lontana.

Se l’Italia fa male, poi, la Sicilia fa peggio. Stando infatti all’ultimo report della Commissione Ue sulla qualità della Cosa pubblica, la nostra Regione è 177esima su 192 regioni europee. L’Isola è tra gli ultimi otto posti in Italia per qualità della Pubblica amministrazione e terzultima per imparzialità.

Un disastro, insomma al quale la legge approvata nei giorni scorsi dall’Ars tenterà, almeno in parte, di porre rimedio.


Silenzio assenso: quando mancata risposta è reato

PALERMO – Uno dei punti cardine della nuova riforma, dicevamo, è il silenzio assenso. In alcuni casi, ricordiamolo, la mancata risposta da parte della Pubblica amministrazione competente, corrisponderà a un Sì. I responsabili dei procedimenti potranno quindi “prendersela comoda”? No. In primo luogo perché, come dicevamo, la nuova legge attribuisce ai dipendenti responsabilità diretta rendendoli anche soggetti a ripercussioni in termini di retribuzione economica.

In secondo luogo, poi, potrebbero esserci per i “furbetti” conseguenze ben più gravi. In alcuni casi, infatti, la mancata risposta potrebbe addirittura trasformarsi in reato penale perseguibile per legge.

Il tutto ai sensi dell’articolo 328 del nostro codice penale. L’articolo, che disciplina rifiuto e omissione degli atti d’ufficio, stabilisce infatti che “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

E ancora, “fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”.

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