Una serata emozionante, intrisa di significato e dall’alto profilo sociale e soprattutto umano. Al Grand Hotel Baia Verde di Aci Castello è stato presentato “Il Primo Sbarco“, docufilm promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e prodotto da Officina della Comunicazione. Il documentario, ispirato dal lavoro di ricostruzione di Emiliano Abramo e diretto da Omar Pesenti, racconta la stagione dell’accoglienza in Sicilia a partire dalla tragedia avvenuta Catania 12 anni fa, il 10 agosto 2013. nel quale perirono sei giovani egiziani, giunti senza vita sul litorale della Plaia.
Una data spartiacque, quella, per la città dell’Elefante e per l’Isola in generale sul tema dell’immigrazione: da quel giorno, infatti, si susseguirono e vanno avanti ancora al giorno d’oggi storie di sbarchi, di dolore e di speranza.
Il dibattito
Prima della proiezione, all’interno della Sala Congressi, è andato in scena un dibattito sulla tematica moderato da Raffaella Tregua, direttrice di QdS.it. Presenti al tavolo l’ex sindaco della città di Catania, Enzo Bianco, il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Emiliano Abramo e Dario Monteforte, titolare del Lido Verde che, in quel tragico 10 agosto 2013, fu tra i primi soccorritori delle centinaia di persone che approdarono alla Plaia.
“In quel disgraziato giorno di 12 anni fa un barcone con a bordo tantissimi migranti si incagliò alla Playa – esordisce Raffaella Tregua -. In diversi si gettarono in acqua per salvarsi: alcuni giunsero a riva, altri invece persero la vita. Credo che quella tragedia sia stata un momento spartiacque in tema di accoglienza e immigrazione. La città di Catania iniziò a mobilitarsi, così come gli enti, le associazioni – tra cui in primis ‘La Comunità di Sant’Egidio‘ – e anche le istituzioni, con l’allora sindaco Enzo Bianco che proclamò il lutto cittadino e le bandiere a mezz’asta facendo capire che di fronte alle disgrazie non esistono differenze di razza, lingua o colore della pelle. Da allora, l’emergenza sbarchi continua e non si arresta, portando con sé una scia di vittime innocenti: l’OIM, a proposito, ci dice che nel 2024 si sono registrate 9mila morti di migranti, un numero inaccettabile. Urge cambiare, promuovendo i valori, l’integrazione e l’abbraccio tra soccorritore e soccorso: senza valori si perde il senso d’umanità, bisogna combattere l’indifferenza”.
La testimonianza di Dario Monteforte, carica di commozione e immenso dolore, fotografa alla perfezione quanto avvenne in quel maledetto 10 agosto 2013: “Sono passati 12 anni, eppure sembra ieri: da quel momento, il mio animo è cambiato così come il modo con cui guardo il mare. Mi risuonano nella mente le grida di aiuto e dolore nel cuore della notte, quello scenario di disperazione. Quei visi non li dimenticherò mai: erano uomini e donne che fuggivano da guerra, povertà e persecuzioni in cerca di speranza e di futuro migliore. Quelle vite spezzate hanno squarciato le mie certezze, ho visto i corpi irriconoscibili di ragazzi con sogni, famiglie, obiettivi: provo un sentimento di angoscia, che taglia il respiro e le gambe. Ricordare è importante solo se si riesce a trasformare il dolore in consapevolezza: è il cuore che ricorda. Ogni passo che facciamo verso chi è in difficoltà e ci chiede aiuto è un passo verso un’umanità più giusta. L’indifferenza è un atteggiamento indegno, l’indifferenza rende disumani. Ci tengo a ricordare le parole di Gino Strada, che diceva: ‘Se un essere umano sta soffrendo come un cane, la cosa ci riguarda tutti perché ignorare la sofferenza è un atto di grande violenza’. Un mondo più umano è possibile, ma soprattutto necessario”.
A prendere parola è stato poi l’ex primo cittadino della città di Catania, Enzo Bianco, che ha raccontato quei tragici momenti vissuti dal punto di vista istituzionale: “Mi ero appena insediato come sindaco da qualche settimana – ricorda l’ex ministro dell’Interno -. Era un momento complicato, col Comune in uno stato di pre-dissesto e in grossa difficoltà. All’improvviso mi arrivò questa notizia agghiacciante, in cui venni avvisato di quanto di drammatico fosse accaduto alla Plaia. Come Comune, ci demmo subito da fare. Arrivati sul posto, notai subito l’immensa prontezza di Monteforte e dei suoi collaboratori, con noi che facemmo la nostra parte, aiutati dalla società civile catanese e dalla Comunità Sant’Egidio che ci fu sempre vicina. Ricordo che la città di Catania diede prova di possedere e conservare ancora valori importanti. Negli successivi affrontammo diverse tragedie simili”.
