Rosa Oliva: “Donne e concorsi pubblici, ecco come ho rotto un tabù” - QdS

Rosa Oliva: “Donne e concorsi pubblici, ecco come ho rotto un tabù”

redazione

Rosa Oliva: “Donne e concorsi pubblici, ecco come ho rotto un tabù”

Roberto Greco  |
sabato 04 Marzo 2023

Rosa Oliva, giurista e scrittrice, protagonista di una sentenza storica

ROMA – Rosanna Oliva de Conciliis, giurista, scrittrice e attivista, con un ricorso alla Corte Costituzionale, ha provocato la sentenza 33/60, che ha eliminato le principali discriminazioni nei confronti delle donne per l’accesso alla Pubblica amministrazione. Funzionaria dello Stato, nel tempo si è impegnata in vari ruoli per i diritti delle donne e dei minori, la lotta al dolore e la difesa dell’ambiente. Ha fondato la “Associazione Aspettare stanca”, per l’affermazione e la promozione della presenza delle donne in politica e nei luoghi decisionali e nel 2010, a cinquant’anni della sentenza, ha fondato, e di cui è presidente onoraria, la “Rete per la Parità APS” per la valorizzazione dei principi fondamentali della Costituzione per l’uguaglianza formale e sostanziale tra donne e uomini. Membra dell’ASviS – Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile – coordina il Gruppo di lavoro per l’obiettivo 5 ‘Parità di genere’ dell’Agenda ONU 2030.

Il QdS l’ha incontrata per parlare, con lei, dei diritti mancati e delle difficoltà che, ancora oggi, impediscono la reale parità di genere.

Si è scontrata con la discriminazione nei confronti delle donne nel 1958 quando, in quanto donna, arrivò il rifiuto del Ministero dell’Interno di ammetterla al concorso per la carriera prefettizia. Può ricordarci quella vicenda?
“Nel bando per la carriera prefettizia, cui avevo deciso di partecipare, tra i requisiti era prevista l’appartenenza al sesso maschile, requisito che, ovviamente, non avevo, ma presentai comunque la domanda che fu rigettata. Coinvolsi allora il Professor Costantino Mortati, costituzionalista con il quale mi ero laureata, che mi rappresentò in qualità di legale. Il Consiglio di Stato, cui presentammo il ricorso, ritenne la questione ‘non manifestamente infondata’ e mandò gli atti alla Corte Costituzionale i cui giudici, nonostante fossero tutti uomini, il 13/5/1960 con la sentenza n. 33 dichiararono ‘l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’articolo 7 della legge 17 luglio 1919, n. 1176, che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano l’esercizio di diritti e di potestà politiche, in riferimento all’art. 51, I° comma, della Costituzione’”.

Possiamo dire che fu proprio quella sentenza che permise alle donne di accedere alla carriera nei principali concorsi pubblici?
“Presentai il ricorso soprattutto per far eliminare le discriminazioni contro le donne. Non lo feci soltanto per me, ma anche per tutte le altre che erano escluse non solo da quel concorso e da quella carriera, ma anche da molti altri lavori importanti”.

A distanza di cinquant’anni da quel 1960 ha fondato, e tuttora presiede, la APS ‘Rete per la Parità’. Quali sono gli strumenti di cui l’associazione si è dotata per sensibilizzare, affrontare e contrastare le discriminazioni nell’accesso, nelle carriere e nelle retribuzioni di cui, ancora oggi, sono vittime le donne?
“Uno degli obiettivi primari è la piena attuazione del principio fondamentale di parità uomo-donna sancito dalla Costituzione italiana e dalla normativa comunitaria e internazionale. Promuoviamo iniziative per rendere effettiva la parità di genere in Italia e attivare un ponte tra le generazioni, diffondendo nelle scuole e nelle università la consapevolezza sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo. Del Comitato Scientifico fanno parte reti di associazioni, associazioni, organismi e università.

Di cosa vi state occupando in questo periodo?
“Siamo impegnate per sostenere un gruppo di cicliste afghane che si sono rifugiate in Italia con le loro famiglie e per ottenere la ‘riforma del cognome’ dopo le due sentenze della Corte Costituzionale. Dal 2016 siamo parte dell’ASviS con la quale monitoriamo il bilancio statale, il PNRR e il gender procurement”.

“Mai più portatrici d’acqua” è una delle linee guida dell’associazione che entra in diretto contrasto con la narrazione tossica della frase, oramai luogo comune, “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. In concreto cosa significa oggi?
“Con questa definizione abbiamo inteso impegnarci per evitare che le donne siano candidate al solo scopo di concorrere, con le preferenze raccolte, alle elezioni di candidati uomini. Siamo impegnate da anni per ottenere la doppia preferenza di genere nelle assemblee elettive di Camera, Senato, Parlamento europeo e dei vari livelli territoriali, per ridurre le disuguali condizioni di partenza delle candidate, una delle norme di garanzia di genere”.

Meloni e Schlein. Oggi, per la prima volta, abbiamo due donne a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio la prima e quella di Segretaria di uno dei principali partiti d’opposizione l’altra. L’inizio di una svolta epica rispetto al ruolo delle donne o, ancora una volta, di un “fuoco fatuo” frutto di un momento contingente?
“È la prima volta che in Italia due donne ricoprono incarichi così importanti. Sicuramente due donne diverse tra loro, con visioni contrapposte e con modi differenti di essere ‘donna’ e mi auguro che questa contrapposizione non venga mal interpretata e strumentalizzata, attraverso la solita accusa che le donne siano sempre in lotta tra loro. Si tratta di una tappa importante vedere due donne all’apice e nei giorni scorsi si è aggiunta l’elezione di Margherita Cassano a ‘primo Presidente della Corte di Cassazione’. Inizia una nuova epoca, in cui mi auguro non si debbano affrontare passi indietro come nel caso di quelli avvenuti di recente a causa della crisi sanitaria, economica e sociale causata dalla pandemia”.

In chiusura, quando potremo smettere di lottare per la parità di diritti tra i generi perché questa visione sarà definitamente assorbita da tutti gli strati sociali del nostro paese, e non solo?
“Lottare per la parità di diritti spetterà ancora a molte altre generazioni. Nella classifica del 2022 del report ‘Global Gender Gap Index’, che misura in 146 Paesi il divario di genere in termini di partecipazione economica e politica, salute e livello d’istruzione, l’Italia si colloca al 63° posto occupando la stessa posizione del 2021. Nella classifica europea siamo al 25° posto su 35 Paesi. A livello mondiale serviranno ancora 132 anni per colmare il gap di genere, l’obiettivo virtuoso è ancora lontano. Incombe inoltre il pericolo di ostacoli e passi indietro. In ‘Cara Irene ti scrivo’, la lettera che scrissi nel 2010 a mia nipote, auguravo a lei e alle sue coetanee, le giovani donne di domani, di raggiungere nel 2060, centenario della sentenza, i loro obiettivi negli affetti e nel lavoro, in libertà, senza condizionamenti e senza dover lottare contro gli stereotipi che ancora oggi contrastano il cammino delle donne. Vorrei che le donne del futuro non dovessero compiere scelte difficili e dolorose come quelle che devono affrontare ancora oggi: la scelta tra famiglia e lavoro, tra lavoro e figli e tra carriera e figli”.

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