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Rifiuti, altra sconfitta della Regione al Tar dopo il caso Oikos: ecco l’ultima sentenza su Sicula

Rifiuti, altra sconfitta della Regione al Tar dopo il caso Oikos: ecco l’ultima sentenza su Sicula
Rifiuti

La sentenza: “Non può imporre a Sicula di convertire impianti per produrre Css”.

“Il potere di imporre condizioni ambientali non può trasformarsi nel potere di modificare l’oggetto del procedimento”. Ruota attorno a questo assunto la seconda sconfitta in pochi giorni – temporanea, se si considera la possibilità di ricorrere al Cga – incassata dalla Regione Siciliana contro due delle società che negli ultimi vent’anni hanno tenuto in mano il settore dei rifiuti, Oikos e Sicula Trasporti.

Il giorno prima della sentenza con cui il Tar ha dato ragione a Oikos, in merito alle pretese, ritenute non sufficientemente motivate, di addebitare all’impresa l’onere di verificare se e falde acquifere sotto la discarica Tiritì siano inquinate, il tribunale amministrativo si è espresso su un ricorso presentato da Sicula Trasporti.

Regione Siciliana, sconfitta contro Oikos e Sicula sui rifiuti

A essere contestata dalla società, dal 2020 gestita dal tribunale di Catania in seguito agli sviluppi dell’inchiesta Mazzetta Sicula, è stata una richiesta arrivata a luglio scorso dalla Regione. In ballo ci sono le condizioni per potere mandare all’estero i rifiuti processati nell’impianto per il trattamento meccanico-biologico di Lentini.

La lite tra Sicula Trasporti e Regione è scaturita dalla prescrizione imposta da quest’ultima per far sì che la società ottenesse la modifica delle autorizzazioni per la gestione della spazzatura.

Per capire la questione, va fatto un passo indietro e ricordare come Sicula da ormai qualche anno non abbia più possibilità di abbancare i rifiuti indifferenziati. Il motivo è semplice: nella discarica di proprietà non c’è più spazio. A continuare a funzionare è invece il Tmb, l’impianto che si occupa del processo necessario allo smaltimento dei rifiuti, sia che si tratti di depositarli in una discarica che di spedirli in un termovalorizzatore. Si articola in due fasi: una di vagliatura meccanica, l’altra di stabilizzazione della parte organica.

Con la crescente difficoltà a trovare spazi nelle altre discariche presenti nell’isola, Sicula ormai da tempo ha deciso di stipulare contratti con società estere proprietarie di termovalorizzatori. L’invio fuori dai confini regionali e italiani è sempre avvenuto con il bene stare della Regione, ma sulla scorta di deroghe temporanee rispetto alle autorizzazioni rilasciate alla società negli anni in cui era attiva la discarica.

Per questo motivo, a fine 2023, Sicula ha fatto richiesta di modifica delle autorizzazioni, chiedendo di vedersi riconosciuta la possibilità di effettuare le operazioni che in gergo tecnico rientrano nella categoria R (recupero) e non solo quelle identificate con la lettera D (smaltimento). Per la società, sin dal principio, si sarebbe dovuto trattare di una pratica perlopiù burocratica. “Una modifica non sostanziale”, si legge nell’istanza presentata.

La Regione, però, la pensa diversamente, al punto che nella primavera dello scorso anno – dopo sei mesi di attesa per il via libera all’istanza di Sicula – l’impianto di Lentini ha chiuso momentaneamente i battenti facendo temere una crisi igienico-sanitaria, poi superata dopo che da Palermo hanno comunicato di avere avviato l’iter di valutazione delle richieste della società.

Offerta inaccettabile

In estate l’Assessorato all’Ambiente, facendo proprio un parere della commissione tecnico-specialistica, ha dichiarato la richiesta di Sicula accettabile, senza esigenza di sottoporre il progetto a valutazione d’impatto ambientale, a patto però che la società modificasse in parte l’impianto.