“Nel 2016 da sindaco – prosegue -, decisi di indire una cerimonia funebre universale, nel rispetto di chi professava religioni diverse, all’interno del chiostro di Palazzo dei Chierici, simbolo laico, per i 17 migranti deceduti nel corso di una traversata verso la Sicilia. C’erano queste bare posate nel cortile e vennero l’Arcivescovo della nostra Diocesi, l’Imam, un prete ortodosso e un rabbino, quindi i rappresentanti di tutte le religioni. Si presero la mano l’uno con l’altro recitando ognuno la propria preghiera. Nel 2014, invece, costruimmo una tomba monumentale per le giovani donne rimaste vittime durante un altro tentativo di sbarco nella nostra Isola. La soluzione che mi venne inizialmente prospettata in quell’occasione fu quella di metterli nelle fosse comuni. Io non accettai perché dovevamo dare un segnale forte: decisi così di seppellire le vittime in un punto centrale del Cimitero. Venne creata una tomba ‘multipla’ e con l’aiuto dei ragazzi dell’Accademia delle Belle Arti, non conoscendo i nomi dei poveri morti, vennero incisi su ogni lapide i versi tratti dalla poesia “Migranti” del premio Nobel nigeriano Wole Soyinka. Catania ha sempre risposto ‘presente’, dimostrando civiltà e forte senso di solidarietà e integrazione. Il problema dell’immigrazione, però, c’è da tempo e continuerà ad esserci: non si può far finta che sia risolto”.
La testimonianza del giovane Emmanuel Olugbade e di Emiliano Abramo
Quella del giovanissimo Emmanuel Olugbade, rappresentante de “I giovani per la pace“, è invece una storia di speranza, il racconto di chi non si è arreso riuscendo a costruirsi una vita migliore in Sicilia nonostante peripezie e difficoltà. Emmanuel, nigeriano, sbarcò sull’Isola dalla Libia a bordo di un barcone nel 2014 e, attraverso impegno e sudore, sta riuscendo a realizzarsi. Ciò che colpiscono di questo ragazzo sono il sorriso e l’orgoglio nei suoi occhi: “Quando sono arrivato non sapevo che fare e dove andare – la sua testimonianza – Poi, una volta giunto a Catania, grazie all’aiuto fondamentale di persone e associazioni, ho imparato l’italiano e ho iniziato a studiare prendendo il diploma da perito meccanico al ‘Cannizzaro’. Oggi ho una mia attività di barbiere, ma punto a migliorare ancora, ricordando sempre a me stesso che nella vita di un uomo e di una donna è molto più gratificante dare piuttosto che ricevere”.
A chiudere il dibattito è stato il padrone di casa Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e ideatore del docufilm: “Con questo documentario abbiamo voluto trasmettere una pagina di storia della Sicilia: la nostra terra aveva qualcosa da dire e mostrare a un’Europa ‘sbandata’ sul tema dell’accoglienza. L’obiettivo era quello di scattare una fotografia indelebile. L’idea completa prevede anche la realizzazione di un libro: Papa Francesco aveva dato disponibilità a realizzare la prefazione ma, purtroppo, non potrà riuscirci”.
“Ne ‘Il primo sbarco‘ viene spiegato che l’amicizia è una cosa seria: l’amicizia è vera quando è inclusiva e deve combattere l’inimicizia. Tutti hanno il diritto di sognare, anche chi non c’è più. Con la nostra opera, desideriamo raccogliere e raccontare ogni frammento di vita. Rispetto al 2013 – conclude Abramo – sono cambiate tante cose: l’assenza di umanità e cultura sta costruendo il terreno fertile per l’indifferenza. Quando si parla di migrazione c’è ambiguità: nessuno apre all’accoglienza. Manca un forte senso del debito: ognuno di noi è quello che è perché ha ricevuto tanto. Vivere come predatori è il principio della divisione. Oggi ci sono tantissime guerre: siamo diventati cinici e indifferenti. Non è troppo tardi per riallacciarsi alla storia: il mondo ha bisogno di gente che senta dentro di sé il bisogno di restituire”.
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