Intervista esclusiva al presidente della commissione regionale Via/Vas
Aurelio Angelini: “Dalle aziende documentazione carente. Una cinquantina i soggetti coinvolti nell’iter autorizzativo”
Confindustria Sicilia e dipartimento dell’Energia, pur essendo in contrasto per certi versi, sono d’accordo nel dire che l’ostacolo principale allo sviluppo dell’industria verde in Sicilia è la burocrazia e i troppo lunghi e rigidi iter per le autorizzazioni. Non è assolutamente concorde il presidente della Commissione Via/Vas siciliana, Aurelio Angelini, che abbiamo sentito in esclusiva.
Qual è lo stato attuale delle autorizzazioni per la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici da costruire in Sicilia?
“A partire dal 30 luglio del 2021 le autorizzazioni ambientali che riguardano gli impianti fotovoltaici ed eolici superiori ai 30 megawatt vanno a Via nazionale e quindi non sono più di competenza regionale. Noi facciamo solo gli impianti piccoli da 10 fino a 30 megawatt.
Con il decreto fatto dal governo nell’ambito del Pnrr per l’accelerazione delle procedure hanno costituito un’apposita commissione nazionale che rilascerà i pareri sugli impianti di tutte le regioni italiane. Noi non abbiamo più competenze. Abbiamo solo un carico pregresso degli impianti fotovoltaici che piano piano stiamo smaltendo.
Deve pensare che la procedura di questi impianti è abbastanza complessa perché richiede i tempi della procedura autorizzativa regionale che è una procedura unica in cui sono messi insieme tutti i soggetti che devono rilasciare le autorizzazioni. Stiamo parlando di una cinquantina di soggetti che devono rilasciare l’autorizzazione: dall’Asl all’aeronautica militare, dai vigili del fuoco ai beni culturali, dall’autorità di bacino ai comuni e così via. Parliamo di un processo complesso dopo una consultazione, un parere intermedio e che stiamo portando avanti. Queste procedure le concluderemo entro i tempi previsti dalla legge”.
Secondo il dipartimento regionale dell’energia molti impianti fotovoltaici sono bloccati in commissione Via/Vas a causa della troppa burocrazia…
“Le situazioni sono molto diverse l’una dall’altra. Intanto, c’è un aspetto a monte che bisogna tenere in considerazione: le valutazioni ambientali si basano su un processo partecipato. Cioè, il progetto di realizzazione di un impianto, in ambito ambientale viene sottoposto a cittadini, associazioni e a tutti gli interessati affinché esprimano la propria opinione di dissenso o dissenso parziale.
Come si spiegano i lunghissimi tempi per le approvazioni dei progetti
Parliamo di una procedura che nella fase iniziale, per alcuni mesi, deve stare ferma per permettere a chi vuole fare delle osservazioni di merito al progetto di poterle fare. E questa non possiamo certo annoverarla a ritardi burocratici di qualsiasi Ente.
Poi, c’è una prima valutazione che viene fatta da parte nostra che si chiama parere intermedio in cui facciamo la disamina di tutte le criticità del progetto presentato. Qui si apre un capitolo enorme. Ci sono progetti che non dovrebbero avere nemmeno la dignità di essere presentati perché sono talmente carenti sotto il profilo documentale e talmente poco coerenti nelle valutazioni ambientali (in molti casi troviamo copia incolla in cui un progetto palermitano fa riferimento ai criteri urbanistici della città di Catania) che mettono in evidenza carenze che sono ai limiti dell’osceno.
Una buona parte dei problemi che abbiamo sotto il profilo procedurale è dovuta al fatto che la documentazione dei progetti delle aziende è carente. Non a caso i nostri pareri sui progetti che vengono presentati presentano mediamente da 30 a 50 criticità su cui devono dare risposte i soggetti proponenti. Parliamo di autorizzazioni che si basano su una valutazione tecnico scientifica rigorosa di compatibilità ambientale che se non è fatta in maniera adeguata può avere effetti sulla salute dei cittadini e può avere effetti ambientali drammatici”.