“Con i provvedimenti impugnati – si legge nella parte della sentenza del Tar in cui vengono sintetizzati i motivi che hanno portato Sicula a fare ricorso – l’amministrazione subordinava l’esclusione dalla procedura alla condizione che la società presentasse nel termine di sei mesi un progetto per la conversione dell’impianto di biostabilizzazione in impianto per la produzione di combustibile solido secondario (Css)”.

All’origine della richiesta, ha ribadito la Regione, c’è stata la necessità di “abbattere il tasso di umidità dei rifiuti organici e aumentarne il potere calorifico”, introducendo un processo di bio-essiccazione. Ciò, secondo l’Assessorato, avrebbe fatto sì che dall’operazione D8 (biostabilizzazione) l’impianto acquisisse i requisiti per operare in R3 (riciclaggio-recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi, comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche). Quest’ultima operazione “ridurrebbe l’impatto ambientale complessivo del processo, migliorando l’efficienza del recupero e minimizzando l’uso delle discariche”, in quanto andrebbe a ridimensionare le parti di rifiuto che potrebbero non essere accettate dai termovalorizzatori ma soprattutto darebbe la possibilità di ritrovarsi, già alla fine del trattamento effettuato da Sicula, un prodotto – il Css – che potrebbe essere impiegato anche fuori dagli inceneritori, come nel caso dei cementifici.

I legali di Sicula hanno replicato opponendosi alla richiesta della Regione. I motivi sottoposti al vaglio dei giudici sono stati diversi: “Le modifiche proposte (da Sicula, ndr) non avrebbero alcun effetto o impatto sul sito interessato; ciò che cambierebbe sarebbe unicamente la destinazione dei rifiuti dopo il trattamento presso gli impianti (di Lentini, ndr)”, è stato ricordato.

Dalla società hanno poi ribadito che “la condizione ambientale, che consiste nell’introduzione di modifiche sostanziali all’impianto condotto dalla Sicula per svolgere attività che la Sicula non svolge, si porrebbe in contrasto con la libertà di iniziativa economica del privato” e specificato che la conversione verso un impianto di Css non è fattibile partendo dal Tmb presente a Lentini: “La conversione sarebbe applicabile solo agli impianti di trattamento meccanico-biologico a flusso unico e non a quelli a flusso separato, come quello condotto dalla Sicula Trasporti”.

Un ultimo aspetto non meno importante riguarda la considerazione secondo cui “un processo spinto di bioessiccazione, come quello voluto dalla Cts, richiede un incremento delle quantità di aria fornite dal sistema di areazione, con conseguente aggravio in termini di dispendio di energia e conseguente aumento delle emissioni in atmosfera connesse alla maggiore energia richiesta”.

Il verdetto

Per la seconda sezione del Tar di Catania, presieduta da Daniele Burzichelli, la richiesta della Regione non può essere vincolante per ottenere la modifica delle autorizzazioni. “L’amministrazione, nell’esercizio dei propri poteri tecnico-discrezionali, che sono immuni dal sindacato giurisdizionale, salva l’ipotesi dell’obiettiva irragionevolezza, – si legge nella sentenza – può effettuare le proprie valutazioni in ordine al progetto presentato e imporre particolari prescrizioni, purché la condizioni stabilite non siano tali da imporre alla parte istante la realizzazione di un intervento diverso per natura e finalità e che si risolva e consista nell’introduzione d’ufficio di una proposta oggettivamente differente rispetto a quella formulata dal privato”.

In un altro passaggio, i giudici sottolineano che “con la condizione ambientale oggetto di disamina, verrebbe imposta alla ditta ricorrente la realizzazione un nuovo impianto” e inoltre la Regione “a fronte di un progetto che prevede un trattamento intermedio del rifiuto, ha imposto la realizzazione di un impianto per l’effettuazione di un trattamento finale”.

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