CATANIA – La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione nel 2019 è stata di 66 miliardi di euro in valore con un incremento reale sull’anno precedente pari al 0,7%. In dieci anni i consumi delle famiglie hanno registrato un incremento reale del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro e costituiscono l’unico grande segmento dei consumi alimentari che stabilizza e sostiene il mercato.
Cresce il numero delle imprese della ristorazione rispetto al 2018: sono 336mila di cui quasi una su tre gestita da donne e l’11,6% da cittadini stranieri. Questo è in sostanza ciò che emerge dal rapporto 2019 sulla ristorazione redatto da Fipe (Federazione dei pubblici esercizi) presentato recentemente a Roma.
Il rapporto pone l’accento sull’elevato tasso di mortalità imprenditoriale. Perché se è vero che nel 2018 hanno avviato l’attività 13.629 imprese, dall’altro lato oltre 25.900 l’hanno cessata: il saldo, quindi, è negativo per oltre undici mila unità. Dopo un anno chiude circa il 25% dei ristoranti; dopo tre anni fallisce quasi un locale su due, mentre dopo cinque anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato strettamente legato con la bassa produttività del settore: il valore aggiunto per unità di lavoro è di 38.700 euro, il 41% più basso rispetto al dato complessivo dell’intera economia. Nel corso degli ultimi dieci anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di nove punti percentuali.
Le possibili cause sono rintracciabili invece nell’aumento dell’abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Nei centri storici, nel corso degli ultimi dieci anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e imprese da asporto (fittizie) di ogni genere (+54,7). Come si legge sul rapporto “il pubblico esercizio deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle città più grandi.”
Concorrenza sleale presente anche all’estero: il fenomeno del plagio dei marchi conta oltre sessanta mila ristoranti cosiddetti “all’italiana. Per contrastarlo c’è una rete di 2.200 veri ristoranti italiani certificati fuori dal nostro Paese, in particolare negli Stati Uniti.
Nel dettaglio, il turn over nelle imprese che operano nel comparto del bar – spiega Fipe – rimane consistente, smentendo i numerosi luoghi comuni che descrivono il bar come un’impresa di facile riuscita.
Nel 2018, infatti, hanno avviato l’attività 6.096 imprese ma meno di dodici mila hanno dovuto abbassare le serrande. Il saldo tra imprese iscritte ed imprese cessate (5.895 unità) è particolarmente significativo al Nord dove pesano in modo determinante i numeri negativi di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e al centro dove spicca il risultato del Lazio (-545 imprese). Va leggermente meglio, si fa per dire, in Sicilia (- 406 imprese).
Nella ristorazione lavorano 1,2 milioni di persone, con una crescita del 20% negli ultimi dieci anni e, questo è un dato positivo, circa il 52% è gestito donne e in maggioranza giovani.
Le imprese registrate del settore ristorazione gestite da donne sono 112.441 (49,5% ristoranti, 48,9% bar e 0,9% mense e catering), pari al 28,7% del totale. livello territoriale è al Sud dove è più alta l’incidenza delle imprese giovanili, in particolare il primato spetta a Sicilia e Calabria (19,7%). Per numerosità, invece, svettano la Lombardia e la Campania. Dati che confermano quanto il settore sia attrattivo tra le nuove generazioni, in particolare nelle zone del Paese dove persiste una maggiore difficoltà a trovare occupazione.