Quindi la criticità per quanto la poca presenza di impianti industriali di energia rinnovabile non è nella burocrazia regionale ma nella scarsa preparazione delle aziende?
“I motivi sono molteplici. Una parte di colpa ce l’hanno le aziende che non presentano studi e documentazioni sufficienti per poter fare una valutazione puntuale senza dover chiedere con i pareri intermedi le integrazioni significative che richiedono mesi di tempo da parte del proponente. Poi, comunque, la procedura dell’autorizzazione unica regionale richiede un anno di tempo in termini materiali. I problemi sono quindi da individuare nella procedura, nella debolezza di tante imprese, e in alcune lentezze della catena delle amministrazioni che devono rilasciare i pareri. Noi come commissione siamo gli ultimi a parlare perché non possiamo esprimere un parere se non abbiamo tutto ciò che occorre per fare una valutazione”.
Quali sono gli Enti più ritardatari?
“Gli Enti sono sia regionali che statali che comunali, in base al progetto presentato. Dalla sovrintendenza ai beni culturali che devono escludere che il progetto ricada in aree di interesse archeologico e individuare le problematiche relativamente alla compatibilità con il paesaggio. Poi c’è il Genio civile per quanto riguarda la solidità dell’intervento che si intende fare. Passiamo all’Autorità di bacino relativamente ai sistemi idrici. I vigili del fuoco per quanto riguarda il rischio incendio. Passiamo all’azienda foreste per quanto riguarda il rischio idrogeologico. Poi c’è l’Enac che si deve pronunciare sulle interferenze sull’aeronautica civile e militare. Si esprime anche l’Arpa. Noi arriviamo quando tutti questi Enti si sono pronunciati perché se c’è anche solo una di queste autorità che ci dice che c’è un vincolo o un problema noi dobbiamo tenerne conto.
In questo, non so quale è il peso definito, c’è una responsabilità dei proponenti, c’è una quota che riguarda la complessità della procedura e c’è un terzo fattore: la lentezza degli apparati regionali, comunali e nazionali che interagiscono. La valutazione di impatto ambientale per questi impianti non è finalizzata a dire se l’opera è compatibile o no. La procedura unica regionale permette di realizzare direttamente l’impianto perché con questa autorizzazione le aziende non devono avere nessun altro documento. La procedura è complessa e le aziende molte volte non aiutano perché hanno delle carenze progettuali e amministrative”.
Secondo Confindustria Sicilia circa il 50% dei progetti viene rimandato, il Dipartimentimento dell’energia dice che addirittura la metà è bocciato. Quali sono i motivi per cui questi progetti vengono respinti?
“Io credo che Confindustria se dice queste cose ha problemi con i numeri. Non è affatto vero che il 50% delle procedure vengono bocciate. Sono parole in libertà. Del resto, abbiamo visto che il loro capo, Bonomi, è venuto qui a sparare cifre: 1.500 procedure ferme. Non abbiamo 1500 procedure, sono quelle che sono entrate negli ultimi quattro anni. Ma negli ultimi quattro anni sono state fatte più di 1.200 procedure. Parliamo dei numeri in entrata e non parliamo di quelli in uscita.
Meno del 10% di bocciature
Quanto alle bocciature non mi risulta assolutamente questa cifra. Non superano nemmeno il 10%. Le cifre sono del tutto sballate e chi le fa farebbe bene a corroborarle con dei dati inoppugnabili e non aprendo bocca e facendo uscire fiato. In ogni caso, la quasi totalità delle bocciature sono state oggetto di ricorso. Prendendo in considerazione le aziende che hanno fatto ricorso al Tar parlare del 10% di bocciature è anche troppo. Credo che non arrivi nemmeno al 5% il numero di pareri negativi che sono stati oggetto di ricorso al Tar. Questa cifra corrisponde alla verità. Le posso aggiungere anche che il Tar, quasi nella totalità dei casi, ha confermato la nostra valutazione. E quindi a prescindere dal loro numero, le bocciature sono meritevoli dell’esito che hanno avuto, visto che un organo terzo si è pronunciato. Da questo punto di vista mi sento di poter dire di non aver fatto nessuna ingiustizia sostanziale per quanto riguarda l’esito delle procedure”.
