Rosario Livatino, beatificato il martire di fede e giustizia - QdS

Rosario Livatino, beatificato il martire di fede e giustizia

redazione web

Rosario Livatino, beatificato il martire di fede e giustizia

lunedì 10 Maggio 2021

Ieri nella solenne cerimonia nella Cattedrale di San Gerlando ad Agrigento. Il cardinale Semeraro, "un giudice credibile". Le parole del killer, poi pentitosi. La festa fissata per il 29 ottobre

La camicia azzurra sporca di sangue, bucata dai proiettili dei sicari mafiosi è in una teca della cattedrale, un reliquiario in argento che ricorda il suo martirio.

Da ieri Rosario Livatino, giudice ragazzino assassinato mentre, solo, senza scorta, la mattina del 21 settembre del 1990 andava dalla sua Canicattì in tribunale ad Agrigento, è Beato.

Martire trucidato da killer della mafia stiddara che lo rincorsero mentre tentava di fuggire lungo una scarpata e non ebbero pietà di lui.

“Picciotti, che vi ho fatto?”, avrebbe detto ai suoi assassini prima di cadere a terra. E la stessa frase è diventata il titolo del documentario mandato in onda ieri sera su Tv2000 proprio in occasione dell’evento religioso.

Un giudice credibile

Un uomo, un giudice, “credibile”, come lo ha definito il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi venuto da Roma per officiare la cerimonia di beatificazione.

Una parola risuonata più volte nel corso dell’omelia pronunciata in una chiesa per l’emergenza Covid aperta a pochissime persone, appena duecento.

“Credibile”, un aggettivo che, nel pieno dell’ennesima tempesta abbattutasi sulla magistratura italiana, suona come un monito.

“Credibilità – ha detto Semeraro – fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale”.

E questa unità Livatino la visse “in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano: per questo la Chiesa lo onora come Martire”.

Il postulatore diocesano della causa di beatificazione, don Giuseppe Livatino, ne ha “studiato” la vita per sette anni.

Le parole del killer pentito

Una analisi necessaria al processo canonico passata per la lettura degli scritti del magistrato e per l’ascolto di colleghi e familiari. Uno studio di oltre quattromila pagine che ha raccolto anche la testimonianza del killer pentito di Livatino, Gaetano Puzzangaro che ha accettato di parlare nel processo di canonizzazione “perché era doveroso”, ha detto.

Magistrato ritenuto inavvicinabile anche per il rigore della sua fede, Livatino istruì il primo maxiprocesso alle cosche agrigentine, poi, scelse di passare al giudicante.

Intransigente, riservato, “capì l’importanza del lavoro in pool e l’efficacia delle misure patrimoniali contro i clan”, ricorda il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho, tra i magistrati presenti alla cerimonia.

La festa il 29 ottobre

“D’ora in poi sia chiamato beato e, ogni anno, si possa celebrare la sua festa il 29 ottobre”, la formula solenne della proclamazione che arriva nel giorno di un anniversario importante.
Ventotto anni fa dalla Valle dei Templi, a poca distanza in linea d’aria da quella cattedrale che da oggi ospita le reliquie del magistrato martire, Papa Giovanni Paolo II lanciò il suo storico anatema contro la mafia proprio dopo aver incontrato i genitori di Livatino.

Giudice ragazzino esempio per tutti

Il giudice ragazzino fu “esempio per tutti”, ha detto Piero Grasso, ex capo della Direzione Nazionale Antimafia presente alla cerimonia.

E di esempio a cui ispirare la vita hanno parlato anche i vescovi siciliani in una dura lettera scritta alla vigilia della cerimonia di beatificazione.

“Non siamo ancora – si legge nella missiva – all’altezza dei nostri martiri. In questi trent’anni, tante cose sono cambiate, ma non sono ancora cambiate abbastanza. La mafia ha trovato altre forme per infiltrarsi. Dobbiamo allora alzare la voce e unire alle parole i fatti. Non con iniziative estemporanee, ma con azioni sistematiche”.

Segno che anche nella Chiesa c’è ancora tanta strada da fare.

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