Carenze documentali
I motivi per cui vengono bocciati questi progetti quali sono?
“Soprattutto parliamo delle procedure in cui viene chiesta la non assoggettabilità a Via. Tutte le procedure ambientali devono essere sottoposte a Via che prevede un insieme di documentazioni che permettono di poter valutare in modo puntuale l’impatto potenziale o lo scarso impatto di un impianto. L’articolo 19 del testo unico ambientale, che è la verifica di non assoggettabilità a Via (un percorso breve che in genere si usa per le opere minori), dice che il soggetto proponente deve presentare in forma completa la documentazione che permette alla commissione di poter escludere gli impatti ambientali dell’intervento che si vuole fare.
Inoltre, l’articolo dice che la valutazione dell’esclusione degli impatti ambientali viene fatta in relazione alla tabella quinta della parte seconda del testo unico ambientale. In questa tabella c’è una declaratoria di tutti i fattori sulla base dei quali l’azienda deve dimostrare, in punta di diritto o in punta tecnica, che non hanno impatto significativo sull’ambiente. Nel momento in cui la presentazione dell’istanza è carente o non dimostra questa cosa, noi, non potendo escludere che abbia impatti ambientali perché non ci è stato dimostrato il contrario, non possiamo dire altro che l’intervento deve essere sottoposto alla valutazione di impatto ambientale.
Questi sono i casi più ricorrenti per quanto riguarda un nostro presunto diniego. Ma siamo sull’ordine di alcune decine e i ricorsi al Tar ne sono una testimonianza. Noi ci sentiamo abbastanza tranquilli e sereni su come gestiamo queste procedure. Quindi prima di parlare alcuni dovrebbero mettere in funzione il cervello: parliamo di questioni che possono incidere drammaticamente sulla salute delle persone”.
Ci sono procedure che non vanno a buon fine per problemi di vincolistica?
“La legge è perentoria, e i Tar l’hanno sempre confermato: si deve andare a Via in quanto non si dimostra perché non ci sarebbe bisogno di questa valutazione. Se le aziende non riescono a dimostrare attraverso i documenti questa cosa, noi non possiamo fare altro che assoggettare i loro progetti a Via. Non bocciarle, perché poi potrebbe anche darsi che l’opera si possa realizzare. La non assoggettabilità è una procedura semplificata per evitare di fare la Via. Ma si deve dimostrare che non ci sono impatti sull’ambiente”.
Queste carenze documentali riguardano anche gli impianti industriali di produzione di rinnovabili?
“Per gli impianti fotovoltaici c’è un discorso diverso. Una cosa è un piccolo impianto in un contesto in cui non c’è un impatto significativo sull’ambiente, un’altra cosa è un grande impianto che deve essere sottoposto a Via. Abbiamo avuto casi di impianti mediamente grandi che ci vengono presentati con la procedura di non assoggettabilità a Via che è una contraddizione in termini. In quasi tutti questi casi abbiamo assoggettato l’impianto a Via. Perché di per sé la grandezza determina una serie di impatti significativi che nella non assoggettabilità il proponente non valuta in maniera corretta. Siamo dentro un insieme di problematiche articolate. Poi ci sono procedure che non dovrebbero nemmeno arrivare in Commissione. Non può arrivare un piano di lottizzazione che si realizza all’interno di una riserva naturale nella provincia di Palermo. Questo progetto non doveva nemmeno arrivare perché il Consiglio comunale non doveva neanche deliberare una cosa del genere. È capitato ed è stato annoverato come un diniego della Commissione. Ma io non lo considero in questo modo perché una cosa del genere non andava nemmeno presentata. Noi ci troviamo con campi fotovoltaici che si trovano in parte in una riserva naturale o all’interno di un sito Natura 2000. Questi non sono dinieghi, perché i proponenti non li dovrebbero nemmeno presentare”.
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